Giove in piedi con fulmine e scettro su un bronzo dell'impero. La leggenda è IOVI CONSERVATORI
di Mariella Cambi Mariani
Per i Romani, Giove era il capo supremo degli dèi, i quali, più che virtù taumaturgiche, avevano personalità di carattere umano. Ne derivavano gli inconvenienti di una famiglia numerosa costretta alla coabitazione, con liti sempre aperte che il patriarca, anzichè sedare, spesso fomentava.
Il nome ha radici indoeuropee e significa risplendere al pari del corrispondente greco Zeus. Gli si attribuiva la spartizione dell’universo: a Plutone avrebbe assegnato il regno infernale e a Nettuno il mare, lasciando per sè la terraferma, più il cielo e l’aria.
Il Giove latino, o IVPPITER, fu comune a tutti i popoli italici e il primo epiteto che ricevette fu LVCETIVS, “apportatore di luce”. Al suo culto era preposto un sacerdote particolare, detto Flamen Diatis, che gli sacrificava una pecora bianca il giorno delle Idi, che cadevano il 13 o il 15 del mese. A quelle di ottobre, o Ferie lovis, si celebravano i ludi capitolini, perché il suo tempio principale era sul Campidoglio, accanto a quelli di Giunone e Minerva, e là i comandanti vittoriosi salivano a rendere grazie offrendo le spoglie del nemico ucciso. Il Grande tempio era stato eretto nel 509 a.c.; prima di allora Giove era adorato semplicemente sulle are sacrificali sotto il simbolo di una pietra, con il nome di luppiter Lapis.
Articolo completo in formato PDF tratto da Panorama Numismatico nr.54/giugno 1992 – richiesto da un ns. lettore.