Questa è la seconda delle 3 parti dell’articolo. Per leggere la prima parte cliccare qui.
di Francesco di Rauso
Conobbe forse Corrado ch’era questo un emblema di Napoli, sin dal tempo in cui reggevasi in forma di Repubblica, e per dimostrare ch’Egli avea domato un popolo che vantava libertà, ordinò che il Cavallo si fosse posto un freno coi tanto conosciuti versi: Hactenus effraenis, Domini nunc paret habenis. Rex domat hunc Aequus Parthenopensis Equum.
In quei tempi vi fu una leggenda popolare che segnò il destino del colosso di bronzo. I napoletani crederono che fosse stato fatto fondere da Virgilio sotto la costellazione del cavallo e gli attribuirono poteri magici in grado di guarire i cavalli ammali. Per questo motivo i cittadini furono soliti portare, come buon auspicio, i loro destrieri sul posto e farli girare per tre vole intorno al monumento.
A tal proposito desidererei lanciare una provocazione: il numerale III riferito all’anno terzo della nuova era napoleonica partenopea potrebbe avere una sorta di collegamento con questo antico rito popolare o è soltanto parte di una serie di coincidenze? È chiaro che tutto ciò non trova alcun riscontro nei documenti della zecca ma è senza dubbio un’interpretazione che avvolge le due medaglie in un velo di mistero e che conferma come in quel periodo (1806-1815) l’esoterismo fosse di moda a Napoli.
L’antico cavallo non sopravvisse alla storia. Nel 1322 l’arcivescovo di Napoli, Matteo Filomarino, volle porre fine al tradizionale rito popolare intorno alla statua e diede ordine di fonderla; con il bronzo ricavato dal corpo venne fusa una grande campana per il Duomo. Fortunatamente la testa dell’animale venne risparmiata e passò ai Carafa. Un successore di questi, Diomede Carafa, duca di Maddaloni e fedelissimo al re Ferdinando I d’Aragona, la collocò nel cortile del suo palazzo in via Seggio di Nido e successivamente, nel 1809, venne portata nel Real Museo Borbonico (attuale Museo Archeologico Nazionale di Napoli). Come accennato poc’anzi, lo storico Seggio di Nido, il più antico della città insieme a quello di Capuana ebbe, sin dall’epoca della sua fondazione, il cavallo sfrenato come emblema. Riporto di seguito un passo del testo del 1752 di Pompeo Sarnelli: I Nobili di Nido eressero il lor Seggio nel canone, ed hora all’incontro di S. Maria de’ Pignatelli, e fu compiuto del 1607, dicesi di Nido; ,a come si crede corrottamente, dovendo dirsi di Nilo, per una statua del fiume Nilo poco lungi collocata. Questo Seggio tiene per insegna il Cavallo nero in Campo d’Orzo, senza freno; simulacro del Cavallo, che disse di sopra nel modo, che’l ritrovò il Re Corrado, dinotando lo stato libero antico di questa Città.
Per i suddetti motivi, il mitico cavallo di bronzo è oggi noto con l’appellativo di “cavallo di Virgilio”. Un esplicito collegamento tra la tradizionale iconografia del destriero e il grande poeta è confermato in una medaglia napoletana del 1618, omaggio al vicere duca di Ossuna. Al rovescio di questa splendida fusione troviamo un cavallo rampante e la frase di latina PRIMUS ET IRE VIAM estrapolata da un’opera di Virgilio scritta a Napoli tra il 36 e il 29 a.C., le Georgiche (libro III, versetto 77). Uno dei primi studiosi ad evidenziare un collegamento tra medaglia napoletana ed esoterismo, fu Tommaso Siciliano.
Segue la seconda parte completa dell’articolo, scaricabile in formato PDF, tratto da Panorama Numismatico n.272/aprile 2012.