Ci sono luoghi del pensiero in cui spesso un collezionista o un cultore monetario veleggia con sospirata nostalgia, attingendo allo scrigno dei ricordi e all’ardore dell’immaginazione per interpretare, con spirito nuovo, tempi e luoghi ormai lontani, da cui trae origine la sua storia. In Italia, dove la sensibilità artistica e la vena poetica hanno acquisito uno statuto particolare, questa forma del pensiero assume una conformazione precisa: un itinerarium mentis, che dalla severità barocca di Barbetti approda alla postmodernità policromatica di Capranesi, evolvendo verso sentieri tecnologici sempre più attuali e affascinanti.
Stiamo parlando del biglietto più conosciuto e nominato nella storia della cartamoneta italiana, un topos del pensiero e dell’azione: il simbolo della cartamoneta per antonomasia incarnato per secoli dal biglietto da Mille Lire. Questo “personaggio”, dal carisma magnetico, ha assunto fattezze e colori diversi nel corso della sua lunga storia. Compie il suo esordio a Torino, nel 1746 come cartamoneta di Stato con rendita annuale, per poi prendersi una “pausa tecnica” di circa un quarto di secolo. Infatti, a causa della Rivoluzione Francese nonché dell’invasione napoleonica, i “biglietti delle Regie Finanze” di Torino subirono una forte perdita del potere di acquisto e cessarono il loro corso con la loro ultima emissione del primo settembre 1799.
Emissione e circolazione (375-216 a C.)
Giuseppe Lulliri esordì nel 1996 con l’opera Le Monete della Sardegna Vandalica. Storia e Numismatica. Autore di testi di numismatica conosciuto a livello internazionale, nato nel 1952 a Domus de Maria (Cagliari), da oltre quarant’anni egli dedica i propri studi numismatici alla monetazione antica coniata e circolata in Sardegna, con monografie, pubblicazioni sulle principali riviste numismatiche e nei forum nazionali e internazionali del web.
Nei primi anni Novanta gli studi numismatici si sono concentrati maggiormente sulle monete vandale, sardo vandale e sulle monete di epoca vandala coniate in Sardegna durante il brevissimo periodo insurrezionale di Godas, il primo vero re della Sardegna. Fu un regno fragile il suo, che durò solo pochi mesi, dalla primavera inoltrata a inizio estate del 533 d.C. Nel contesto turbolento di quell’anno si colloca anche la fortunata scoperta di Lulliri, importante sia a livello storico che numismatico. Attraverso la complessa interpretazione dei pochi caratteri leggibili – si tratta di monetine del diametro di un centimetro circa – egli è riuscito a individuare il nome (gvda), e il titolo di re (rex), di cui fino a quel momento veniva completamente ignorata persino l’esistenza (sia del regno che delle monete). In modo analogo era ignorata, o addirittura negata, da alcuni numismatici sardi, la possibilità che in Sardegna, durante l’occupazione vandala, vi fosse stata una zecca attiva.
Da Adriano VI (1521) a Paolo V (1621)
Nel 2017 è uscito il primo volume della serie MIR dedicato alla monetazione papale dalle prime emissioni in età bizantina fino a Leone X, curato da Alessandro Toffanin. Ora l’editore, la Numismatica Varesi di Pavia, presenta già il secondo volume sempre sempre curato da Toffanin. Il periodo esaminato è giusto cent’anni andando dal pontificato di Adriano VI, eletto nel 1521, alla sede vacante seguita alla morte di Paolo V nel 1621. Come noto, l’impostazione del MIR prevede che qui siano rappresentate tutte le zecche attive a nome di quei pontefici. Oltre a quella di Roma, abbiamo perciò descritte le produzioni di Bologna, Ferrara, Avignone e Carpentrasso nonché le zecche marchigiane di Ancona, Fano, Macerata, Montalto, Camerino.
I collezionisti e gli stessi commercianti attendevano con molto interesse questo nuovo volume. La letteratura sull’argomento non è modesta. Testo di riferimento principale è da decenni ormai quello di Francesco Muntoni, catalogo esaustivo e preciso ma con una grave lacuna dal punto di vista commerciale: non presenta le rarità delle monete. Nel corso degli anni molto è stato pubblicato su questa o quella zecca, anche comprendendo rarità e prezzi, ma nulla era stato fatto a livello complessivo. Così l’opera di Toffanin conoscerà senza dubbio un grande successo perché darà una base di valutazione alle monete.
La monetazione di Malta è stata in passato oggetto di diverse monografie. Si va indietro a quella di Furse del 1889 ma il principale riferimento attuale è l’opera di Restelli e Sammut del 1977. Ora si presenta un nuovo studio basato su una ricerca davvero capillare.
Alla base del libro vi è stata infatti una enorme raccolta di documentazione tra musei, collezioni private e cataloghi d’asta. L’autore afferma di aver censito ben 16.600 monete suddividendole in ben 2.850 varianti. Ogni tipologia è esaminata attraverso tutte le varianti rintracciate tanto che i particolari vengono evidenziati uno a uno. Un lavoro davvero certosino, quello dell’autore, fatto anche sulle monete più comuni di cui si arrivano a contare decine e decine di varianti.
Dopo il suo ormai fondamentale trattato sulla monetazione napoletana dopo Carlo II di Spagna e Francesco II di Borbone (1674-1860), Pietro Magliocca continua le sue ricerche e ora approfondisce studi connessi a un periodo molto particolare e ricco di problematiche per la numismatica del Regno di Napoli come sono gli anni che intercorrono tra il 1616 e il 1623, cioè tra la fine dell’età di Filippo III e gli inizi di quella di Filippo IV. Dal punto di vista strettamente legato alla moneta, il più grave problema era costituito dal fenomeno della tosatura, pratica con la quale si asportava fraudolentemente del metallo dal contorno. Reimmettendo in circolazione le monete tosate si creavano numerosi problemi perché nascevano di continuo contestazioni tra chi le voleva spendere e chi invece non le voleva accettare. I problemi del commercio si trasferirono ben presto anche nell’economia reale causando carestie e crisi economiche e a nulla valsero le continue leggi emanate volte a punire i tosatori.