di Lorenzo Bellesia – da Panorama Numismatico nr.244/Ottobre 2009
NON SENTESI OGGIDI’ PARLARE IN QUESTA CITTA’ CHE DI TRENTA SOLDI
Quando si battevano in grandi quantita’ monete calanti e di scarso valore si creavano problemi non solo nello stato emittente ma anche in quelli vicini. Ecco cosa accadde a Piacenza alla fine del Settecento.
Premessa
Il Regno di Sardegna alla fine del Settecento, specie dopo lo scoppio della guerra con la Francia nel 1792, affrontò gravissimi problemi finanziari per i quali si cercò di provvedere battendo moneta svilita e stampando una gran quantità di biglietti.
La zecca di Torino fu autorizzata nel 1793 a battere L. 4.700.000 in pezzi da 7 soldi e mezzo e L. 300.000 in pezzi da 2 soldi e mezzo. Queste monete avevano le caratteristiche già stabilite nella riforma del 1755, cioè i 7 soldi e mezzo al titolo di 3 denari e 6 (270,83 millesimi) ed al taglio di 52 al marco (4,73 grammi) ed i 2 soldi e mezzo al titolo di 2 denari (166,67 millesimi) ed al taglio di 96 al marco (2,56 grammi).
Poiché le Finanze1 non ne ritraevano un guadagno soddisfacente, il biglietto 28 dicembre 1793 prescrisse di coniare una nuova moneta eroso-mista da s. 15 al titolo di d. 5. 6 (437,50 millesimi) ed al taglio di 50 il marco; di tali monete si dovevano fabbricare L. 3.000.000, ma l’importo fu aumentato di L. 2.000.000 nel maggio 1794. Neanche queste monete, però, sembrarono sufficientemente lucrose (sebbene rendessero il 43% del valore legale), cosicché il biglietto 16 maggio 1794 le richiamò al cambio ed ordinò di fare al loro posto delle lire e mezze lire eroso-misto al titolo di d. 3. 12 (294,67 millesimi) ed al taglio, le lire, di 45 il marco (5,46 grammi), e le mezze lire di 90 il marco (2,73 grammi). Su tali monete l’erario poté finalmente guadagnare il 70% del valore legale.
Per produrre moneta erosa si arrivò a fondere le campane delle chiese ed il biglietto 14 febbraio 1794 comandò alla zecca di fabbricare con esse delle nuove monete in rame da s. 5 (Maurizi)2.
La quantità di monete erose battute nel periodo fu enorme, pari a 13.685.794 lire nel 1794, a 14.598.601 lire nel 1795, a 14.231.907 lire nel 1796 e a 9.856.524 lire nel 1797. A ciò naturalmente andavano aggiunte quelle già in circolazione.
Tutte queste emissioni, se portavano un momentaneo sollievo alle casse piemontesi, creavano anche fortissimi squilibri al mercato monetario: basti pensare infatti che 6 lire eroso-miste (contenenti grammi 9,563 di fino) equivalevano per legge a 16 pezzi da s. 7. 6 (con grammi 20,491 di fino) o ad uno scudo (con grammi 31,867). E’ ovvio che, in queste condizioni, i proprietari dei pezzi da s. 7. 6 (ed a maggior ragione quelli di monete nobili) rifiutassero di ricevere le lire e le mezze lire al valore legale e tendessero invece di attribuire loro un valore assai inferiore3.
Era però ovvio che l’enorme quantità di scadente moneta piemontese, come un fiume in piena, tracimasse negli Stati confinanti, in particolare nel Ducato di Piacenza il cui mercato monetario si era sempre confrontato soprattutto con quello milanese ma che ora doveva affrontare una vera emergenza proveniente da ovest. Tra mercato piacentino e piemontese sul confine vi era una certa tolleranza. Per esempio, le monete piacentine di mistura da 10 soldi, chiamate buttalà, e quelle da 5 soldi, chiamate mezzi buttalà, erano accettate nel Regno di Sardegna nelle province di Tortona e Voghera4. Ora però i sudditi del re che possedevano quel genere di moneta cercavano di liberarsene come fosse la classica patata bollente.
Si è visto che la produzione massiccia avvenne nei primi mesi del 1794 ma il momento di svolta fu il 16 maggio cioè, come si è appena detto, quando le autorità piemontesi richiamarono in zecca le monete da 15 soldi per sostituirle con le ancora più svalutate lire e mezze lire. Chi le possedeva allora cercò di liberarsene in modo meno svantaggioso e cosa ci poteva essere di meglio che rifilarle agli ignari cittadini del vicino Ducato di Piacenza? In poco tempo i paesi di confine ne furono invasi e ci si accorse che si trattava di moneta molto sopravvalutata. Ecco allora proteste, relazioni e progetti che arrivarono a Parma, dove riedeva il duca. Tutto questo è ora conservato in un fascicolo dell’Archivio di Stato della città5 ed è qui in larga parte trascritto in ordine cronologico.
Note
- G. Felloni, Il mercato monetario in Piemonte nel secolo XVIII, Milano 1968, p. 104.
- Ibidem. Cfr. anche G. Carboneri, La circolazione monetaria nei diversi Stati, Roma 1915, pp. 78-79.
- G. Felloni, Il mercato cit., p. 113.
- G. Felloni, Il mercato cit., p. 70.
- Archivio di Stato di Parma, Fondo zecca borbonica, busta 1.