di Francesco Punzi – da Panorama Numismatico nr.254/Settembre 2010
L’ETERNO SOGNO DI FAR RIVIVERE LA ROMA DEI CESARI NELLE QUADRUPLE E DOPPIE NAPOLETANE
Premessa storica
Sotto il dominio di Carlo V si ebbero in Napoli tre avvenimenti di grande portata che vennero riportati su monete coeve.
Il primo avvenimento fu l’assedio sostenuto in Napoli, nel 1528, dagli Imperiali comandati da Filippo d’Orange, contro le forze francesi di Odetto di Foix, signore di Lautrec e maresciallo di Francia, che invano cercò di occupare la città. L’assedio durò oltre tre mesi, dal maggio all’agosto, ma alla fine i Francesi, morto il Lautrec di peste il 15 agosto 1528, furono costretti a sgomberare il campo. Tale evento è ricordato su due pezzi di altissima rarità, cioè lo scudo ed il mezzo scudo ossidionale (fig.1).
Il secondo avvenimento fu il tentativo, compiuto dal vicerè, don Pedro de Toledo, nel 1547, di introdurre a Napoli l’Inquisizione di Spagna, essendosi incominciato a diffondere tra il popolo un movimento protestante di tipo particolare, facente capo a Giovanni di Valdès, che cercava di convertire il popolo. Il vicerè fece bruciare in pubblico tutti i libri della dottrina di Lutero e chiamò da Roma il tribunale dell’Inquisizione.
I Napoletani si ribellarono e corsero alle armi, uccidendo alcuni soldati spagnoli; dal canto suo il vicerè, per tutta risposta, ordinò esecuzioni capitali.
La sollevazione evitò per la seconda volta ai Napoletani l’onta di questo odiato e temuto organo perchè essi inviarono un’ambasceria all’imperatore e, per ottenerne il perdono, dovettero pagare una somma di 100.000 ducati d’oro, ricevendone in cambio la formale promessa che a Napoli mai sarebbe stata introdotta l’Inquisizione di Spagna.
In relazione al secondo avvenimento furono coniati pezzi d’oro da 4 e 2 scudi che recano al rovescio una figura muliebre: la Pace, con una cornucopia nella mano sinistra ed una fiaccola nella destra, che brucia alcuni libri ed armi e la legenda MAGNA OPERA DOMINI a ricordo dell’editto di Carlo V del 23 ottobre 1547 con il quale appunto si concedeva il perdono imperiale alla città, un perdono non dovuto, come si è visto, alla liberalità del sovrano quanto all’esborso di una somma rilevante. L’editto è della massima importanza in quanto riconferma la promessa già fatta ai Napoletani da Ferdinando il Cattolico, dietro analogo congruo compenso, che mai il tribunale dell’Inquisizione sarebbe stato istituito a Napoli.
Mentre il primo pagamento fu effettuato solo dalla nobiltà napoletana al secondo pagamento parteciparono anche il popolo e la borghesia.
In seguito ad esso Napoli fu il solo territorio dell’Impero a non patire le tristi conseguenze dell’Inquisizione.
C’è infine un terzo avvenimento, correlato sia alla storia di Napoli che alle vicende dell’imperatore, che è la battaglia di Muhlberg, combattuta sulle rive dell’Elba il 24 aprile 1547, quando l’esercito imperiale sconfisse le truppe della lega protestante comandate dal langravio d’Assia e dal principe elettore Giovanni Federico di Sassonia. Quest’ultimo fu fatto prigioniero dal duca d’Alba e costretto a firmare la capitolazione a Wittenberg, la stessa città dove Lutero aveva dato l’avvio alla Riforma affiggendo le sue novantacinque tesi alle porte del Duomo.
Al successo di Muhlberg concorsero, secondo il Sambon, anche truppe napoletane. L’evento sarebbe stato ricordato con l’emissione di una serie di monete d’oro da 2 scudi con la legenda VICTORIA CAESARIS che recano al diritto un ritratto dell’imperatore (con corona radiata o con corona imperiale) e, al rovescio, Minerva galeata seduta presso un mucchio d’armi, reggendo con la sinistra un’asta.
Le monete
L’esame delle monete di Carlo V merita una più accurata indagine sia per la vastità e l’importanza della sua azione politica sia per la molteplicità e bellezza dei pezzi coniati nei vari anni e sotto diversi nominali.
Secondo quanto risulta da documenti dell’archivio storico di Simancas (fig. 2) nel 1533 fu sospesa nella zecca di Napoli la coniazione dell’argento per essere ripresa solo dopo il 1542.
Esaminiamo invece cosa avvenne per l’oro.
Nel 1538, come emerge dai documenti riportati dal Turbolo (Discorso sopra la moneta del regno di Napoli, pubblicato nel 1629), fu stabilito di coniare nella zecca di Napoli non più ducati di tipo aragonese ma scudi d’oro e relativi multipli (doppie, quadruple) con le seguenti caratteristiche: titolo di 22 carati e peso di circa 3,40 grammi.
Tra questi pezzi d’oro spiccano soprattutto le superbe quadruple (del valore di 4 scudi), di grande modulo e peso, con l’immagine, al diritto, dell’imperatore laureato, con un’espressione ieratica da cui traspare tutta la sua maestà, nulla invidiando ai migliori aurei degli imperatori romani, ed al rovescio la Pace.
La zecca napoletana
La direzione dell’officina della zecca era affidata sotto Carlo V, oltre che al maestro di zecca, a funzionari e lavoranti.
Tra i funzionari vi erano: il luogotenente del maestro di zecca, il credenziere maggiore, il maestro di conio (cioè l’incisore), il maestro di prova, il guardiaprove, il comprobatore, il giudice delle differenze, il credenziere della bilancia piccola, nonché sostituti, aiutanti, scrivani. Tra gli operai vi erano poi i coniatori, che battevano le monete al martello, gli affilatori, che affilavano ed aggiustavano le monete, gli obrieri, che le allargavano e le rendevano tonde.
Da un documento del 12 ottobre 1546, relativo ai diritti sull’oro e pubblicato dal Prota, risulta che il credenziere maggiore percepiva grani 4, il credenziere della sajola grani 7, il mastro di prova 2 di più di quanto aveva, il comprobatore 5 grani, il campione 4 grani, gli affilatori 5 grani.
Gli incisori
Fra gli incisori monetali del tempo di Carlo V vanno menzionati:
– Agostino de Augusto, che lavorò anche per Ferdinando il Cattolico, successe a Bernardino da Bove e morì nel 1528.
– Domenico della Musica, principale incisore della zecca dal 1528 al 1539, anno in cui morì di peste.
– Giovanni Antonio Ennece (1539-1555 ?), un artista napoletano ben più esperto dei precedenti, al cui bulino, con la collaborazione del suo compagno Scipione Fontana (poi sostituito da Leonardo Castellano), sono dovuti gli stupendi coni delle doppie e delle quadruple d’oro (oltre alle ultime emissioni d’argento di Carlo V) in cui l’effigie del sovrano è rappresentata con grande verità e precisione, indulgendo generosamente sugli impietosi particolari anatomici ben espressi dal ritratto coronato dei carlini giovanili dove la regale mandibola malamente sporgente (traduzione dell’Asburgico prognatismo) lasciava la bocca semiaperta in una sorta di ghigno stupefatto.
I maestri di zecca
Premesso che nessuna delle monete napoletane di Carlo V porta la data, fatta eccezione per lo scudo e mezzo scudo ossidionale (fig. 1) battuti durante l’assedio di Napoli (1528), noi siamo obbligati a servirci delle iniziali dei maestri di zecca, dei quali conosciamo la cronologia, per poter datare le monete in esame. I nomi di questi maestri di zecca rimasero per molti anni sconosciuti, finchè il Sambon, con un paziente e tenace lavoro condotto nell’Archivio di Stato di Napoli, riuscì a compilarne un elenco pressocchè completo. Circa vent’anni dopo il Prota attinse largamente a questi dati integrandoli.
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Nel nome di Carlo V Imperatore (2,5 MB)