Tutti i numismatici italiani conoscono Alessandro Magnaguti, appassionato cultore e collezionista di monete mantovane, il cui nome è tornato alla ribalta una decina d’anni fa in occasione dell’acquisto della sua raccolta di monete dei Gonzaga da parte dell’allora Banca Agricola Mantovana. Magnaguti era davvero un entusiasta collezionista tanto che per acquistare monete non esitò a vendere i poderi di famiglia. Oltre a questo si infervorava per tutto ciò che riguardava la numismatica. A riprova abbiamo trovato un suo articolo su una rarissima rivista, Il numismatico mantovano, edita da Oscar Rinaldi, e precisamente nel numero 2 dell’anno V dell’era fascista, cioè il 1927.
L’articolo si intitola Le più belle del mondo. Desideri e riflessioni sulle attuali monete italiane. Magnaguti, da esteta della numismatica, non apprezzava molto le monete a lui contemporanee. Per lui era innegabile che dal 1908 un impulso nuovo ed uno slancio artistico, dapprima ignorato, ha rianimata la fredda ed arida moneta (merito questo del nostro illuminato Sovrano) ma le monete continuavano a non essere ancora a quell’altezza che è tradizionale tra noi, mentre dovrebbero essere le più belle del mondo.
In effetti la numismatica italiana per i regni di Vittorio Emanuele II ed Umberto I si deve considerare veramente fredda e monotona, identica, comunque, a quella di tutte le altre nazioni europee. Già le prime emissioni di Vittorio Emanuele III segnarono un cambiamento di rotta dovuto sicuramente alle decisioni di un sovrano che tutti conoscevano come appassionato collezionista e quindi consapevole del messaggio che sapevano esprimere le monete.
Per il conte Magnaguti però questo non bastava. Egli se la prendeva anche per un particolare per noi, collezionisti moderni, assolutamente necessario sulle monete: l’indicazione del valore.
Perché le monete, si domandava Magnaguti, continuano ad essere deturpate dalla cifra del valore sopra impressovi il quale va crescendo di grandezza ogni anno di più. Egli sicuramente aveva in mente le monete da una lira tipo Italia seduta che si cominciarono a coniare dal 1922 oppure le 2 lire tipo fascio battute dal 1923 dove il valore occupa tutto il rovescio nella lira e parte del rovescio nel 2 lire. Ma in generale tutte le monete per la circolazione nel Regno d’Italia portavano il valore. Magnaguti invece si metteva nei panni dell’artista: come deve fremere, nell’intimo, l’artista della moneta, quando compiuta ormai la sua opera, dovrà porvi una cifra banale! E poi aggiungeva: ma riflettiamo; è poi essa cosa tanto utile ed indispensabile?
La spiegazione logica che l’indicazione del valore serva proprio per dare un valore certo alla moneta sarebbe ininfluente per il nostro autore. A parte che l’uso di porre il valore sulla moneta è fatto del tutto moderno (non anteriore al 1540), non vi bambino analfabeta, né cieco dalla nascita, che non sappia distinguere, sia a occhio che al tatto, un pezzo di valore, da un altro di valore diverso. Conobbi anzi un cieco, che era arrivato a una tal finezza di tatto, da distinguere un biglietto di Stato falso da uno vero.
E poi sbotta: Non ne avevano bisogno i Beoti del V sec. a.C. e i Numidi selvaggi di Massinissa, e dobbiamo aver bisogno noi di una tale indicazione, noi, che voliamo a seimila metri di altezza? Non era necessario per gli antichi, che avevano tra le mani centinaia di monete diverse, e dobbiamo averne bisogno noi, che al massimo ne possederemo una cinquantina? E tolto quello sgorbio di cifra, non si lascerebbe anche più libero lo spazio ristretto all’ispirazione dell’artista? E’ un’offesa continua al buon senso, alla coltura, all’arte della nazione, è insomma uno sconcio che si deve togliere! Ma lo trovate forse indispensabile? Scoppierebbe per questo una rivoluzione? Imprimete almeno la costola, o con la cifra o con la parola corrispondente (…) ma per amore dei nostri nipoti, non si continui a deturpare così villanamente il piccolo campo della nostra moneta!
Ed in un crescendo rossiniano Magnaguti se la prende anche per il mancato utilizzo del latino sulle monete, perché re Umberto I non si era fregiato del titolo di Erythreaus (dimenticando probabilmente la figuraccia di Adua…) mentre Vittorio Emanuele III aveva fatto lo stesso del titolo di Libicus Cyrenaicus…
E prosegue: La mia soddisfazione poi di italiano e di numismatico giungerebbe al sommo, se Sua Maestà si compiacesse di ordinare che, oltre l’Effige Sua, fosse impressa nel metallo, almeno quella della Sua Soave Consorte e del Giovane Principe Ereditario. Se ne avvantaggerebbe l’arte, la scienza, l’iconografia e lasciatemelo dire, non poco anche la devozione verso Casa Savoia. Pensate con quanta compiacenza, gli umili pastori della Sardegna o, ad esempio, i poveri pescatori di Trapani, godranno nel rimirare il volto di Coloro che sanno tanto buoni nella loro grandezza e che non potranno forse veder mai!
In questa ipocrita visione di un’Italia da cartolina e da libro Cuore ci immaginiamo il conte Magnaguti, uomo ricco e raffinato, la cui unica preoccupazione probabilmente era il comprar monete, estasiato nel pensare agli umili pastori della Sardegna ed ai poveri pescatori di Trapani la cui miseria sarebbe risultata meno amara per il solo fatto di rimirare il volto di Coloro che sanno tanto buoni…
5 Comments
MICHELE
IO ne ho una in buone condizioni vorrei, vorrei sapere quanto vale e dove posso venderla se mi conviene.GRAZIE
fabio
anch io ne possiedo una in ottime condizioni, qualcuno è interessato?
tel. 3396546718
vittorio
la mia è del 1922 in ottime condizioni
mariopatti52@gmail.com
ana lira del 1922 ottima condizione vorrei venderla
Chiara Monaldi
Può contattare un negozio di numismatica della sua zona, si tratta di una moneta non particolarmente rara ma sapranno valutarla correttamente, specie se in ottime condizioni.