di Giuseppe Carucci – da Panorama Numismatico nr.226/Febbraio 2008
DOPO LA CADUTA DELL’IMPERO E LA FINE DELLA SUA IMPONENTE MONETAZIONE, LA RIPRESA DELLE CONIAZIONI FU OPERA DI QUELLE POPOLAZIONI CHE POCHI SECOLI PRIMA SI SAREBBERO DEFINITE BARBARE.
Dopo la caduta dell’impero romano d’Occidente la produzione monetaria in Europa cadde in uno stato di profonda crisi, più grave di quella dell’ultimo periodo di Roma. In un primo tempo i re delle varie etnie barbare si accontentarono della vecchia moneta romana oppure ne coniarono di nuove ad imitazione dei solidi romani e bizantini. Dapprima era loro sufficiente che sulle monete ci fossero le iniziali dei loro nomi o i relativi monogrammi.
Sulle monete del re ostrogoto Teodorico, vissuto dal 454 al 526, che fu il secondo dei re barbari di Roma, è raffigurato l’imperatore bizantino al diritto mentre al rovescio è presente il suo monogramma (fig. 1) oppure la Vittoria alata da sembrare un angelo (fig. 2). Morto Teodorico (fig. 3) divenne re il nipote Atalarico, per i primi anni con la reggenza della madre Amalasunta, e batté moneta con la scritta Ravenna felix e al rovescio le lettere DN (Dominus Noster) come illustrato dalla figura 4. L’ultimo re ostrogoto in Italia fu Teia, successore di Totila, che regnò dal 552 al 553, e fu ucciso, in battaglia dal generale bizantino Narsete. Con la morte di Teia gli Ostrogoti scomparvero dall’Italia (fig. 5). Il ritratto realistico degli imperatori romani sulle monete era ormai quasi un ricordo e tuttavia anche schematicità primitiva delle raffigurazioni sulle monete dell’alto Medioevo costituisce fonte importante dell’epoca. In particolare queste fonti ci illustrano il rapporto dei re barbari con la chiesa cristiana di Roma che aveva già un’importanza fondamentale e quasi decisiva nei rapporti di potere.
Questi sovrani barbari si ritenevano cristiani, anche se di ramo ariano, ed il monogramma di Cristo e altri simboli cristiani come la croce, che erano già comparsi sulle monete romane dai tempi di Costantino I, sono presenti quasi sempre sulle monete dei re franchi e goti del VI e VII secolo. Clodoveo I (fig. 6), re franco della dinastia dei Merovingi, pagano in origine, conscio dei vantaggi che ne avrebbe avuto si fece battezzare a Reims dal vescovo Remigio. Clodoveo sposò la principessa burgunda Clotilde, nipote del re Gundebaldo, e questo matrimonio oltre al risultato politico derivato dall’alleanza con il regno burgundo della Gallia sudorientale ebbe conseguenze anche sul piano religioso.
Gli Alamanni nel loro avvicinamento verso Occidente vennero a scontrarsi con i Franchi. Il vescovo Gregorio di Tours (fig. 7), autore dell’Historia Francorum, racconta che poiché le sorti della battaglia erano incerte Clodoveo, non contento dei suoi dei pagani che non gli davano un aiuto decisivo, si rivolse a Cristo promettendogli la conversione in cambio della vittoria. Il baratto ebbe luogo con esito positivo per entrambe le parti! Clodoveo I morì a Lutetia Parisiorum (Parigi) dove aveva sede la sua corte.
Le monete dei primi regni barbari che si formarono dopo la caduta dell’impero romano d’Occidente furono il solido romano d’oro ma soprattutto il tremisse, cioè il suo terzo, del peso di grammi 1,50 circa (fig. 8). In Francia fu rinvenuto un tesoretto di circa tremila monete auree merovinge, ed erano tutti dei tremisse. La moneta d’argento conservò la denominazione di denario ma ne venivano coniate poche quantità. Soltanto verso la fine della dinastia merovingia, quando Pipino il Breve fu incoronato re grazie all’appoggio del papa Stefano II, si cominciarono a coniare in buone quantità sia il solido che il denario, ambedue in argento, e con Carlo Magno il sistema monetario si basò essenzialmente sull’argento (fig. 9).
Inizia il periodo dei Carolingi, da Carlo Martello che diede il nome alla dinastia. Nel 732 egli riportò una vittoria sugli arabi che erano entrati in territorio franco dai Pirenei e per lungo tempo l’agiografia cristiana presentò questo scontro, che avvenne a Poitiers, come la battaglia che avrebbe salvato la cristianità dall’Islamismo. In realtà si tratto di una scaramuccia contro una delle tante incursioni dei musulmani in territorio franco, ed inoltre il suo mito fu un iniziativa propagandistica dei Pipinidi con l’obiettivo di rafforzare il proprio prestigio ed affossare la reputazione dei Merovingi, i cui ultimi sovrani si meritarono l’appellativo di re fannulloni secondo la definizione di Eginardo, biografo di Carlo Magno.
Verso la metà del XIX secolo in Francia si discuteva del motivo per cui i Merovingi coniavano quasi soltanto monete d’oro mentre con i Carolingi l’argento si prese la sua bella rivincita. Alcuni sostenevano che non c’erano riserve auree, altri che circolavano ancora parecchie monete d’argento romane e quando invece, coi Carolingi, queste monete erano ormai troppo consunte per assolvere al loro compito si riprese a coniare pezzi d’argento.