di Vincenzo La Notte
L’AUTORE REPLICA AD UN ARTICOLO USCITO SU QUESTA RIVISTA NEL DICEMBRE SCORSO
Una doverosa risposta e una precisazione scientifica
In merito all’articolo dei fratelli Rapposelli apparso su «Panorama Numismatico» n. 323 di dicembre 2016 (Ndr: disponibile qui), nel quale si accusa chi scrive, neanche tanto velatamente, di plagio, è utile fare dovute precisazioni per determinare la verità dei fatti, che appare molto differente da quanto riportato nel loro scritto.
Il primo articolo sull’argomento scritto dai due fratelli è apparso sulla rivista «Monete Antiche» n. 44, di marzo-aprile 2009, con titolo La prima e più antica moneta di Teate. Alla ricerca di una rarissima dracma d’argento. All’interno di esso è analizzata parte della storiografia della moneta in questione 1 e i due autori cercano di stabilire il “percorso” museologico che ha potuto compiere questo nummo, da quando fu edito a quando si sono perse le tracce. Esso è definito come possibile «pezzo unico» e auspicano che «dai responsabili addetti alla cura del monetiere napoletano possano pervenire notizie dirimenti la questione». È menzionata anche una possibile inesistenza di questa dracma, ma essa è definita dai due autori come un’«ipotesi azzardata», tutta da verificare.
Nel marzo 2011 (è bene sottolineare marzo), chi scrive ha pubblicato un volume dal titolo La monetazione della Daunia. Storia degli studi e analisi della produzione nel quale vi è uno studio complessivo e dettagliato di tutte le zecche del territorio. A Teate Apula sono dedicate 47 pagine (271-317) includenti una dettagliata analisi di tutta la produzione monetale che fornisce precise informazioni di sistemazione cronologica. In essa appare ben evidente una datazione complessiva delle emissioni teatine tra il 317 e la fine del III secolo a.C. (pp. 287-313). A tutto ciò è aggiunta una fondamentale nota del Mommsen, rintracciata da chi scrive ed assente nell’articolo dei Rapposelli del 2009, che è centrale per comprendere l’errore di trascrizione dell’epigrafe monetale, compiuto dai diversi studiosi succedutisi nei secoli, concernente la dracma su citata. Lo studioso tedesco, infatti, come primo, asserì che non dovesse trattarsi di “TIATI”, ma di “YEΛΗ (p. 314). Infine, è riportata un’ulteriore notizia, basata su materiale edito fino al marzo 2011, dell’assenza di questa moneta nelle varie Syllogi Nummorum di numerosi musei (p. 314). In base a questi tre dati, se ne decretava (non ipotizzava) l’espunzione in quanto inesistente.
L’articolo del dicembre 2011 (è bene sottolineare dicembre) dei fratelli Rapposelli apparso su «Panorama Numismatico» n. 268 ha come titolo Ancora sulla supposta prima monetazione di Teate. La dramma e presenta ben altro tono rispetto al loro precedente del 2009. I due autori non parlano più di ipotesi azzardata, ma di tesi e dimostrazione. In esso sono presenti tre sostanziali motivazioni e novità a supporto del loro enunciato:
- l’analisi della moneta 2994 del Catalogo Fiorelli = 30859 del Museo Archeologico Nazionale di Napoli, appartenente a Velia;
- i dubbi espressi dal Mommsen sull’iscrizione presente sulla moneta;
- l’anacronistico V secolo a.C. come periodo di emissione.
Le ultime due motivazioni, come il lettore potrà vagliare, completamente assenti nell’articolo del marzo-aprile 2009 dei Rapposelli, sono chiare nel volume di chi scrive, edito nel marzo 2011 (quindi ben 9 mesi prima del secondo articolo dei due fratelli).
A tal proposito, è bene rilevare sin da ora che appare quanto meno paradossale che nell’ultimo articolo di dicembre 2016 i Rapposelli rivendichino, fra le numerose inesattezze, un «diritto alla citazione», quando essi stessi, allo scopo di attribuirsi meriti non propri, si sono ben tenuti distanti, nell’articolo del dicembre 2011, dal citare il volume dello scrivente del marzo 2011, non sottolineando che le loro due importanti “innovazioni” fossero presenti nel libro sulla Daunia del sottoscritto.
Inoltre, è utile ricordare, per cominciare a dirimere l’“arcano”, l’incipit dell’articolo del dicembre 2011 di «Panorama Numismatico» dei fratelli Rapposelli: «Nel lasso di tempo intercorso fra la pubblicazione di un nostro articolo dal titolo La prima e più antica moneta della zecca di Teate ed oggigiorno, la continua ricerca da noi effettuata ha apportato alcune novità che ci hanno imposto la rivisitazione completa del precedente enunciato…», quindi essi stessi definiscono «rivisitazione completa» quella da loro compiuta nel 2011, rispetto a quello sostenuto nel 2009. E cosa è mutato dal marzo-aprile 2009 al dicembre 2011, tale da giustificare questo brusco e dichiarato cambiamento dei due fratelli? La pubblicazione del volume sulla Daunia di chi scrive da cui hanno tratto spunto e ha consentito loro di “aggiustare” il tiro.
Ma giungiamo agli ultimi “eventi”. Considerando i numerosi inviti di colleghi a continuare a dedicarsi assiduamente alla monetazione dauna2, reputata tra le più importanti fra quelle italiche, dalla metà del 2011, chi scrive decise di approfondire la questione relativa alla citata dracma di Teate Apula, già espunta in precedenza. Lo scrivente, quindi, ampliò il suo precedente lavoro con uno studio dettagliato basato su tre elementi: il primo di carattere puramente filologico, con apposito “stemma” bibliografico; il secondo di tipo cronologico; il terzo sommamente empirico.
Con il primo si è dimostrato che il prodigarsi dell’esistenza di questa presunta dracma era dovuto a riferimenti bibliografici incrociati, utilizzati senza alcuna verifica tra i differenti autori succedutisi nei secoli3. Appare paradossale anche in questo caso e obiettivamente incomprensibile rilevare che l’analisi filologica sia giudicata dai fratelli Rapposelli come semplice «collage di informazioni già esistenti» priva, quindi, secondo loro, di funzione dimostrativa o quanto meno indiziale. Sono forse costoro ignari del fatto che la filologia è disciplina scientifica insegnata nelle Università Italiane? Si suggerisce ai due fratelli, per ovviare a ciò, la lettura del volume A. Varvaro, Prima lezione di filologia, Bari 2012, in maniera tale da avere piena cognizione del valore documentale addotto nell’articolo della R.I.N. 2016 (volume CXVII) per quanto concerne questo punto.
Il secondo elemento concerneva la cronologia con la quale si è dimostrata l’incongruenza di un’eventuale emissione di questa dracma con le restanti della cittadella dauna. In questo caso si è svolta una esplicita dichiarazione e un approfondimento di quanto già scritto nel volume sulla Daunia nel marzo 2011. È da notare che la cronologia riportata da chi scrive è frutto non di analisi generiche ma specifiche, come dimostrato dalla citazione di tutte le “forchette cronologiche” indicate dai vari autori che si sono occupati di tale nummo; analisi cronologica assente nei due studi dei Rapposelli di marzo-aprile 2009 e dicembre 2011.
Nell’articolo della R.I.N. 2016, come ammesso dagli stessi fratelli, è presente un’ampia bibliografia, nella quale è citato il primo articolo dei Rapposelli di marzo-aprile 20094, ma non il secondo del dicembre 2011. Perché? La spiegazione consiste nel fatto che quest’ultimo articolo non aggiunge nulla di nuovo rispetto a quanto riportato da chi scrive nel marzo 20115, relativamente alla cronologia e all’analisi bibliografica. È un articolo definibile “descripto”, non necessario ai fini scientifici.
La terza prova riguardava l’opera di censimento compiuta da chi scrive, «affinché l’audacia dell’assunto bibliografico e cronologico sia corroborata dall’immanenza empirica»; essa è stata eseguita “a tappeto”6 fra le realtà museali italiane e straniere, al fine di portare a compimento un Corpus Nummorum Daunorum, di prossima pubblicazione, nelle quali tale nummo non era mai stato rintracciato. Forse i fratelli Rapposelli sono inconsapevoli della distinzione fra “ricerca approssimativa” e “ricerca scientifica”? La prima prevede l’analisi di materiale presente in uno o in qualche museo “a campione”; la seconda, invece, essendo la numismatica una scienza “morbida”, cioè non possedendo una prova strumentale in laboratorio o un risultato esatto, necessita di una riduzione drastica di ogni ipotesi contraria al proprio asserire con un crescente numero di indizi a proprio favore. In effetti, lo scrivente lo confessa, non si aspetta che ciò venga colto da chi irride discipline come la filologia e si mostra titubante, evidentemente, nel riconoscimento della differenza fra ipotesi e tesi e tra supposizioni e scienza.
Ma chi scrive non avrebbe occupato questo spazio o accettato lo spreco di carta stampata, al solo fine di rispondere a ridicole illazioni. Il lettore merita ben altro. E lo avrà, per quanto possibile.
È necessario, infatti, spiegare perché la prova, la “chiave risolutiva”, tanto cara ai fratelli Rapposelli, mirante a ritrovare l’esemplare velino da cui sarebbe derivato l’esemplare teatino non sia stata utilizzata dal sottoscritto nell’articolo scientifico sulla R.I.N. 2016. Semplice, perché non è una prova. È un esercizio speculativo che nulla di fondamentale aggiunge per determinare la verità storica. Che senso ha rintracciare un esemplare velino, cioè di altra zecca, per supporre che esso, e precisamente esso, sia quello dal quale è scaturito l’errore di interpretazione, senza alcuna possibilità di dimostrarlo con certezza? Come sarebbe desumibile scientificamente da tale presupposto la certa inesistenza della dracma argentea di Teate Apula?
I due Rapposelli scrivono nel loro articolo di dicembre 2016: «La moneta fotografata (quella di Velia con numero 2994), di cui davamo anche il numero di inventario museale 30859, era chiaramente di scarsa conservazione, tale che le prime lettere della leggenda Y E Λ potevano indurre una lettura errata ma l’ultima lettera, la eta maiuscola greca H, evidenziata dall’ingrandimento fotografico, era in realtà inequivocabilmente leggibile, tanto da non poter essere interpretata come le due lettere finali “TI” di TIATI7. Si rafforzava, quindi, la convinzione che la moneta 2994 avesse ispirato il disegno di Spinelli per una serie di motivi.»
Come? L’ultima lettera è chiaramente “H” (eta), «tanto da non poter essere interpretata come… TI» e questo rafforzava la convinzione che fosse proprio questa moneta la base del lavoro dello Spinelli? Vi è una chiara contraddizione semantica, di significato, fra il primo e il secondo enunciato del periodo citato. Pura illogicità.
Sono altre basi sui cui bisogna muoversi e cioè quelle della verifica sistematica presso i musei italiani e stranieri di una eventuale presenza del supposto nummo di Tiati in primis, come eseguito dallo scrivente e non dai due fratelli, a cui aggiungere questioni cronologiche e attente analisi filologiche/bibliografiche che ne indagano e ne spiegano i motivi del perpetrarsi dell’errore, cosa che è avvenuta solo nell’articolo dello scrivente edito dalla R.I.N. 2016. Sapere che l’esemplare velino, che possa aver condotto all’ammissione ingiustificata di questa dracma, sia quello e proprio quello presente al Museo Archeologico Nazionale di Napoli non ha nessuno scopo scientifico.
Riassumendo in ordine di edizione:
- Nel marzo-aprile 2009 i fratelli Rapposelli auspicano uno studio approfondito di tale moneta, che potrebbe costituire un «pezzo unico» e in alternativa, come «ipotesi azzardata», ritengono non esistente tale dracma.
- Nel marzo 2011 il sottoscritto rende tesi (e non ipotizza), attraverso il Mommsen, l’analisi cronologica dell’intera produzione monetale teatina e l’assenza in Syllogi Nummorum, l’inesistenza della dracma in questione.
- Nel dicembre 2011, i fratelli Rapposelli, tramite due motivazioni addotte da chi scrive sulle tre complessive da loro riportate e senza fare alcun cenno al volume sulla Daunia dello scrivente, trasformano la loro “ipotesi azzardata” in tesi e dimostrazione.
- Nella R.I.N. 2016, il sottoscritto pubblica il suo studio, iniziato nel giugno 2011, utilizzando come base quanto da lui stesso sostenuto nel proprio volume sulla Daunia, soffermandosi su tre elementi:
a) analisi filologica;
b) analisi cronologica;
c) analisi empirica. - Nel dicembre 2016 i fratelli Rapposelli rivendicano, senza alcun fondamento, una primizia di scoperta sull’inesistenza della dracma argentea di Teanum Apulum e insistono su una presunta «chiave risolutiva», che si è dimostrata essere specificatamente una “non prova”, un esercizio speculativo, senza alcun valore probante.
In base a questo risulta evidente in chi si annidi il plagio. I due fratelli hanno fatto ampio uso delle prove apportate da chi scrive, quali la cronologia e la nota del Mommsen nel loro articolo del dicembre 2011, mentre lo scrivente non ha mai utilizzato in nessuno dei suoi scritti la loro “non prova” relativa al nummo di Velia, per le ragioni su esposte.
In conclusione, il lettore attento non ha necessità di indugiare ancora in questa diatriba, ma può tranquillamente consultare il susseguirsi delle pubblicazioni citate per farsi personalmente un’idea di dove sia la verità alla quale tutti noi siamo sottoposti, anche chi, pensando di essere giudice ultimo, vorrebbe mistificare la realtà e sviluppare una polemica priva di valore per proprio personalissimo tornaconto.
La Pazienza è una grande virtù, ma ha il difetto di non essere infinita.
Nel caso specifico sta terminando. Sarebbe opportuno non proseguire sulla via della irragionevolezza perché riserva sempre sorprese amare; per tale ragione, lo scrivente consiglia ai due fratelli di desistere; ma si dimostra altresì deciso a far rispettare la verità, attestata in queste pagine, in tutte le sedi opportune.
Articolo tratto da Panorama Numismatico nr.326 – Marzo 2017
Note
- Si confronti l’ampia bibliografia utilizzata da chi scrive nel proprio articolo sulla R.I.N. 2016 rispetto a quella dei Rapposelli consistente nei soli autori Spinelli, De Dominicis, Friedlaender, Riccio, Sambon, Garrucci, Fiorelli, Hands, Battista, Rutter. ↩
- Argomento sul quale chi scrive ha discusso, nel luglio 2007, la tesi di laurea per il conseguimento del suo secondo titolo accademico magistrale da 300 CFU in Archeologia e storia dell’arte del mondo antico e dell’Oriente, presso l’Università La Sapienza di Roma. ↩
- Come da schema filologico in R.I.N. 2016. ↩
- Riconoscendo, quindi, ai due fratelli il merito di aver sollevato la questione, sebbene come «ipotesi azzardata». ↩
- Ad eccezione del paragone con l’esemplare velino 30859 del Museo Archeologico Nazionale di Napoli, sul quale si leggano le pagine successive di questo scritto. ↩
- A partire da questa data, il sottoscritto ha visionato e censito per il proprio Corpus il materiale di 130 musei. ↩
- Presente nell’articolo di dicembre 2016 e ripreso dal loro articolo del dicembre 2011. ↩