Probabilmente in periodo merovingio non c’era molta necessità di coniare l’argento poiché la circolazione monetaria era molto limitata mentre l’oro più che alla circolazione serviva per l’accumulo, per gratificare determinate persone, per il commercio internazionale. Con i Carolingi invece crebbe la necessità di moneta circolante e l’oro non poteva servire per un largo impiego.
La coniazione di massa di monete d’argento fu autorizzata da disposizioni di Pipino il Breve e Carlo Magno. Quest’ultimo, anche per incrementare il commercio, intraprese una riforma monetaria che riservò al sovrano il diritto di coniare ed all’argento il ruolo di metallo trainante e quasi unico per la produzione di monete. La moneta base, e praticamente unica, fu il denario poiché il solido, equivalente a 12 denari, e la lira (240 denari) erano unità di conto valevoli soltanto per la contabilità.
Così, su disposizioni emesse negli anni 754 e 755, da una libbra d’argento (grammi 409,5) si dovevano coniare monete per non più di ventidue solidi, cioè una libbra d’argento bastava per coniare 264 denari e quindi ne consegue che un denario pesava 1,55 grammi circa. Si ebbe un sistema monetario del tutto autonomo rispetto a Costantinopoli e all’Islam e che durò per tutto l’alto Medioevo e fino al secolo XI.
I privati portavano l’argento alla zecca e per la coniazione pagavano una commissione di un solido, cioè dodici denari, per ogni ventidue solidi coniati.
Se con i Merovingi la coniazione era polverizzata e si producevano monete senza il nome del sovrano, Carlo Magno vietò le coniazioni locali e nel 794 minacciò misure personali, fino alla fustigazione, per chi rifiutava di accettare monete coniate a nome del re e ne usava altre. Queste minacce non sortirono i risultati sperati e tuttavia Carlo ottenne che le coniazioni locali si facessero a nome del sovrano. Carlo cercò anche di stabilizzare i prezzi, fissandone il livello massimo per alcune categorie come gli alimentari di prima necessità, furono ridotte le tasse di trasporto, dei pedaggi e dazi doganali, furono regolarmente le riscossioni ed il commercio degli schiavi non proibito dalla chiesa.
Tutta l’amministrazione dello stato veniva regolarmente tenuta in assemblee annuali delle gerarchie laiche ed ecclesiastiche, dette Placitus generale o magiscampus poiché solitamente si tenevano nel mese di maggio. Le deliberazioni di queste assemblee venivano prolungate sotto forma di norme dette Capitularia, ed il compito di divulgare tali norme fu assegnato a magistrati itineranti detti missi dominici i quali di solito agivano in coppia, un laico ed un ecclesiastico.
L’autorità di Carlo Magno superava i confini del suo regno per abbracciare un mondo più vasto e complesso. Questo mondo popolato da varie stirpi era cementato ormai da una struttura spirituale scaturita da una comune fede religiosa. Carlo Magno, rex francorum, era indicato come rector popoli cristiani, honor et gloria popoli cristiani, lo si definiva come arma pontificum, spes et defensio cleri.
Carlo (fig. 10) fu elevato al soglio imperiale nella notte di Natale dell’anno 800; nel Liber Pontificalis è scritto … nella città di Roma ove sempre avevan risieduto i Cesari. E poiché Iddio aveva posto la Germania, l’Italia, la Francia nelle sue mani, con l’aiuto di Dio e su preghiera di tutto il popolo cristiano egli assunse il titolo di imperatore e lo consacrò papa Leone.
La cancelleria imperiale così definì la nuova suprema dignità: CAROLUS IMPERATOR AUGUSTUS ROMANI GUBERNANS IMPERIUM (fig. 11).
Carlo Magno morì nel 814 e ben presto l’unità dello stato si dissolse poiché i suoi successori non ne avevano né l’autorità né il carisma. In campo monetario ci furono tentativi di mantenere la centralizzazione delle emissioni; Carlo il Calvo nell’864 emise un editto che è il documento più antico del periodo medioevale sulla regolamentazione delle emissioni monetarie che ci sia giunto.
In base a tale editto oltre alle zecche imperiali ricevevano diritto di battere moneta anche otto città, tra cui Parigi, Rouen, Reims, Orleans.
Il Tesoro forniva l’argento il quale, dopo un certo tempo, doveva ritornare nelle casse reali sotto forma di moneta dietro il pagamento di una certa somma per la lavorazione. Nel caso in cui sullo zecchiere fossero caduti sospetti di ruberia, o per aver imboscato metallo o perché la lega della moneta non risultava quella dovuta, egli doveva dissiparli sottoponendosi al giudizio divino che consentiva nella prova del fuoco e dell’acqua bollente. Se il malcapitato non superava la prova, come di regola avveniva, gli veniva tagliata la mano poiché riconosciuto falsario.
L’aspetto della moneta era prestabilito: al diritto il nome del sovrano in leggenda circolare con al centro il monogramma del re, al rovescio indicazione della zecca ed al centro la croce.
Le monete vecchie dovevano essere consegnate. Coloro che coniavano da privati erano equiparati ai falsari, si stabiliva il rapporto tra l’oro e l’argento e si faceva severo divieto di diminuire la percentuale di metallo pregiato nella lega e si proibiva ugualmente di possedere lingotti d’argento di bassa lega. In queste varie maniere il re dei Franchi tentavano di fare ordine nell’emissione e circolazione monetaria.
Non durò molto poiché, scomparso Carlo Magno, non si trovò un successore di uguale personalità e si arrivò alla frammentazione feudale. In condizioni di economia naturale ogni proprietà terriera si autogestiva, non vendeva né comprava alcunché, quindi il commercio era debolmente sviluppato e di conseguenza la circolazione monetaria non aveva un posto di rilievo nella vita di ogni giorno. Il poco commercio che c’era era gravato da tasse e dazi di ogni tipo, come lo erano le emissioni monetarie.
Quando la centralizzazione cedette il passo alla frammentazione feudale commercio ed emissione monetaria non si liberarono da dazi e balzelli poiché essi passarono nelle mani dei signori locali laici ed ecclesiastici, cioè duchi, conti ed arcivescovi. Ma dopo ogni notte, anche la più buia e profonda, sorge l’alba di un nuovo giorno.
Note
Se Carlo Martello diede il nome alla dinastia carolingia, l’origine del termine merovingio è semimitologica. Infatti una leggenda tramandata da autori del VI e VII secolo dice che la figlia di Clodione detto il Chiomato, re dei Franchi Sali vissuto nel V secolo, si fosse accoppiata con un dio marino ed avesse generato Meroveo che è quindi da ritenersi il leggendario fondatore della prima dinastia franca. Secondo alcune fonti Meroveo avrebbe combattuto, come alleato, nell’esercito romano multietnico di Flavio Ezio nella battaglia dei Campi Catalaunici del 451 contro gli Unni di Attila. Da Meroveo nacque poi Childerico I che a sua volta generò Clodoveo I, vero fondatore della monarchia franca merovingia.