L’artista e designer brasiliano Andre Lavy ha progettato di trasformare delle comuni monetine in opere d’arte. L’operazione, denominata Tales you lose (https://www.facebook.com/talesyoulose), prevede di dipingere su di esse la faccia di icone popolari, supereroi, personaggi dei cartoni animati o delle fiabe. Le opere dell’artista sono abbastanza apprezzate, tanto che cominciano ad apparire su diversi siti web di settore. L’idea di Lavy non è originale, infatti, da tempo, sono in vendita monete dipinte a mano con colori più o meno vivaci, ad esempio pezzi da 2 euro commemorativi; è anche possibile reperire banconote colorate ed esemplari con scritte o con spiritosi aforismi. Ne abbiamo già scritto in passato sulla rivista: Banconote con scritte (aprile 2009, n. 239), Money art (dicembre 2010. n. 257), Euro commemorativi colorati (marzo 2013, n. 282).
Segue: articolo completo in formato pdf da Panorama Numismatico nr.290 – Dicembre 2013
di Roberto Diegi
Dall’Impero di Roma al Regno delle Due Sicilie
SIMBOLO DI RESURREZIONE, DI RINNOVAMENTO E D’IMMORTALITA’, L’IMMAGINE DELLA FENICE SI TROVA SULLE MONETE ROMANE E, CON MAGGIOR FREQUENZA, SU QUELLE DI COSTANTE E COSTANZO II. I BORBONE, 400 ANNI DOPO, LA RIPRESERO IN PIU’ OCCASIONI.
Il Quaderno di studi n. VII/2012, edito dalla nuova Associazione Culturale Italia Numismatica, è dedicato alla memoria di Andrea Morello e di quest’ultimo riporta un interessante articolo – già pubblicato sulla rivista Monete Antiche, n. 40/2008 – concernente l’iconografia paleocristiana sulle monete romane tardo antiche. In particolare questo articolo si sofferma sulla raffigurazione della fenice che si trova prevalentemente su alcuni piccoli bronzi emessi da Costante e Costanzo II, figli di Costantino, attorno alla metà del IV secolo d.C.
Questo articolo, peraltro, come dicevo, molto interessante, ha richiamato la mia attenzione perchè la raffigurazione della fenice non si ferma all’epoca romana ma viene ripresa con grande evidenza molti secoli più avanti, dai Borbone di Napoli e del Regno delle Due Sicilie. Ma cos’era la “fenice”?
Scarica tutto l’articolo in formato pdf, tratto da Panorama Numismatico nr.288 / Ottobre 2013
di Mariella Cambi Mariani
Per i Romani, Giove era il capo supremo degli dèi, i quali, più che virtù taumaturgiche, avevano personalità di carattere umano. Ne derivavano gli inconvenienti di una famiglia numerosa costretta alla coabitazione, con liti sempre aperte che il patriarca, anzichè sedare, spesso fomentava.
Il nome ha radici indoeuropee e significa risplendere al pari del corrispondente greco Zeus. Gli si attribuiva la spartizione dell’universo: a Plutone avrebbe assegnato il regno infernale e a Nettuno il mare, lasciando per sè la terraferma, più il cielo e l’aria.
Il Giove latino, o IVPPITER, fu comune a tutti i popoli italici e il primo epiteto che ricevette fu LVCETIVS, “apportatore di luce”. Al suo culto era preposto un sacerdote particolare, detto Flamen Diatis, che gli sacrificava una pecora bianca il giorno delle Idi, che cadevano il 13 o il 15 del mese. A quelle di ottobre, o Ferie lovis, si celebravano i ludi capitolini, perché il suo tempio principale era sul Campidoglio, accanto a quelli di Giunone e Minerva, e là i comandanti vittoriosi salivano a rendere grazie offrendo le spoglie del nemico ucciso. Il Grande tempio era stato eretto nel 509 a.c.; prima di allora Giove era adorato semplicemente sulle are sacrificali sotto il simbolo di una pietra, con il nome di luppiter Lapis.
Articolo completo in formato PDF tratto da Panorama Numismatico nr.54/giugno 1992 – richiesto da un ns. lettore.
UNA PROPOSTA PER UNA NUOVA LETTURA DEI TARì DI FERDINANDO IL CATTOLICO.
Queste pagine ben poco aggiungono alla insuperata opera sulle monete di Sicilia di Rodolfo Spahr, sono però l’esempio di quanto sia stimolante lo studio di pezzi relativamente comuni, quali i tarì o aquile coniati a Messina da Ferdinando il Cattolico.