di Gianni Graziosi
EDITTI, GRIDA, STATUTI E TARIFFE DEL XVI – XVII SECOLO CI RACCONTANO DI MONETE, DI CONSUETUDINI, DI PENE CORPORALI E PECUNIARIE.
Mi è capitato di sfogliare e leggere il volume Statuti e leggi per il marchesato di Vignola pubblicato, nel 1877 dalla tipografia di Antonio Monti, per iniziativa della Società Vignolese di storia patria e arti belle, il presidente della società era l’avvocato Arsenio Crespellani (1828-1900). Dalla lettura sono emerse notizie e curiosità che riguardano anche le monete. Prima di illustrarne qualche esempio indicativo può essere utile inquadrare brevemente il periodo storico che ha visto l’emanazione di questi statuti.
Con la morte, nel 1575, di Ercole Contrari il feudo di Vignola devolvette, per mancanza di eredi diretti, ad Alfonso II d’Este (1559-1597) (fig. 1) il quale lo governò per due anni. La famiglia ferrarese dei Contrari (fig. 2) aveva ricevuto in dono, nel 1401, dal marchese di Ferrara Niccolò III (fig. 3) la rocca (fig. 4) e il feudo di Vignola. La morte del conte Ercole, probabilmente, è da attribuire alla difficile relazione sentimentale che lo univa a Lucrezia d’Este (1535-1598) (fig. 5) sposata con Francesco Maria della Rovere. Alfonso II, venuto a conoscenza dei fatti, ritenne di dover mettere a tacere il disonorevole scandalo e, il 2 agosto, fece strangolare il povero conte. Lucrezia, nel 1580, fondò un istituto per le donne che erano vittime di violenza da parte dei mariti. Il 5 agosto 1577 venne investito del titolo di marchese Giacomo (o Jacopo) Boncompagni (1577-1612), figlio legittimo di papa Gregorio XIII (1572-1585), ceppo dell’illustre famiglia che per oltre due secoli ebbe la signoria di quei territori. Giacomo nacque (8 maggio 1548) dalla relazione fra Ugo Boncompagni, allora chierico, e Maddalena Fulchini da Carpi (Modena) che lavorava a Bologna presso la di lui cognata. Ugo intraprese la carriera ecclesiastica e, nel 1558, diventò vescovo di Vieste, nel 1565, cardinale di San Sisto ed infine, il 13 maggio 1572, venne eletto 226° successore di Pietro assumendo il nome di Gregorio XIII (fig. 6).
A due anni esatti dalla scomparsa dell’ultimo discendente maschio di casa Contrari, il notaio Giulio Piganti aveva rogato l’atto di vendita del feudo vignolese, l’investitura dei Boncompagni costò la ragguardevole cifra di 70.000 scudi d’oro (fig. 7). In questo modo per Vignola, ed i suoi possedimenti, si chiudeva un’epoca e definitivamente tramontava il sogno di una qualche autonomia. Dai documenti noti oggi sappiamo che il feudo di Vignola, eretto a contea nel 1453, venne elevato al rango di marchesato il 13 gennaio 1575, pochi mesi prima della tragica morte di Ercole Contrari.
All’inizio i Boncompagni tennero in vigore gli statuti di Modena e Monfestino e ripubblicarono gli editti dei Contrari che giudicarono opportuni, mitigando a volte il rigore delle pene ed abrogando le norme ritenute troppo vessatorie, provvedendo alla bisogna con nuove grida. Gregorio Boncompagni (1612-1628), Duca di Sora, et Arce, signor d’Arpino, e marchese di Vignola, figlio e successore di Jacopo, il 20 novembre 1616 pubblicò gli Statuti e leggi per il marchesato di Vignola, una raccolta di disposizioni varie divisa in due parti. Nella prima, dopo alcuni comandi tendenti ad impedire le prevaricazioni degli ufficiali di governo, e dopo rubriche su materie penali e relativa procedura, è formulata una nuova costituzione del comune. Al Consiglio o Parlamento generale fu riservata la trattazione di cose gravi e straordinarie e l’elezione degli huomini habili al governo della comunità. Costoro formavano il Consiglio di Governo a cui spettava la scelta del Sindaco e dei Priori. La seconda parte di questi statuti contiene una raccolta di disposizioni penali come bandi e gride generali. Nella parte introduttiva si può leggere “Desiderando Noi che in questo Nostro Marchesato di Vignola si viva col timor di Dio, et ciaschun attenda alla quiete, e pace, e s’astenga dall’offendere altri, commettere errori, e delitti; et volendo provvedere per quanto potiamo, che in ogni modo si faccia se non per amore della Virtù, et odio dei Vizii, almeno per timor della pena havemo rissoluto di fare gl’infrascritti Ordini, Bandi, e Prohibizione da osservarsi da tutti inviolabilmente, revocando, et annullando tutti gl’altri Bandi Generali, e speciali fatti per l’adietro nelli Cappi però infrascritti solamente. Ordiniamo che a questi si debba attendere, ne ardisca alcuno contravenire, altrimenti contro gl’inobedienti in tutti i Cappi compresi in essi si procederà per via d’Inquisitione, denuncia, accusa notoria per l’Ufficio, et in ogni altro miglior modo che parerà alli Ministri di Giustizia ispediente, acciò li delitti venghino in luce e li delinquenti habbino il condegno Castigo.”.
Segue: articolo completo in formato pdf da Panorama Numismatico nr.258, gennaio 2011