– Lettera da Piacenza del 23 febbraio 1795 di Carlo Luigi Casati.
Sebbene la Camera da più argomenti abbia potuto comprendere, che la popolazione di Piacenza, e del Ducato, già comincia ad avvedersi d’un ribasso indiretto nella valutazione di tali monete sì per l’aumento de’ prezzi delle cose in generale, e specialmente de’ primarii articoli all’umana sussistenza, che per l’enorme alterazione nel corso plateale delle monete nobili d’oro, e d’argento, pure non ha osato determinare le sue ispezioni a quest’ultimo progetto, e meno farse autrice.
Ad altro progetto di sollecita, e felice provvidenza non ha saputo la Camera estendere le proprie riflessioni, e quindi si è abbandonata alla sola protezione di S. A. R. al cui Supremo Intendimento, ed Amore verso li suoi popoli non sono per mancare le provvidenze più opportune ad impedire efficacemente l’ulteriore intrusione dell’erose monete di Piemonte, a darne sfogo fuori Stato, a ristorare il cadente commercio, e ridonare a questa Città, e Ducato la prima prosperità.
Tali, Eccellenza, sono li sinceri voti di questa Camera di Commercio, che da suoi deputati nel pronto ritorno a codesta Città saranno rinovati a viva voce, e con umili suppliche alla Sovrana Clemenza, presso la quale ancor per mia parte imploro il massimo patrocinio di V. E. al bene de’ poveri, ed alla salvezza dello Stato, e del commercio.
– Lettera da Piacenza del 23 febbraio 1795 di Francesco Ferrari.
Non sentesi oggidì parlare in questa Città che di trenta soldi. Già è noto pur troppo il senso di questa denominazione. Dopo la mission di questi mercanti è giunto al furore il pericolo ch’io accennai nella rispettosa mia a V. E. del giorno 2 corrente vale a dire l’incettazion per una parte delle monete d’oro, e d’argento che introduce a profluvio la moneta erosa di Piemonte, mentre dall’altra si ricusa di riceverla ne’ contratti di entità. Intendo anzi che questa mattina cominciava a serpeggiar l’idea di escluderla eziandio ne’ venditori de’ commestibili eccitata dal ritorno dei due deputati de’ mercanti, il quale bisogna dire che abbia dato moto a dicerie o di bandi, o di tariffa di diminuzione. La verità è però ch’io non veduto persona, e non ho sentito il minimo lamento su di ciò; ma certo ho notizie, che giunge alla sfrontatezza l’accennata incettazione, e sento aversi sino emissari stranieri che si portano espressamente qui senza riguardo.
– Lettera del 26 febbraio 1795.
Riguarda i clamori di questo pubblico a cagione della moneta erosa di Piemonte introdotta in questo R. Ducato per essere la sola che circoli in mano dei poveri e nelle botteghe e sulla piazza. L’invenzione fatta giorni sono alla porta di Piacenza d’un sacchetto di detta moneta in pregiudizio di Andrea Visini mercante di qui all’ammontare di circa L. 2000 che costà faceva trasportare per pagare un di lui debito già scaduto in detta città, l’arresto personale di un mio giurisdizionario fatto dai birri di Piacenza in Borgo nuovo lunedì ora scorso per aver cambiato i così detti trenta soldi con due scudi di Francia al ragguaglio di L. 23. 10 per soddisfare un di lui debito col mercante Franzini esso pure di questa terra ha eccitato tanta, e tale diffidenza, che si è per fino progettato di chiudere le botteghe, ed anche i pubblici forni per non essere costretti a ricevere i trenta soldi, al corso fin qui tollerato.
– Lettera da Parma del 26 febbraio 1795 dei deputati della Camera di Commercio di Piacenza.
Scopertasi che si ebbe accertatamene la somma sconvenienza, tra la moneta erosa piemontese, che ha tempestato il Ducato piacentino, e tra la moneta nazionale, siccome rendevasi ineseguibile quel partito di coniazione che la Camera di Commercio di Piacenza si era lusingata che potesse plausibilmente abbracciarsi, a questo nuovo aspetto di cose credemmo espediente di comunicare a voce alla detta Camera le risultanze.
Qual sia il nuovo pensamento della medesima, ne può constare all’E. V. per la lettera del marchese Casati regio delegato la quale abbiam avuto l’onore di presentare personalmente.
A compimento della nostra Deputazione crediamo di aver a sottoporre alle considerazioni della Real Corte, che quanto può essere pericoloso l’assoluto bando della detta moneta erosa piemontese, altrettanto… può essere il partito di abbassare il valore della medesima, in modo che sia tolto qualunque incentivo di nuove introduzioni, e corrisponda il numerario al puro intrinseco.
Su questi riflessi potrebbe la Somma Clemenza del Real Sovrano annuire, che si fissasse la valutazione dai trenta soldi di Piacenza plateali a soli venti. Sarebbe un tacito bando: non si incontrerebbe il pericolo di spogliare lo Stato di qualsiasi moneta, cui varrebbe a porre un limite al sagrificio, che per altro a quest’ora è già avvenuto al Piacentino dello scapito di alcuni milioni di lire.
Siccome questo abbassamento sarebbe con rassegnazione ricevuto dal corpo intiero della Mercatura, che è persuaso esser giunta la calamità ad un estremo, che richiede un estremo rimedio, e questa medesima persuasione sarà del corpo nobile, e di tutti i cittadini, che sanno ragionare, e solo rimane il timore d’incontrare un malcontento nel basso popolo, così affine di andar al riparo di uno sconcerto, e guadagnarsi l’approvazione popolare, il Collegio della Mercatura, come noi quai Deputati per essa offeriamo, si prenderà a suo carico l’assunto di sollevare in otto mercati per un terzo del prezzo corrente tutti i ricorrenti del pubblico mercato formentario, e così nel giro di un mese per circa una volta sola ciascheduno di quelli, che così sono ammessi, onde il povero, se perde un terzo sulla moneta, abbia il compenso pur per un terzo in un articolo, che gli è così necessario.
– Relazione del 29 febbraio 1795.
Ieri ho chiamata a sessione questa Camera di Commercio per intendere a viva voce da suoi deputati le risultanze di loro opera in codesta capitale di Parma, e per procedere alle deliberazioni sopra il fatale articolo dell’erose monete di Piemonte.
Le relazioni di questi deputati hanno versato sopra un progetto di sopprimere il corso a tali monete, d’incettarle, e riprodurle a moneta erosa nazionale per il concambio a questa popolazione, e sopra le difficoltà, che s’incontrano in questo progetto, dacchè la nuova cussione limitata a soli buttalà richiederebbe diuturno tempo, e dacchè il fino di quelle monete, ed il rispettivo loro peso troppo discordano dalla proporzione di fino, e peso che da S. A. R. si prescrive ad osservanza nella R. sua Zecca.
Sopra queste relazioni la Camera ha potuto comprendere gli ostacoli gravissimi a quel progetto, e spezialmente la perdita di più millioni nell’eseguimento, a quale perdita non potrebbe reggere lo Stato senz’aggravare di nuova imposta li popoli, e quindi ha richiamate le sue disamine ad altri progetti.
L’un dessi pel bando, e prescrizione di dette erose monete di Piemonte; ma qui ha incontrato il certo pericolo della pubblica tranquillità, mentre risulta troppo enorme la copia di esse monete, che circola in questa città, e Ducato, e che ivi si è introdotta ancor dopo l’avviso penale de’ 19 9bre. L’altro pel ribasso dall’odierno corso plateale di esse monete; ma ancora sopra questo progetto ha potuto temere per alcun grado quel pericolo, dacchè tale ribasso dovrebbe esser grave per impedirne con effetto l’ulteriore introduzione, e per ottenerne alcuno sfogo fuori Stato.
– Lettera del 3 marzo 1795 da Piacenza.
… I danni che provengono dalle monete detti soldi trenta sono due sorti. Il primo del scandaloso aumento di valore delle monete qualunque d’oro, e di argento. Il secondo dal corrispondente aumento, che in conseguenza viene dati a tutti i generi e specialmente a comestibili, e questo si rifonde tutto sopra i poveri.
Per togliere e l’uno e l’altro sarebbe duopo trovare il modo più conveniente, e sollecito, e meno dannoso, con cui liberarsi delle suddette monete erose.
L’aumento delle monete d’oro, e d’argento computate al corso di mezzo, come dal compiegato foglio è di un 17% circa, quando risulterebbe del 20, 25 e 30, giacchè maggiore si rende la scarsezza delle indicate, e altre simili monete, maggiore si fa l’aggio, che quotidianamente prendono.
Per necessità è almeno corrispondente quello dei generi comestibili, perché non vegendosi in corso altre monete li soldi 30, tanto li botegari, che i rivendaroli devono procurare un equilibrio tra le valute, che esiggono, e quelle che devono procurarsi a pagare i generi che hanno ritratti dall’estero.
Si avvicina l’eccesso, nel quale il povero non potrà più sussistere; mentre quello che guadagna lire cinquanta la settimana divideva queste sopra tutti li sette giorni a ragione di lire sette circa per ogni giorno, sussistendo l’aumento de’ generi, che è in grado di crescere ogni giorno, con le lire cinquanta guadagnate con stenti, e sudori non provvederà la sua famiglia, che al più per sei giorni stentatamente, il settimo poi resterà vuoto, perché nei sei giorni passati per sussistere, le sette lire solite non erano stati bastanti, e ogni giorno ha dovuto aggiungere. Non si può calcolare quanto soffrono i poveri.
Il rimedio dovrebbe essere sollecito, colla riflessione, che non cada solo sopra del povero.
L’abolizione no certamente perché porterebbe una sostituzione d’altra moneta, e questa senza limite, perché non può evitarsi, che non ne venga maggior quantità, giacchè converrebbe fissare almeno dei giorni, e questi non servirebbero, che di maggior comodo ai monopolisti, difficili a provarli tali.
Un ribasso del corso presente dai soldi trenta alli soldi 26, e nel tempo stesso un calo ai comestibili soggetti al calmiere di qualche soldo per libra sembrerebbe l’unico ripiego, e per togliere sul momento una nuova introduzione delle dette monete, e dar tempo a più maturi, e stabili provvedimenti, e quello che è più senza esporsi al disgusto del popolo, che troverebbe in qualche modo il compenso del ribasso delle valute che tiene nelle mani, la scorta delle quali al povero termina col finire la settimana. Per la settimana immediatamente successiva a quella, nella quale si potrebbe dare il proposto provvedimento, introiterebbe bensì la detta valuta al compenso delle di lui fatiche, ma per soli soldi ventisei, e per necessità riconoscerebbe che si fatto ribasso non cadrebbe tutto sopra di esso solo.
Contemporaneamente al ribasso del calmiere parerebbe necessario un ordine alle saline, che per otto giorni esigessero dai poveri, e da quelli che comprassero non più di libre due di sale; e alla macina, che per lo stesso tempo dai soli stara due in giù esigessero i detti soldi trenta a soli ventisei, e che il pubblico venisse tutto in un tempo istrutto di tali provvidenze tendenti tutte al maggior suo solievo nelle presenti circostanze, ma però che passati detti otto giorni dovesse rimaner bandita dalle casse si fatta valuta. Sarebbe bene che negli otto giorni cadessero due mercati, e così un mercoledì, e un sabato, perché tutti i poveri ne potessero approfittare.
Succederanno dei raccorsi (?), ma sarà fermata l’introduzione delle dette monete, e si avrà tempo di dare provvidenza ai ricorrenti. Superato il primo passo, tutti gli altri verranno di conseguenza. Dai confini del Milanese si ricevono delle valute in poca quantità bensì, ma a soldi dieci, che corrispondono a soldi ventisette e denari sei di Piacenza. Si dice pure, che nell’interno di quel Ducato, si cominciano a introdurre allo stesso corso, come succede a Cotogno, e Guardamiglio.