Nel secolo scorso lo storico fermano Gaetano De Minicis fece conoscere al mondo culturale del suo tempo una importantissima novità numismatica e storica riguardante Fermo e il Piceno. Egli giunse ad accertare che la città di Fermo sin dai tempi più antichi e prima ancora di essere sottomessa dai romani, ebbe una zecca o come riferì testualmente “una officina monetale”.
Nel 1840 il De Minicis fece partecipe della sua scoperta lo studioso numismatico Achille Gennarelli, della Pontificia Accademia Romana di Archeologia, al quale inviò una lettera informandolo:
- di aver potuto studiare una moneta “ars grave” fermana custodita nella raccolta della famiglia Bellini di Osimo, avente ben visibile la scrittura retrorsa FIR, nome di Fermo pre-romana, recante in una parte una testa di bue e le lettere sopra citate e dall’altra una testa femminile “col volto di una dea”;
- di essere venuto in possesso, a Fermo, di altra moneta di bronzo (diobolo) anch’essa con la chiara epigrafe FIR, avente da un verso un’ascia bipenne e dall’altro una punta di lancia con a fianco la solita dicitura FIR;
- che il peso delle due monete corrispondeva a quello delle monete di Atri e Rimini, città picene e che le loro scritte erano, a volte, retrose proprio come nel triobolo fermano;
- che la testa di bue raffigurata nella prima moneta simboleggiava l’origine dei piceni, discendenti da sabini giunti nelle nostre contrade in conseguenza di “sacre trasmigrazioni” guidate appunto da un bue, animale considerato sacro e che la testa di donna si doveva attribuire a Diana, dea della caccia, una divinità appropriata per il Piceno, allora ricoperto da vasti e numerosi boschi.
La punta di lancia e l’ascia bipenne del diobolo stavano a significare rispettivamente il valore guerriero e il lavoro industrioso. - che il Piceno pre-romano, le cui città erano federate fra loro, non poteva, per le necessità commerciali delle varie popolazioni, avere due so le “officine monetali”: quella di Rimini e quella di Atri (Hadria Picena), esistendo una notevole distanza fra l’una e l’altra e poste agli estremi confini della regione, pertanto doveva esistere almeno un’altra zecca e questa non poteva che essere a Fermo, sia per l’importanza della città, sia per la sua posizione geografica che la poneva proprio al centro del Piceno, come allora era configurato.
Segue: articolo completo in formato pdf (0,6 MB) da Panorama Numismatico nr.28/luglio 1988, articolo richiesto da un ns. lettore