Nel 1923 il Museo Nazionale Romano acquistò per 700 lire un ripostiglio di denari imperiali romani in possesso di un “rigattiere” di Beirut, destinandolo al Medagliere MNR. Pubblicato nel 1925 da Secondina Lorenza Cesano negli Atti e Memorie dell’Istituto Italiano di Numismatica, questo ripostiglio è stato ora oggetto di un riesame critico da parte di Simone Boccardi. Si tratta di 261 denari di cui il più antico è di Nerone (quello, comunissimo, con al rovescio Giove seduto, RIC 69) e i più recenti sono rappresentati in numero consistente da emissioni dei Severi. La moneta che verosimilmente chiude il ripostiglio è un denario di Caracalla con l’indicazione della TR P XVII, databile al 214 (RIC 240), a cui si affiancano quello datato genericamente al 213-217 d.C. (RIC 308) e l’emissione a nome di Giulia Domna del 211-217 d.C. (RIC 382). Particolarmente significativi dal punto di vista numerico anche i gruppi di monete dei Flavi e di Traiano.
L’autore prende spunto da questo ripostiglio per ripercorrere la storia del denario a partire dalla riforma di Nerone per poi analizzarne puntualmente le successive svalutazioni nell’intrinseco e indagare come queste abbiano influito sulla circolazione della moneta argentea e sulla sua tesaurizzazione. Titolo e peso del denario infatti non furono stabili. Dalla riforma voluta da Nerone nel 64 d.C. il denario subì progressive svalutazioni non sempre evidenti, tanto che in alcuni periodi le autorità dovettero scaricare sul titolo della moneta le difficoltà contingenti. Partito con un fino di circa il 97%, il denario nell’età dei Severi scese sino a circa il 50% verosimilmente per finanziare le ingenti spese per l’esercito. (altro…)
Pablo Giacosa, Socio del Centro Numismatico Valdostano, ha recentemente firmato un libro intitolato Gettoni Monetali della Valle d’Aosta che, unico nel suo genere, offre una completa classificazione di questi oggetti monetali, indicando i locali che usavano questi surrogati della moneta, sottolineandone la storia ed evidenziando anche curiosità ed errori.
Nella Valle d’Aosta degli anni ’20 del Novecento e fino alla fine della Seconda guerra mondiale, circolavano gettoni con stampato il valore in lire per sopperire alla carenza del denaro circolante che sostituiva quello a corso legale perché diventato raro e non più coniato per un paese che usciva, seppur vincitore, dalla disastrosa Grande Guerra. Ma quei “gettoni monetali” degli anni fra le due guerre, dal punto di vista storico, sociale e artistico, sono di grande interesse. Per la maggior parte, erano costituiti in ottone e venivano coniati da negozi e locali di ritrovo, non soltanto di Aosta, per consentire l’acquisto dei loro beni e servizi, oppure dall’azienda siderurgica Cogne da spendere nella mensa.
Questo volume festeggia il decennale di Numismatica Italiana, il più grande e attivo gruppo Facebook in Italia dedicato alla passione per la numismatica, con 17.000 utenti attivi. Per gli appassionati, la possibilità di scambiarsi informazioni e rimanere aggiornati sulle novità in ambito numismatico è fondamentale: sono centinaia i contributi che vengono giornalmente pubblicati sulla pagina di Numismatica Italiana e, per motivi di spazio, molti sono quelli che non possono essere approfonditi.
Il libro nasce dalla volontà di recuperare e raccogliere gli interventi di alcuni dei suoi membri, tra cui alcune firme importanti, e di condividere conoscenze ed esperienze maturate nel corso degli anni.
Il volume Il Francia e gli incisori italiani del Rinascimento, curato dall’Accademia Italiana di Studi Numismatici, raccoglie alcuni dei contributi presentati al Convegno di studi In punta di bulino. Francesco Francia e gli incisori italiani del Rinascimento, svoltosi il 14 ottobre 2017 nella Sala delle Conferenze del Museo Civico Archeologico di Bologna per celebrare il quinto secolo dalla scomparsa dell’incisore Francesco Raibolini detto “il Francia”, avvenuta a Bologna il 5 gennaio 1517. L’artista bolognese, infatti, oltre che eccellente nell’arte della pittura, fin dal 1485 iniziò ad avvicinarsi all’arte orafa, incidendo conii e realizzando medaglie divenendo, anche in questo campo, un esponente di primo piano nel panorama italiano.
Ci sono luoghi del pensiero in cui spesso un collezionista o un cultore monetario veleggia con sospirata nostalgia, attingendo allo scrigno dei ricordi e all’ardore dell’immaginazione per interpretare, con spirito nuovo, tempi e luoghi ormai lontani, da cui trae origine la sua storia. In Italia, dove la sensibilità artistica e la vena poetica hanno acquisito uno statuto particolare, questa forma del pensiero assume una conformazione precisa: un itinerarium mentis, che dalla severità barocca di Barbetti approda alla postmodernità policromatica di Capranesi, evolvendo verso sentieri tecnologici sempre più attuali e affascinanti.
Stiamo parlando del biglietto più conosciuto e nominato nella storia della cartamoneta italiana, un topos del pensiero e dell’azione: il simbolo della cartamoneta per antonomasia incarnato per secoli dal biglietto da Mille Lire. Questo “personaggio”, dal carisma magnetico, ha assunto fattezze e colori diversi nel corso della sua lunga storia. Compie il suo esordio a Torino, nel 1746 come cartamoneta di Stato con rendita annuale, per poi prendersi una “pausa tecnica” di circa un quarto di secolo. Infatti, a causa della Rivoluzione Francese nonché dell’invasione napoleonica, i “biglietti delle Regie Finanze” di Torino subirono una forte perdita del potere di acquisto e cessarono il loro corso con la loro ultima emissione del primo settembre 1799.