Le emissioni “aggiunte” di denari piccoli della zecca senatoriale romana
LO SVILUPPO DEI DENARI PICCOLI E IL RUOLO DA ESSI SOSTENUTO NEL SISTEMA MONETARIO CAPITOLINO. BREVE PROFILO.
di Adolfo Sissia
Nel tema già complesso che riguarda la produzione del provisino senatoriale s’inseriscono con forza le emissioni dei denari piccoli da parte della zecca romana. In realtà, nello specifico, studi editi mancano del tutto, a parte qualche eccezione sul tipo provisino, e tendenzialmente si tratta la materia in modo sommario. Qui di seguito, a colmare in parte questa lacuna e sia pure restringendo in poche pagine l’argomento, sprofondato da troppo tempo in un “ingiusto oblio”, saranno segnalati dati acquisiti e considerazioni personali da esaminare.
Com’è noto, a Roma il nominale che aveva il ruolo base di moneta dell’usualità – in altri termini l’utilizzo quotidiano del circolante per transazioni di carattere medio-basso – era costituito dal denaro provisino. Tuttavia, dalla metà circa del XIV secolo, l’officina romana coniò nuove serie di denari piccoli.
Segue: articolo completo tratto da Panorama Numismatico nr.305 – Aprile 2015
Devozione, miracoli e insolite reliquie
Nell’ambito della ricerca numismatica Lucia Travaini è certamente una tra le studiose più attive. Il suo campo prediletto è l’età medievale dove ha saputo approfondire non pochi aspetti della moneta, tra cui alcuni davvero particolari. Ne è l’ennesima testimonianza questo libro che indaga la moneta non tanto come intermediaria degli scambi o come misura di valore ma piuttosto come oggetto di culto e devozione. Se sono conosciutissimi gli usi della moneta nelle fondazioni degli edifici pubblici o nella deposizione in tombe (a formare il cosiddetto obolo di Caronte o come offerte), meno noti e più curiosi sono i suoi impieghi religiosi il tutto documentato negli scavi archeologici.
di Achille Giuliani
La vitalità storiografica e letteraria della zecca aquilana e una finestra sulle vicende sociali e araldiche della città che ha permesso di riaprire l’interpretazione allegorica di un rarissimo bolognino di re ladislao, dimenticato dagli studiosi di numismatica e creduto unico.
In una delle mie prime letture sull’oreficeria aquilana nella tarda età di Mezzo rimasi sgomento nel seguire lo stizzito botta e risposta, mostrato ai primi del Novecento dalla Rivista Abruzzese di Scienze, Lettere ed Arti, tra due cultori di storia dell’arte, Vincenzo Balzano e Pietro Piccirilli, scettici, l’un con l’altro, delle personali intuizioni legate al momento storico in cui la scuola d’oreficeria poté fiorire nella città dell’Aquila. Un sorta di duello, a colpi di sommarie attribuzioni d’opera e di prove documentali, che piace riproporre con due passi tratti dalle lettere spedite, con risentimento, all’attenzione del direttore di quella pregevole e, da tempo, soppressa rivista.
(Dicembre 1906, scrive Piccirilli): «Tanto dibattito fa proprio piacere, perché si ha a che fare con persone cortesi e colte e non con i così detti arrivisti i quali, a costo di rompersi il collo, si buttano a corpo perduto pur d’arrivare a far conoscere al lettore il vario loro sapere. Francamente, poi, ti confesso che non saranno sudori sprecati, perché, in fin dei conti, qualche cosa di utile se ne ricava».
(Febbraio 1907, scrive Balzano): «Bisogna esser persuasi di non tenere la storia d’un’arte d’un paese, d’una regione, se prima non siano esaminate con quella precisa intenzione le memorie, le cronache, le leggi, gli statuti, le lettere, le carte de’ privati e dei pubblici archivi, che ci rimangono, i segni di vita di quell’arte nella popolazione da cui fu ab antico praticata».
Articolo completo in pdf: Giuliani L’Universitas aquilana tratto da Panorama Numismatico nn. 277-278, ottobre-novembre 2012