– Saggio fatto nella Reale Zecca di Parma il 26 agosto 1794.
Assaggio fatto alle qui sotto notate monete erose di Savoja per ordine di S. E. il Sig. Conte Giuseppe Toccoli R. Delegato:
Peso | Bontà per Lib. | |||||
Epoca | Nomi delle monete | Den.ri | Grani | Oncie | Denari | Grani |
1793 | Da soldi 7.6 | 4 | 3 | |||
1794 | Da soldi 7. 6 | 4 | 2 | 2 | 12 | |
1794 | Da soldi 15 | 4 | 5 | 6 | ||
1794 | Da soldi 20 | 4 | 12 | 3 | 12 |
Ecco quindi il confronto fra il titolo ufficiale delle monete sabaude e quanto verificato alla zecca di Parma:
Epoca | Nomi delle monete | Titolo legale1 | Titolo verificato a Parma |
1793 | Da soldi 7.6 | 270,83 | 250 |
1794 | Da soldi 7.6 | 270,83 | 208,33 |
1794 | Da soldi 15 | 437,50 | 437,50 |
1794 | Da soldi 20 | 294,67 | 291,67 |
Secondo questo saggio le monete da 15 e 20 soldi furono battute al titolo prescritto dalla legge mentre quelle da 7 soldi e mezzo risultarono ben inferiori anche se non risulta ci fossero state disposizioni in tal senso.
– Fu quindi prodotta, nell’agosto 1794, questa bozza di avviso in materia di moneta2.
Introdottasi nella Città, e Ducato di Piacenza una quantità di moneta erosa di Savoja, e così da s. 15, e da s. 7,6 di quella moneta al corso di L. 3 di Piacenza rispetto alla prima, e di soldi trenta rispetto alla seconda, e dagli sperimenti fatti non corrispondendo la bontà intrinseca di tali monete al valore loro attribuito, di maniera tale che sono state bandite dagli Stati finitimi, e richiamate per fino dalle R.li Zecche, da cui sono uscite, è venuta S. A. R. nella salutare determinazione di ordinare, che venga tolto onninamente qualunque ulteriore pregiudizio, che sia per derivarne al pubblico commercio, e che siano perciò col mezzo di pubblico avviso sbandite le monete predette.
– Lettera del Magistrato delle R.li Finanze agosto 1794.
Per parte quindi dello stesso Supremo Magistrato delle R.li Finanze inerendosi alle venerate Sovrane prescrizioni si dichiarano bandite dalla Città, e Ducato di Piacenza le monete erose di Piemonte anzidette; cosicché d’ora in avanti alcuna persona, niuna affatto eccettuata, non ardisca d’introdurne, o spenderne sotto qualsivoglia pretesto, o colore nella città, e Ducato anzidetti sotto pena di dieci scudi per ogni moneta spesa, o introdotta, ed anche della carcerazione secondo la qualità de’ casi, e la diversità delle persone.
Affinché poi gli attuali detentori di dette monete abitanti nella Città, e Ducato surriferiti possano entro discreto termine procurarsi il mezzo di privarsene resta assegnato ad essi il termine a tutto il giorno 10 del prossimo venturo ottobre passato il qual tempo quelli che riterranno tuttavia alcuna delle monete anzidette incorreranno irremisibilmente per la retenzione delle medesime nelle pene surriferite.
Avverta pertanto ognuno di ubbidire a quanto col presente rimane prescritto, mentre si procederà contro i trasgressori per inquisizione ex officio, e in altro miglior modo.
– Lettera indirizzata al duca.
Non era sfuggito alla vigilanza del giudice Delegato Camerale il pericolo, che sovrastava al Ducato di Piacenza per le erose monete di Piemonte, le quali minacciavano inondare lo stesso Ducato, ed ivi perpetuarsi, dacchè S. Maestà Sarda autore di quelle monete ne aveva proscritta con pubblici editti la circolazione ne’ suoi domini, ed erano ancor poste al bando, o non ammesse al corso negli altri Stati d’Italia. Quel pericolo erasi pur conosciuto dal R. Supremo Magistrato di Parma, il quale seguendo l’assiduo suo zelo alla tutela del commercio, et alla prosperità de’ sudditi, non sospese di consultar questa Camera di Commercio sopra le provvidenze, che garantissero il pubblico, ed il privato interesse. Si fece sollecita la Camera a corrispondere allo zelo del Tribunale, e rassegnò alla comprension del medesimo que’ temperamenti, che nelle circostanze sembravano opportuni a preservare dall’estrema decadenza il commercio, e lo Stato, ed assicurare la quiete de’ popoli. Degnasi V. A. R. di volger lo sguardo clementissimo all’atto della Camera in data de’ 19 agosto 1794, che si umilia. Ora quel pericolo si è avverato alla pubblica calamità. Immense copie di quelle erose monete di Piemonte sonosi introdotte nel Ducato di Piacenza, e questa introduzione prosegue a torrenti. In opposto succede lo spoglio delle nobili monete d’oro, e d’argento, quasi sono il primario articolo dell’esterno commercio. Circolano con libero ardimento gli emissarii d’estero Paese, e taluni ancor cittadini non amanti allo Stato, ma solo intenti al vile momentaneo profitto ne’ minuti cambi studiano nella ruina del commercio di produrre l’estrema desolazione della Patria, e questa povera Patria si vedrà pure a breve costernata o nella impossibilità di pagar li tributi, e la daziaria in moneta di tariffa, o nella necessità di mendicarle da estere piazze con gravissimi incomodi, e dispendi.
In queste fatalissime vicende li sottoscritti consoli della Mercatura di Piacenza umilissimi servi, sudditi, ed oratori, seguendo il comun voto del Generale Consiglio di essa Mercatura nella sessione de’ 22 corrente ottobre si prostrano al trono augusto di V. A. R., e la supplicano con umile fiducia, che qual Padre amatissimo degnasi stendere la mano benefica a quelle provvidenze, che salvino il commercio, ridonino,e conservino la prosperità allo Stato, ed ai fedelissimi suoi Popoli.
– Lettera del 31 ottobre 1794 dalla cancelleria del duca.
Si avvertiva che S. A. R. è venuta in ordinare, che per ora non debbasi dare altra disposizione, fuorché quella della emanazione di un avviso penale contro gl’introduttori della suddetta moneta esteso ne’ modi i più risoluti e coi più seducenti allettamenti, e promessa di premio a chi scoprirà i contravventori
– Il 19 novembre 1794 fu pubblicato il seguente avviso penale in materia di monete.
Essendo giunto all’eccesso l’abuso della introduzione dagli Stati confinanti nella Città e Ducato di Piacenza d’insigni quantità di moneta erosa di Piemonte di nuova cussione; moneta che non solamente è stata bandita dagli Stati medesimi, ma persino richiamata dalle zecche3, da cui era uscita, non meno che lo spargimento della moneta stessa nella Città e Ducato anzidetti, non ha S. A. R. potuto a meno di riconoscere necessario, che sia onninamente tolto un tale disordine, e che venga quindi avviato all’ulterior pregiudizio de’ fedelissimi suoi sudditi. Ha perciò l’A. S. R. ordinato al Supremo Magistrato delle Reali Finanze, che col mezzo di un pubblico penale avviso resti non solamente d’ora in avanti affatto proibita la introduzione di qualsivoglia moneta della moneta anzidetta, ma che si puniscano eziandio irremissibilmente i contravventori, come da lettera della Segreteria del R. universale dispaccio del giorno 14 corrente registrata agli atti ecc.
Per parte del prefato Supremo Magistrato delle Reali Finanze si proibisce a qualsivoglia persona, niuna affatto eccettuata, d’introdurre d’ora in avanti, o ricevere da’ Paesi esteri nella Città e Ducato di Piacenza per qualsivoglia motivo, o sotto qualsiasi pretesto, o colore qualunque benché piccola quantità di moneta erosa di Piemonte di nuova cussione, e così lire, e mezze-lire, da soldi 15, e da soldi 7, 6 di quella moneta, sotto pena della carcerazione, da incorrersi dai contravventori oltre la perdita della moneta stessa introdotta, ed oltre anche la pena di dieci scudi d’oro per ogni moneta introdotta, o ricevuta; avvertendo, che le pene stesse della carcere, e della multa di dieci scudi d’oro s’incorreranno irremissibilmente anche dai fautori, o cooperatori alla introduzione, e ricevimento della suddetta moneta qualunque essi sieno.
Affinché poi si possano più facilmente scoprire i contravventori, fautori, o cooperatori suddetti si dichiara, che gli accusatori a verificata trasgressione (che volendo saranno anche tenuti segreti), od agl’inventori sarà corrisposta dalla R. D. Camera la metà dell’anzidetta pena pecuniaria, erogandosene l’altra a favore della R. D. Camera medesima.
– Lettera da Piacenza del 1 dicembre 1794.
Mi è riferito che per l’ordinario di mercoledì o per quello di sabbato prossimi sta per essere mandato qui un bando proibitivo delle monete erose di Piemonte, cioè in sostanza delle valute di 30 soldi piacentini. Faccio il mio dovere coll’umiliare a S. A. R. per l’ossequiato mezzo dell’E. V. che qualunque titolo o colore si dia alla disposizione, questa servirà di sicuro incentivo ad un tumulto popolare, per prevenir il quale dovrò io necessariamente far uno degli stessi mezzi che praticò l’E. V. lo scorso anno all’occasion dell’editto sui paoli di Genova, e fors’anco ampliarli con troppo grave discapito alla Sovrana Maestà. Venero infinitamente i raziocinii dagli abili speculatori, ma non comprendo come con tanta facilità di prescinda da certe riflessioni così proprie dei tempi correnti. Qual cosa più preziosa in uno Stato di quello sia il non compromettere la Sovrana Autorità. Eccellenza, io scrivo con precisione perché sono buon suddito dell’adorato Nostro Sovrano, e perché non mi so trattenere dall’affrontare tutti i riguardi se ciò veggo influire al miglior servigio del R. mio Padrone.
Credo non essermi ingannato avvanzando che il pericolo di tumulto è prossimo. Sarei reo d’una specie d’infedeltà se non avessi manifestato quel che io scrivo in un affare di tanta seria entità.
– Lettera da Piacenza del 29 gennaio 1795.
Lo scrivente, Luigi Bonzi, annota: che la detta moneta erosa di Savoja, di cui è stato inondato il Piacentino, divenga un pregiudizio notabilissimo allo Stato, pur troppo ella è cosa verissima. Sino ad ora il danno che reca è a un dipresso un aumento di un cinque e mezzo per cento di tutti i generi. La ragione ne è chiara. Il nostro commercio è in massima parte passivo. Detta moneta è aborrita negli altri Stati. Dunque il negoziante non potendosi servire fuori di Paese di tal valuta, conviene che ne accetti una migliore, il che non può conseguire senza un prezzo, per la rarità delle monete buone, che si sono commutate con inonesto traffico nelle suddette cattive di Savoja. Coll’andare del tempo il pregiudizio di questo Stato renderebbersi assai più grande, non potendosi aspettare che una quasi totale carestia delle buone valute.
Poi l’autore propone di ergere un Monte presso la Mercatura, che ritirasse tutte le dette monete savojarde, e le cambiasse in altre valute. Già vi sono nel ceto mercantile le persone idonee, che si offrirebbero all’assunto. Spirato il tempo che verrebbe a prefiggersi, rimarrebbe affatto proscritta la detta moneta erosa di Savoja. Si è fatto il ragguaglio dell’intrinseco del nostro buttalà con la detta moneta savojarda, ed è ferma persuasione, che rifondendo alla zecca tutte le monete che passerebbero al Monte, e convertendole in moneta erosa piacentina, vi sarebbe un guadagno anche notabile. O V. A. R. potrebbe riservare questa rifusione a benefizio del R. Erario, o quando non le piacesse d’imbarazzarsene, la Mercatura se ne prenderebbe tutto l’impegno a suo conto. Non de’ soli buttalà, e dei mezzi, ma anche delle lire piacentine, e dei quarantani potrebbonsi, in tal opportunità commodamente: ed esso fornito lo Stato piacentino di moneta camerale, che tanto scarseggia a danno non indifferente de’ sudditi, e in ispezie de’ poveri, che pel soldo militare, pel sale, pe’ dazi, debbono ora spendere undici soldi per dieci. Questa successiva provvidenza egli è più che certo, che farebbe baciare da sudditi la grida, che la promulgasse, e dietro a questo altri buoni partiti potrebbonsi agevolmente prendere.
Note
- Dati ricavati da G. Felloni, Il mercato cit., tab. 6.
- Un appunto a lato di questa bozza avvertiva: abbisognano alla Cancelleria del Supremo Magistrato copie ducento del presente avviso.
- Si riferisce al biglietto del 16 maggio 1794 con cui le autorità sabaude prevedevano il ritiro delle monete da 15 soldi per cambiarle con quelle da 20 e 10 soldi. Cfr. G. Felloni, Il mercato cit., p. 104.