– Il 22 marzo 1795 fu finalmente pubblicata una tariffa1 per cercare di riordinare il sistema monetario imponendo contestualmente l’uso della lira parmigiana nella città, borghi ed altri luoghi del Nostro Ducato di Piacenza ponendo fine ad una divisione secolare ed ormai ingiustificata2. La tariffa quindi doveva essere osservata sia a Parma che a Piacenza ed elencava monete d’oro e d’argento ma le monete erose minute che potevano circolare in detti due Ducati erano soltanto quelle locali: lire, mezze lire e quarti di lira di Parma, buttalà e mezzi buttalà di Piacenza e sesini di Parma.
– Il 26 maggio fu proibito espressamente il corso di tutta la moneta erosa estera e di tutte le altre non indicate nella tariffa precedente3.
– Rapporto da Piacenza del 30 marzo 1795 firmato da Francesco Ferrari.
Nella notte successiva al giorno dell’affissione degli editti monetarii è stata affissa la qui unita scioccaggine. Non si rimase la mattina seguente esposta agli occhi del pubblico, perché fu levata dalla sbirraglia sull’albeggiare. So che un’altra affissa espressa in termini più sconcii e temerarii che pur fu sottratta alla pubblica vista, è pervenuta alle mani del tenente colonnello conte Gaetano Serafini, e suppongo che da lui sarà stata indirizzata all’E. V.
E questa è la pasquinata in dialetto piacentino:
Altezza
Ajom vist dil moned al gran pian,
Ma n’al vorrom’, perché opra d’ parmsan.
Mandà pur s’ag ni’, e soldà, e cannon,
Ma an vorrom legg’ forma’ da chi cojon.
Sarom suddit fedei, av vorroma tutt’ ben,
Ma lassà in cors’ i pavoi, e i desdotten.
Cost’è col ch’ brama i vostr’ piasinten,
E ghi da fa’ sta grazia, si sangonen4.
– Lettera da Piacenza del 31 marzo 1795.
Frattanto l’A. S. R. approva, che ella promuova al più presto lo smercio della moneta erosa di Piemonte colla spedizione da farsene a Torino che negoziante Cavagnani nel modo dal medesimo concertato, e col carico allo stesso Cavagnani di darle conto della sua operazione dopochè si sarà ritenuto il valore delle L. 50m sovvenute, e così pure dopo che avrà ritenute a disposizione del banchiere Serventi le L. 300m da questi pur sovvenute, salvo il di più che avrà ricavato a benefizio del R. Tesoro.
– Supplica del 1 aprile 1795 che riferisce come quattro cittadini di Cortemaggiore, un pristinaro5, un oste e due macellai per comando espresso di podestà sono stati obbligati a ricevere da chiunque voleva comprare generi di prima necessità, e da calmiero le monete erose di Piemonte da soldi 7. 6 detti comunemente lironi; e che si valutavano soldi trentasei di Parma equivalenti a soldi trenta di Piacenza, in seguito di che ne hanno unite delle somme non indifferenti…
Le disposizioni date recentemente in Piacenza per tali monete di Piemonte, mettono li oratori nella detta necessità di non poterle esitare, oppure di perdervi l’ottanta per cento, lorchè produrrebbe la ruina totale dei loro interessi
– Una informativa da Castel San Giovanni del 26 febbraio 1795 firmata da Ignazio Santinelli: ho chiamati i pristinari ed ho loro comandato di doversi proseguire a vender pane senza ricusare detta moneta al solito corso, hanno promesso di ubbidire, come di fatti ubbidiscono, ma ho dovuto loro egualmente promettere di tosto rassegnare a S. A. R. non solo i pubblici clamori quant’anche l’inevitabile loro danno, ed implorarne in seguito quella provvidenza, che la saggezza del r. padrone sarà per determinare in questa circostanza, e con tale provvidenza sono cessate nel popolo le doglianze. I venditori di frumento prima di trattarne la vendita pattuiscono le specie del contante da pagarsi, ricusando apertamente e costantemente i trenta soldi. I mercanti poi di panni, sete, ed anche i venditori di comestibili non soggetti a calmiero, per le gravissime perdite, che soffri debbono nei cambi, oberano di un dieci, e fino d’un venti per cento le loro mercanzie. Più degli altri ne soffrono i pristinari, ed i venditori dei generi di calmiero, perché costretti ad osservare le tasse loro prescritte, ed a ricevere detta moneta erosa, mancando per loro in sostanza il modo di compensarsi dei danni; l’aumentare il calmiero a proporzione dell’arbitrario abuso introdotto nelle monete pare che non convenga pur non autorizzarlo, cosicché a restringere in poco il tutto, si vede che tutto il peso di tali danni viene direttamente a piombare senza rimedio sulle spalle dei poveri, che non hanno altro dennaro da provedersi alla giornata di vitto, e vestito, una tale pestifera moneta introdotta dall’avarizia in questo R. Ducato da circa sei mesi in qua con tanto danno del pubblico.
– Supplica del 19 aprile 1795.
Le amorose, e caritatevoli provvidenze date dalla R. A. V. anche a vantaggio de doveri di Borgo Taro pel cambio delle pezzette piemontesi non vengono certo eseguite di conformità della R. Vostra mente; mentre questo doganiere Carlo Ponti destinato al predetto cambio passa alla maggior parte delle persone mezzi scudi di Francia logori, e calanti a segno, che non trovansi spendere neppure rilasciando il calo; oltre di che questi si danno per lire dodici, e non per lire undici, soldi dieci sette, e denari sei, come prescrive l’editto recentemente emanato dalla R. A. V. sul corso monetario.
E siccome dal doganiere non si vogliono assolutamente permutare i detti mezzi scudi, dicendo d’averli tal quali, e pel valore di lire dodici ricevuti onde effettuare l’ordinato cambio, altro scampo non veggono i detti poveri di V. A. R. umilissimi servi, sudditi, ed o.ri ossequientissimi, che di riccorrere a vostri piedi, supplicandovi umilmente ad abbassare gli ordini opportuni, affinché venghino ritirati li detit mezzi scudi, e cambiati con miglior moneta a compito sollievo della povertà.
– Lettera da Guastalla6 del 5 settembre 1795 di Biagio Salati.
Questa provincia è oggi mai ridotta senza moneta erosa con molto pregiudizio del commercio, e massime del minuto. Il negoziante è in necessità molte volte di dover cedere a credito la sua merce per non sapere come corrispondere al compratore il ressiduo delle monete d’oro o d’argento, che gli propone per soddisfarlo, e di conseguenza è talora costretto a costituirsi dei debitori, che non sono più sicuri. Siccome poi non mancano mai gli uomini interessati ai quali non isfugge alcuna opportunità di approfittare delle circostanze succede che taluno che può essere provveduto di moneta erosa non si presta al cambio dello scudo di Francia quando non gli venga rilasciato per sole L. 23. 15, e fin anche a 23. 10. Interpellati da me questi mercanti sulla causa verosimile di questa mancanza mi adducono, che ciò procede dal corso che la suddetta moneta à ritrovato nelli Stati limitrofi del Modenese, e Mantovano, e da tre o quattro mesi pur anche nel territorio bresciano senza che sappiano proporre alcun rimedio onde provvedere al presente bisogno. Alla predetta causa vi è stato chi à voluto farmi credere che si debba aggiungere per seconda quella che questo cassiere della R. Ferma procura di trasmettere sempre a codesta cassa generale della Ferma medesima la moneta erosa non convenendogli d’inoltrare le doppie di Parma, che egli è obbligato ad esigere qui a L. 93. 2 nostre, e che da codesto cassiere non si vogliono ricevere che a sole L. 93.
– Merita di essere riportata anche la petizione inviata dal sacerdote don Giuseppe Baccalini a nome di una sua parrocchiana.
In mezzo all’afflizione estrema in cui trovasi la Rosa Gavardi abitante alla Mezzana Marazzana Cispadana della R. A. V. umilissima serva, suddita et oratrice ossequiosissima per la continuata detenzione del di lei marito Carlo Gavardi costituitosi al R. V. Comando in questo R. Castello di Piacenza, e la conseguente mancanza d’indirizzo, e governo alla sua figliolanza di quattro piccioli figli, nella situazione di una madre incinta da otto mesi e vicina al parto; afflizione, che rendesi nell’oratrice maggiore, e più desolante, quanto più fondata si è la di lei opinione, non esser egli altrimente imputabile di un criminato mercimonio della proscritta moneta erosa piemontese, di cui lo accreditò qualche maligna voce, se non quanto era in lui indispensabile di ritrarne nelle vendite de’ bestiami, ed altri generi, ricevendone a prezzo dell’unica corrente moneta, che pur vedeva in analoghi contratti di publico mercato e di Piacenza, e del contado, non che vista, e tollerata, ma canonizzata positivamente per legittimo pagamento dalla Governativa Sopraintendenza; ed era allo stesso similmente necessario di averne in mezzo alla penuria di ogni altra piccola moneta, e nazionale, ed estera per i giornalieri pagamenti di mercedi a dugento, e più uomini impiegati nella costruzione di argini notoriamente in quel tempo manufatti, e di molti altri condotti a simile quotidiana mercede ai non indifferenti lavori delli boschi, e delle piantagioni locchè lo ha più fiate costretto a cambiare ed in città di Piacenza, e ne’ borghi del contado, come può legalmente giustificare, somme d’oro, e di argento con la sopradetta moneta all’indicato uso di que’ piccioli, e quotidiani pagamenti: in mezzo, dissi la povera oratrice a questa estrema afflizione altro rifugio con trova, né fiducia di conforto, che prostrarsi genuflessa al R. Trono di V. A. R.
– L’ultimo documento del fascicolo è il seguente avviso del 23 dicembre 1795.
Sebbene in forza de’ vigenti proclami in materia di monete rimanga esclusa affatto dal commercio e proscritta dai Reali Stati qualsivoglia moneta non approvata espressamente dalla tariffa già pubblicata il dì 22 marzo 1795, incominciando tuttavia a circolare in alcuni luoghi del Ducato di Piacenza delle monete erose piemontesi di nuovo conio, e così da soldi venti, e dieci di quella moneta; perciò il Supremo Magistrato delle Reali Finanze inerendo agli ossequiati Comandi di S. A. R., spiegati in lettera di R. Segreteria del giorno 20 decembre corrente, ed in conformità altresì del disposto ne’ proclami suddetti, rende di nuovo avvertito il Pubblico, che sono affatto escluse dal commercio, e bandite le menzionate monete, come tutte le altre non comprese nella tariffa antidetta, e che gli spenditori di spezie escluse, e bandite come sopra, ed ancora i semplici detentori incorreranno la pena della prigionia, e di venti scudi d’oro, da applicarsi per una metà alla R. D. Camera, e per l’altra all’accusatore, od inventore, e che gl’introduttori delle medesime, oltre alle pene pur ora individuate, soggiaceranno a quella di tre tratti di corda, e ad altre anche maggiori, giusta la qualità de’ casi e delle persone.
Note
- M. Lopez, Aggiunte cit., pp. 194-196.
- G. Crocicchio, G. Fusconi, Zecche e monete a Piacenza, Piacenza 2007, p. 492.
- M. Lopez, Aggiunte cit., p. 196.
- Abbiamo visto della moneta il gran progetto // ma non lo vogliamo perché opera di parmigiani // mandate pure se ne avete sia soldati sia cannoni // ma non vorremo leggi formate da quei coglioni // saremo sudditi fedeli, vi vorremo tutti bene // ma lasciate in corso i paoli e i diciottini // questo è quel che vogliono i vostri piacentini // dovete fare questa grazia, così sanguinano.
- Un fornaio.
- Anche il Ducato di Guastalla, insieme a quelli di Piacenza e di Parma, era parte dei possedimenti di Ferdinando di Borbone. Era molto lontano dal Piacentino e confinava col Ducato di Mantova soggetto alla dominazione austriaca. La relazione testimonia come una certa quantità di moneta erosa straniera, venuta a mancare a seguito della proibizione voluta dal decreto del 22 marzo, fosse comunque necessaria al commercio.