di Federico De Luca
UN’INEDITA PANORAMICA DELLE MONETE ANTICHE CHE HANNO UNA RELAZIONE DIRETTA O INDIRETTA CON IL TERREMOTO.
Il terremoto: un nemico terribile, feroce e sanguinario che da sempre ha afflitto l’umanità. Se ne sta nascosto nelle viscere della Terra a dormire per anni, secoli ma poi riemerge all’improvviso, pazzo di furore, a seminare morte e distruzione. Pochi minuti di caos primordiale e dopo, oggi come duemila anni fa, il risultato è sempre lo stesso: paesi e città sventrate, case violate, vite spezzate e, nei superstiti, esistenze sconvolte.
Come può testimoniare vicinanza ai nostri fratelli del Centro Italia colpiti dal sisma dello scorso 24 agosto 2015 un giornale di numismatica? Parlando proprio di questo odioso flagello, delle tracce che ha lasciato nella numismatica antica, come augurio che il dolore che esso ha causato si possa un giorno attenuare e la vita, nelle comunità colpite, possa rifiorire più vivace di prima.
Nella numismatica antica non sono infrequenti emissioni monetali che commemorano la ricostruzione di città funestate da terremoti.
La moneta della figura 2, ad esempio, celebra la ricostruzione di Rodi dopo che un grave sisma, nel 226 a.C., si abbatté sulla città provocando la distruzione di gran parte delle abitazioni private, dei templi e degli edifici commerciali del porto, oltre che il crollo del famoso Colosso di Rodi, una grande statua del dio Helios, considerata una delle sette meraviglie del mondo antico, costruita prima del 250 a.C. in ringraziamento per aver salvato la città dall’assedio del re macedone Demetrio Poliorcete nel 305 a.C. Il re Tolomeo III d’Egitto intervenne prontamente in soccorso di Rodi con cui i suoi predecessori avevano stretto forti legami culturali e commerciali (lega rodo-egiziana) e mise a disposizione ingenti somme per la ricostruzione. Rappresentando, al diritto della moneta della figura 2, la regina Berenice II, moglie di Tolomeo III, i roditi espressero tutta la loro gratitudine per l’aiuto ricevuto anche se declinarono l’offerta del re di ricostruire la grande statua del dio Helios perché, come racconta Strabone, un oracolo disse loro di non ricostruirla. I pezzi del Colosso rimasero a terra lì dove li aveva precipitati il terremoto fino al 645, anno in cui, secondo la leggenda, gli invasori arabi li vendettero a un mercante ebreo di Edessa.
Anche Teo, città sulle coste della Lidia, subì gravi devastazioni in seguito a un terremoto nel 47/46 a.C. da cui riuscì a risollevarsi solo grazie ai fondi stanziati successivamente da Augusto nei confronti del quale la città mostrò grande riconoscenza. Al diritto della moneta della figura 4, infatti, si osserva un busto in marmo di Augusto collocato all’interno del famoso tempio di Dioniso di Teo perché l’imperatore cominciò ad essere venerato come nuovo fondatore (KTISTHS) della città.
Nel 17 d.C. un potente sisma sconvolse l’Asia Minore radendo al suolo ben dodici città. Di fronte a tanta distruzione l’imperatore Tiberio rimase profondamente turbato e si attivò immediatamente per i soccorsi e per la ricostruzione. Ecco il racconto che fa Tacito (Annales, 2, 47) di quel tragico sisma: «Sempre in quell’anno, dodici popolose città dell’Asia furono distrutte da un terremoto, sopravvenuto di notte, che rese il disastro ancora più improvviso e grave. Né il rimedio, tipico in tali situazioni, di fuggire all’aperto servì a nulla, perché si veniva inghiottiti dalle fenditure della terra. Raccontano di monti altissimi spianati, di luoghi prima pianeggianti visti sollevati in alto, di fiamme che brillarono tra le macerie. Il flagello si abbatté particolarmente tremendo sugli abitanti di Sardi, per cui concentrò su di essi il massimo della compassione: Cesare infatti promise dieci milioni di sesterzi e li esonerò per cinque anni dai versamenti dovuti all’erario e al fisco. Dopo gli abitanti di Sardi, i più danneggiati e i più soccorsi furono i cittadini di Magnesia del Sipilo. Fu deciso di rimettere i tributi, per un egual periodo di tempo, agli abitanti di Temno, Filadelfia, Egea, Apollonia e a quelli chiamati Mosteni o Ircani di Macedonia e a Ierocesarea, Mirina, Cime, Tmolo, e vi fu inviato un rappresentante del senato per constatare la situazione e portar conforto. Venne scelto Marco Ateio, ex pretore, perché, essendo governatore dell’Asia un consolare, non sorgessero conflitti tra pari grado e relativi ostacoli». Il commissario senatoriale Marco Ateio, dunque, fu il responsabile di una Protezione Civile ante litteram che si spese senza risparmio per ricostruire le città colpite.
Il sesterzio della figura 5 commemora proprio il generoso gesto di Tiberio, riportando al diritto la legenda CIVITATIBVS ASIAE RESTITVTIS e raffigurando la statua di Tiberio che le dodici città ricostruite gli dedicarono. In segno di riconoscenza, poi, la città di Filadelfia assunse il nome aggiuntivo di Neocesarea e la città di Sardi, che fu la più colpita e anche la più aiutata, dedicò a Tiberio un’emissione monetale (fig. 6).
A volte le monete forniscono inaspettate testimonianze della ricostruzione susseguente a eventi sismici. Al rovescio della moneta alla figura 7, ad esempio, è rappresentato il tempio di Afrodite a Pafo (Cipro), ricostruito fedelmente dai Romani sul modello precedente dopo il terremoto del 76/77 d.C. Come si vede dalla rappresentazione piuttosto precisa del tempio, al suo interno era colloca una grande pietra sacra di forma conica (baitylos) e sulla parte superiore un crescente lunare e una stella; sulle due ali dell’edificio sono visibili due colombe e al loro interno due candelabri. Davanti al tempio, infine, vi è una corte pavimentata semicircolare. Situato davanti al mare in cui, secondo la tradizione che si rifà alla Teogonia di Esiodo, emerse l’Afrodite “Cipride”, il tempio di Afrodite di Pafo attirava molti pellegrini a cui la città offriva vitto e alloggio. Tra i pellegrini ce n’erano anche alcuni molto illustri: nel 69 d.C. fu visitato da Tito quando era ancora solo generale ed era in viaggio verso l’Egitto per reprimere la rivolta giudaica. La visita fu per lui particolarmente gradevole perché l’oracolo di Afrodite gli predisse un futuro grandioso. Il culto di Afrodite a Pafo derivava dalle religioni misteriche ed era così celebre che persino Omero lo cita nell’Odissea. Ci si recava per assicurarsi giovinezza e fertilità.
Lo statere della figura 8, invece, non raffigura un edificio riedificato dopo un sisma ma servì a riedificarne uno. Esso, infatti, appartiene a un’emissione coniata nel 336 a.C. dall’Anfizionia di Delfi per finanziare la ricostruzione del tempio di Apollo, gravemente danneggiato da un terremoto nel 373 a.C. Il nuovo edificio venne costruito sulle fondamenta del precedente mantenendone le stesse dimensioni e l’argento necessario a coniare l’emissione venne ricavato dalla fusione delle monete delle vecchie emissioni. Oltre agli stateri furono coniati anche dracme e trioboli, tutti recanti una legenda che permetteva di identificare le nuove monete come appartenenti alla monetazione dell’Anfizionia delfica.
Al dritto degli stateri, delle dracme e dei trioboli anfizionici è sempre riportata l’immagine di Demetra velata e incoronata con spighe di grano, proveniente dal tempio di Anthela, vicino le Termopili, anche quello gestito dalla Lega Anfizionica. Al rovescio di stateri e dracme è invece raffigurato Apollo Phitias, seduto su un omphalos, con un ramo di alloro nella mano sinistra, mentre poggia il gomito destro su una cetra di grandi dimensioni; mentre al rovescio dei trioboli è raffigurato l’omphalos, attorno al quale si avvolge il serpente Pitone. Esiste, infine, anche una moneta di bronzo che presenta al dritto un cavallo rampante e al rovescio l’omphalos o phiale.
In altri casi ancora le monete ci tramandano la memoria di edifici distrutti da successivi terremoti come avviene al rovescio della moneta alla figura 9 su cui è raffigurato il Faro di Alessandria. Questa massiccia costruzione fu realizzata tra il 300 e il 280 a.C. sull’isola di Pharos, di fronte al porto di Alessandria d’Egitto, su progetto di Sostrato di Cnido, per guidare in porto le navi dirette nella capitale tolemaica.
La sua costruzione fu iniziata da Tolomeo I Sotere e completata dal figlio Tolomeo II Filadelfo. Questa imponente opera serviva ad aumentare la sicurezza del traffico marittimo in entrata e in uscita dal porto di Alessandria, reso pericoloso da numerosi banchi di sabbia. Il Faro segnalava la posizione del porto alle navi, di giorno mediante degli speciali specchi di bronzo lucidato che riflettevano la luce del sole fino al largo e di notte per mezzo di fuochi.
Secondo la testimonianza di Flavio Giuseppe, il Faro di Alessandria poteva essere visto a 48 km di distanza, cioè fino al limite consentito dalla sua altezza e dalla curvatura della superficie terrestre. Grazie a questa informazione è possibile calcolare che la torre del Faro fosse alta 134 metri: sicuramente una delle più alte costruzioni esistenti per l’epoca e il primo grattacielo della storia. Era costituito da un alto basamento quadrangolare in cui erano collocate le stanze degli addetti e le rampe per il trasporto del combustibile. Sul basamento sorgeva una torre ottagonale sovrastata a sua volta da una costruzione cilindrica su cui era collocata una statua di Zeus o Poseidone, più tardi sostituita da quella di Helios.
Il Faro di Alessandria era annoverato tra le sette meraviglie del mondo per la sua maestosità e imponenza e fu forse la realizzazione più avanzata e duratura della tecnologia ellenistica: esso rimase al suo posto per più di 1.500 anni fino a che venne distrutto da un terremoto nel XIV secolo. Sulle sue fondamenta fu successivamente costruito un forte ottomano in cui vennero reimpiegati i blocchi di pietra con cui era stato realizzato.
Su un denario in argento di Augusto (fig. 11), coniato da una zecca incerta del Peloponneso (probabilmente Elide o Patrasso) quando l’imperatore era in viaggio in quella regione, raffigura al rovescio il tempio di Zeus a Olimpia. Costruito tra il 470 e il 456 a.C. su progetto dell’architetto Libone di Elide, il tempio presentava sei colonne sui lati corti e tredici su quelli lunghi. Era realizzato in calcare conchilifero locale coperto con stucco colorato mentre il manto di copertura del tetto e la decorazione scultorea, in gran parte pervenutaci, erano in marmo.
Al suo interno era collocata la famosa statua crisoelefantina di Zeus seduto in trono, costruita in loco dallo scultore Fidia tra il 436 e il 433 a.C. La statua, considerata la più famosa di tutta la Grecia e la più visitata delle sette meraviglie del mondo antico, presentava un’altezza di 13 metri e occupava tutta la larghezza del corridoio del tempio che la ospitava. A Strabone, che visitò il tempio di Zeus ad Olimpia nel I secolo a.C., la statua di Zeus apparve sproporzionata rispetto all’ambiente in cui era collocata. Ecco come la descriveva: «La statua, in avorio, è di tale grandezza che, sebbene il tempio sia grandissimo, pare che l’artista abbia tenuto poco conto delle proporzioni. Ha infatti rappresentato il dio seduto, che quasi tocca il soffitto con la testa, tanto da dare l’impressione che se si alza in piedi scoperchia il tempio» (Geografia VIII 3.30).
La statua era sfarzosamente decorata: nella mano destra Zeus reggeva una Nike in oro e avorio e nella mano sinistra un ricco scettro in diversi metalli preziosi con un’aquila appollaiata sulla sua sommità; la veste e i sandali erano in oro; il trono era decorato con oro, pietre preziose, ebano e avorio.
Quando il cristianesimo divenne la religione di stato e il paganesimo venne bandito, l’imperatore Teodosio I, con un editto del 383 d.C., vietò le celebrazioni religiose nel tempio di Zeus e dispose il sequestro dell’oro e dell’argento e il trasporto della statua crisoelefantina di Zeus a Costantinopoli. Nel 426 d.C. il successore Teodosio II ordinò la distruzione stessa del tempio. La devastazione, tuttavia, non fu totale e il tempio di Zeus con le sue colonne rimase in piedi fino al secolo successivo quando ben due terremoti (il primo nel 522 e il secondo nel 551) lo rasero completamente al suolo.
Ma in tema di terremoti la moneta più interessante è sicuramente il sesterzio della figura 13 che commemora la rocambolesca fuga di Traiano da un sisma scoppiato ad Antiochia nel 115 (in tal senso H. Mattingly, Coins of the Roman Empire in the British Museum, III, p. LXXXII). Lo scampato pericolo viene ritenuto un prodigio posto in essere direttamente da Giove, celebrato come conservator patris patriae e raffigurato mentre accoglie sotto il suo mantello Traiano che, essendo un mortale, presenta una statura inferiore rispetto a quella del dio. Cielo e Terra, dunque, si uniscono e il padre degli dei interviene in soccorso del padre della patria, proteggendolo amorevolmente da morte e distruzione.
Bibliografia
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Articolo tratto da Panorama Numismatico nr.322, novembre 2016