Non può che far piacere sapere che all’estero i musei stanno pubblicando i cataloghi delle loro collezioni di monete italiane. In questo caso è il Museo di Praga che mette a disposizione degli studiosi la propria raccolta di oltre mille esemplari di cui qui ora ne sono presentati 445, con datazione a partire dall’età medievale fino al Cinquecento.
Questo catalogo, primo di una serie intitolata Collectio Numismatica Musei Nationalis, è molto curato sia sotto il profilo scientifico che grafico. I primi capitoli sono dedicati alla storia della collezione e alla sua formazione, oltre a una breve introduzione (in lingua inglese, è bene precisare) alla numismatica italiana partendo dalla riforma di Carlo Magno, in cui si ricordano i punti fondamentali come l’introduzione della moneta aurea a metà del Duecento. Gli autori hanno voluto dividere questa introduzione secondo le aree: Italia settentrionale, centrale e meridionale in quanto, come noto, ben diverse furono le aree monetarie che contraddistinsero l’intera Penisola addirittura fino al XIX secolo.
Una nota al catalogo descrive le linee guida seguite dagli autori, i quali hanno adottato un ordinamento basato sul CNI. Tuttavia, guardando le schede, il CNI è stato ampiamente superato: è stata utilizzata la più recente bibliografia nell’indicazione di nominali e datazioni.
Devozione, miracoli e insolite reliquie
Nell’ambito della ricerca numismatica Lucia Travaini è certamente una tra le studiose più attive. Il suo campo prediletto è l’età medievale dove ha saputo approfondire non pochi aspetti della moneta, tra cui alcuni davvero particolari. Ne è l’ennesima testimonianza questo libro che indaga la moneta non tanto come intermediaria degli scambi o come misura di valore ma piuttosto come oggetto di culto e devozione. Se sono conosciutissimi gli usi della moneta nelle fondazioni degli edifici pubblici o nella deposizione in tombe (a formare il cosiddetto obolo di Caronte o come offerte), meno noti e più curiosi sono i suoi impieghi religiosi il tutto documentato negli scavi archeologici.
di Achille Giuliani
La vitalità storiografica e letteraria della zecca aquilana e una finestra sulle vicende sociali e araldiche della città che ha permesso di riaprire l’interpretazione allegorica di un rarissimo bolognino di re ladislao, dimenticato dagli studiosi di numismatica e creduto unico.
In una delle mie prime letture sull’oreficeria aquilana nella tarda età di Mezzo rimasi sgomento nel seguire lo stizzito botta e risposta, mostrato ai primi del Novecento dalla Rivista Abruzzese di Scienze, Lettere ed Arti, tra due cultori di storia dell’arte, Vincenzo Balzano e Pietro Piccirilli, scettici, l’un con l’altro, delle personali intuizioni legate al momento storico in cui la scuola d’oreficeria poté fiorire nella città dell’Aquila. Un sorta di duello, a colpi di sommarie attribuzioni d’opera e di prove documentali, che piace riproporre con due passi tratti dalle lettere spedite, con risentimento, all’attenzione del direttore di quella pregevole e, da tempo, soppressa rivista.
(Dicembre 1906, scrive Piccirilli): «Tanto dibattito fa proprio piacere, perché si ha a che fare con persone cortesi e colte e non con i così detti arrivisti i quali, a costo di rompersi il collo, si buttano a corpo perduto pur d’arrivare a far conoscere al lettore il vario loro sapere. Francamente, poi, ti confesso che non saranno sudori sprecati, perché, in fin dei conti, qualche cosa di utile se ne ricava».
(Febbraio 1907, scrive Balzano): «Bisogna esser persuasi di non tenere la storia d’un’arte d’un paese, d’una regione, se prima non siano esaminate con quella precisa intenzione le memorie, le cronache, le leggi, gli statuti, le lettere, le carte de’ privati e dei pubblici archivi, che ci rimangono, i segni di vita di quell’arte nella popolazione da cui fu ab antico praticata».
Articolo completo in pdf: Giuliani L’Universitas aquilana tratto da Panorama Numismatico nn. 277-278, ottobre-novembre 2012
di Lorenzo Bellesia
I^ Parte
Nell’adunanza del 28 aprile 1859 della Regia Accademia di Scienze, Lettere ed Arti di Modena Celestino Cavedoni dava lettura di una memoria riguardante un ripostiglio venuto alla luce molti anni prima.
Nella state (sic) dell’anno 1841 un operaio, che lavorava in un predio parrocchiale della villa di Rosola, situata nella montagna modenese al di là del fiume Panaro, distante da Modena 23 miglia all’incirca, un bel giorno si avvenne a mettere allo scoperto un vasetto di terra cotta avente forma di boccale fornito del suo manico ed inverniciato a color verdognolo soltanto nella parte interna, situato frammezzo a due lastre del macigno naturale, entro il quale erano riposte 1300 e più piccole monete d’argento de’ bassi tempi assai ben conservate. Nacque tosto contesa fra l’operaio ed il parroco, padrone del fondo, per le ragioni che ciascuno di loro aver potesse sopra quel tesoretto; per lo che quelle monete (tranne alcune poche qua e là disperse) furono depositate presso il giusdicente di Montese; e poscia vennero trasmesse all’Intendenza dei Beni Camerali ed Ecclesiastici in Modena. Nel luglio del 1843 l’A. R. dell’Arciduca Francesco IV d’Austria-Este Duca di Modena ecc., ne fece acquisto per arricchirne l’insigne suo Museo delle medaglie.
Queste le circostanze del ritrovamento e del recupero del ripostiglio che ora è conservato presso il Medagliere estense di Modena. Attualmente Rosola è una frazione di Zocca, in provincia di Modena. Il castello, detto anticamente della Rosa, è stato a lungo conteso tra i Comuni di Bologna e Modena. Rosola infatti è tra le località montane occupate dai Bolognesi e restituite al dominio modenese a seguito della sentenza di papa Bonifacio VIII del 24 dicembre 1299. A Rosola è possibile osservare i resti di una torre di quel che un tempo era il castello. Non si quale fosse il luogo preciso del ritrovamento. (altro…)
di Lorenzo Bellesia
Nel 1761 Vincenzo Bellini pubblicò il suo fondamentale libro dedicato alla monetazione ferrarese. Tra le centinaia di monete illustrate, furono descritti anche due quattrini del marchese Leonello (1441-1450): entrambi avevano al diritto lo stemma del comune di Ferrara e al rovescio San Maurelio ma in uno era presente il solo busto di fronte mentre nell’altro era in piedi col pastorale e benedicente2. Descrivendo quest’ultimo quattrino il Bellini scrisse che nel rovescio vi stà scolpita l’immagine stante di S. Maurelio, intorno alla quale corre la seguente iscrizione: S. MAVRELIVS. È anch’essa di rame mischiato con poco argento…3
Quando fu pubblicato, oltre un secolo e mezzo dopo, il volume X del CNI dove era compresa anche Ferrara, del primo quattrino, quello col busto del Santo, erano riportate ben sei varianti e citati numerosi esemplari (CNI 22-27) mentre del secondo, quello col Santo in piedi, era riportata la sola descrizione tratta dal Bellini (CNI 28).
Segue: articolo completo in formato pdf, tratto da Panorama Numismatico nr.282 – marzo 2013