di Alberto Castellotti
Di questi tempi, vista la enorme diffusione della numismatica ma soprattutto dei mezzi con cui questa scienza viene resa fruibile dai tanti appassionati e cultori, si va facendo strada un interesse per altri aspetti che gli strenui sostenitori della moneta vorrebbero definire minori o secondari ma che, a volerli ben considerare, rappresentano una fonte di conoscenze storiche, agiografiche e artistiche non meno importanti di quelle della sorella maggiore.
Uno fra i tanti è quello delle medaglie religiose o devozionali che dir si voglia, terreno meno impegnativo di quello legato alle monete ma ugualmente stimolante per la ricerca, almeno dal punto di vista spaziale, se non temporale, e altrettanto vasto e variegato. Ci troviamo di fronte a un macrocosmo dalle indiscusse risorse estetiche, tenuto conto che al “sacro” si sono dedicati da sempre gli artisti migliori ma, d’altronde, anche le monete rappresentano il dualismo tra sacro e profano.
Facevo notare poco sopra che l’orizzonte temporale delle medaglie devozionali è certamente meno vasto di quello monetario e in genere misurabile nell’arco di pochi secoli, con un massimo di quattro o cinque. Straordinaria comunque la loro funzione inerente alla fede o alle pratiche religiose ma anche, sovente, a una forma di superstizione quando chi le portava le associava all’idea che potessero fungere da panacea contro tutti i mali o da talismano contro le sventure.
Molto raramente capita di imbattersi in tessere o immagini più antiche, come nel caso dell’oggetto che sto per descrivere, messomi a disposizione da un mio caro amico collezionista. Ecco di cosa si tratta, incominciando dai dati tecnici.
Lamina votiva ottagonale in bronzo di mm 39 x 30, del peso di grammi 9,52, probabilmente paleocristiana, forse costantiniana (IV secolo d.C. o anteriore).
In senso orario, a partire dalle ore 12 convenzionali, la leggenda è +SAN PETRVS APOS.SAN PAVLVS APOS.
A destra, figura a mezzo busto, entro cornice rettangolare, in abiti vescovili, di San Pietro con folta chioma, barba e lunghi baffi ma senza aureola sul capo, che regge, una per ciascuna mano, le chiavi decussate, cioè incrociate come una lettera “ICS”, dieci nella numerazione romana, o a “croce di sant’Andrea”; in basso a sinistra, una pianticella con tre fiori e in basso, sotto la linea che potremmo dire di esergo, con beneficio di inventario vista la problematica leggibilità, roma.
A sinistra, mezza figura di San Paolo in abiti da cerimonia, anch’egli con una folta capigliatura, barba e lunghi baffi ma senza aureola sul capo, che regge con la destra la lunga spada del suo martirio, appoggiata alla spalla; lungo il fianco sinistro si innalza uno stelo floreale. In mezzo alle due figure degli Apostoli un bastone vescovile (ferula) di foggia tortile e sormontato da una piccola croce, attributo, questo, da riferirsi a san Pietro, primo papa e quindi primo vescovo di Roma. La parola roma è presente anche sotto la linea di esergo di questa seconda immagine ma sempre soggetta alla precarietà della lettura.
La ferula, da far risalire, in epoca pagana, ai riti dionisiaci, recentemente ripristinato dagli ultimi papi cattolici ma, in realtà, risalente all’alto Medioevo o anche prima, a differenza del pastorale vescovile tradizionale dall’estremità ricurva o a spirale, ha la sommità ornata di una piccola croce e rappresenta la potestà temporale pontificia. La sua presenza nella lamina votiva testé descritta, unitamente all’assenza dell’aureola o nimbo sul capo degli Apostoli, particolare rilevabile sulle immagini sacre solo a partire dal IV secolo, mi hanno permesso di formulare la suggestiva ipotesi che essa sia una delle prime immagini sacre di cui sia nota l’esistenza.