di Eros Marchetti
Col Regio Decreto 31 maggio 1918 e sui modelli dell’incisore Attilio Motti vennero coniati talleri per gli scambi commerciali interni della Colonia Eritrea.
La coniazione era libera e si effettuava, anche su richiesta di privati, in argento 835 millesimi, grammi 28,07 di peso e 40 millimetri di diametro.
Le previsioni erano di coniarne in grandissima quantità; invece questa moneta ebbe poco successo, poiché agli Eritrei era molto più gradito il tallero di Maria Teresa. Per questo motivo ne venne sospesa la coniazione dopo soli 510.000 pezzi e successivamente – a seguito all’accordo con l’Austria del 1935 – si iniziò a coniare talleri di Maria Teresa quasi del tutto simili agli Austriaci.
Il tallero si può trovare con firma (A. MOTTI) sotto il busto, ma anche senza firma; sembra che i collezionisti preferiscano gli esemplari muniti di firma: da qui deriva infatti il riscontro economico maggiore che hanno questi ultimi esemplari.
I falsi, invece, si trovano praticamente tutti privi di firma mentre, in quelli che la riportano, essa risulta parziale e, a volte, addirittura mancante di alcune lettere o della parte superiore della r del marchio di Zecca.
Le monete furono coniate con peso di 28,07 grammi, con alto titolo d’argento (835/1000), ovviamente con lo standard del peso dei talleri di Maria Teresa (27,7-28,08 grammi), ma decisamente fuori standard rispetto al modulo “scudo” che pesa 25,00 grammi.
Il diametro è sempre simile a quello di tutti i talleri (40 mm), con la particolarità di non essere mai perfettamente rotondo bensì lievemente ellissoidale e con una depressione a ore 12 del dritto (indice quasi sempre di genuinità del pezzo).
La mancanza della firma in alcuni esemplari è da attribuire alla coniazione, perché il tondello di 37 mm veniva battuto fuori ghiera ed era libero di espandersi fino al diametro di 40 mm. In questo modo poteva assumere la forma leggermente ellissoidale e, a causa degli slittamenti di conio, la firma risultava a volte del tutto mancante. L’espansione del conio dava origine anche ai rialzi nelle lettere della legenda, che non sono mai netti come in tutte le monete coeve, ma si alzano man mano fino ad assumere la dimensione piena (per un esempio valido, guardare la parte centrale della lettera M di ITALICUM).
La moneta è molto ricercata e di elevato valore commerciale nelle alte conservazioni. Generalmente, i falsi si riscontrano con decisa frequenza sul mercato ed alcuni sono davvero di buona fattura ma fortunatamente, avendo l’originale un peso “insolito”, sono abbastanza facili da rilevare perché è davvero complesso azzeccare il titolo e la lega esatti usati per coniare gli esemplari originali.
In conclusione, nei falsi il peso è sempre calante, manca parzialmente o del tutto la depressione del tondello a ore 12 del dritto, il colore è spesso smorto e la moneta non dà senso di profondità mancando di rilievi e mancando di rugosità nei campi. Infatti, un altro indice di genuinità è dato dal fatto che i campi di questo tallero non sono mai perfettamente piani, hanno un minimo di rugosità derivata dallo slittamento del tondello durante la coniazione.
Menzione a parte va fatta per il bordo: nell’originale è davvero complesso: FERT FERT FERT in rilievo tra ornati e stellette.
Nei falsi non pacchiani che hanno il bordo rigato, spesso è ben eseguito, anche se è mancante di dettaglio e le lettere risultano lievemente impastate.