di Alberto Castellotti
PERCHÉ TRE MONETE BATTUTE DA INNOCENZO XI PRESENTANO UNA INSOLITA VERSIONE DELLO STEMMA DEL PONTEFICE?
Governatore di Macerata, cardinale legato di Ferrara (1645-50), vescovo di Novara (1650-56), una vita austera nonostante le sue origini di nobile facoltoso, l’intensa pietà personale nei confronti dei poveri e dei diseredati ben evidente nei motti sulle sue monete, spianarono a Innocenzo XI (Benedetto Odescalchi da Como, 1676-89) la via al pontificato.
Il suo rigorismo e l’impegno religioso lo configurano come l’ultimo papa della Controriforma. Le sue principali preoccupazioni furono, infatti, la difesa della moralità pubblica, la formazione di un clero pio e zelante nell’applicare il Vangelo, la lotta dottrinale contro il lassismo dei Gesuiti.
Gli ultimi anni del suo pontificato videro l’acuirsi dello scontro tra Roma e la Francia e quello, cruento, tra la cristianità e l’Islam.
La contesa con Luigi XIV, basata sulla contrapposizione tra il primato papale e l’assolutismo regio mirante ad estendere alla totalità delle diocesi francesi il diritto di regalia, cioè dell’amministrazione del re dei vescovadi vacanti, che solo il venir meno dell’inflessibilità del pontefice poté appianare, si sommava all’annoso problema del diritto di asilo da parte degli ambasciatori nelle legazioni. I contrasti avevano portato agli appelli del Parlamento e del re e all’occupazione francese di Avignone e del contado Venassino.
Per quanto concerne, invece, l’incombente pericolo che l’Europa stava correndo per la minaccia dell’invasione turca, Innocenzo XI impersonò la figura dominante della Crociata cattolica fornendo aiuti finanziari agli Asburgo e patrocinando l’alleanza tra l’Impero e la Polonia di Giovanni Sobiesky, culminata con la liberazione di Vienna dall’assedio ottomano (1683), l’adesione di Venezia alla Lega santa (1684), già occorsa ai tempi della battaglia di Lepanto (1571), quella della Russia (1686) e la liberazione di Buda dai Turchi di Solimano il Magnifico (1686). Fu soprattutto questa sua azione storico-religiosa ad assumere quella valenza simbolica che lo porterà alla beatificazione (1956) in quel clima di irrigidimento ideologico che ha caratterizzato gli ultimi anni del pontificato di Pio XII (1939-58).
Lo stemma Odescalchi, che ora descriveremo, ci offre lo spunto per alcune considerazioni numismatiche:
d’argento a quattro fasce di rosso, accompagnate da un leone leopardito (sic!) dello stesso (colore) nella prima fascia d’argento e da sei navicelle d’incensiere di rosso poste, tre nella seconda fascia d’argento, due nella seconda fascia d’argento e una nella quarta fascia d’argento; capo d’oro caricato da un’aquila nera coronata nel campo.
Il leone cosidetto “leopardito”, in araldica, è un felino con la flessuosità del leopardo con zampe felpate e in più un’ampia criniera, incedente a sinistra con la zampa destra alzata, la lingua dardeggiante e la coda ad “esse” come in una frusta. Sulle monete di Innocenzo XI, in oro, argento e bronzo, che al diritto riportano lo stemma papale, lo troviamo spessissimo rappresentato con quell’aria pimpante che lo fa rassomigliare, più che a un felino, a un gallo che procede impettito con una zampa sollevata, più o meno allungato a seconda dell’estro dell’incisore, e anche la coda va di pari passo. Fanno eccezione le monete che ora passo in rassegna.
La prima è una mezza piastra d’argento senza data (CNI 175; Muntoni 53).
D/ INNOCEN.XI.PON.M.
Stemma a targa con volute tra rami di alloro, sormontata da tiara, chiavi decussate, fasce, cordoni e fiocchi, reso insolito da un leone realistico, al passo a sinistra, con le quattro zampe al suolo e la coda abbassataR/ AVARVS NON IMPLEBITVR (All’avaro [il denaro] non basta mai) entro una elaborata cornice barocca
La seconda è un testone d’argento datato 1684 A.VIII (CNI 73; Muntoni 76; Berman 2013).
D/ INNOCEN.XI.PON.M.A.VIII
Stemma a targa semplice, sormontato da tiara, chiavi decussate, fasce e lunghi cordoni con fiocchi pendenti ai lati della cornice, caratterizzato al centro da un leone a testa un po’ china, al passo a sinistra, con le quattro zampe a terraR/ MELIVS EST DARE QVAM ACCIPERE (È meglio dare che ricevere) entro una cornice a volute con una testa di serafino in cimasa
Infine, la terza e ultima moneta è un altro testone d’argento datato 1684 (CNI 95; Muntoni 82; Berman 2102).
D/ INNOCENT.XI.PONT.M.
Stemma a targa con contorni meno arrotondati, sormontato da tiara con fasce, chiavi decussate e lunghi cordoni, e fiocchi staccati dalla cornice, caratteri contraddistinti da un leone, al centro, con la testa rivolta all’indietro, la zampa destra alzata e la coda svolazzanteR/ Leggenda come nella moneta precedente tranne che essa è disposta in quattro anziché cinque righe ed è collocata all’interno di una cornice barocca leggermente diversa e priva dell’angioletto in cimasa
Ci siamo quindi interrogati per quale motivo l’incisore o gli incisori di queste tre curiose monete abbiano voluto discostarsi dallo stemma tradizionale. La presenza della data su due di esse, ammettendo che anche la terza possa essere coeva, ci hanno fatto subito pensare (magari con un po’ di immaginazione) alla circostanza storica che può averle ispirate: l’adesione di Venezia alla Lega santa contro i Musulmani che, come abbiamo avuto modo di dire, avvenne proprio in quell’anno.
All’inizio del 1684, precisamente il 25 aprile, la Serenissima fu impegnata nella guerra di Morea, nota anche come sesta guerra turco-veneziana, nella contesa per il controllo della Morea (Peloponneso) e del Mar Egeo. Questo conflitto si inserì nel più vasto scenario delle guerre della Lega santa che vide la coalizione di Stati cristiani, tra cui l’Impero Asburgico, lo Stato della Chiesa e i Cavalieri di Malta, opporsi al dilagare dei Turchi nella Penisola Balcanica. La guerra di Morea fu l’ultima grande campagna espansionistica della Repubblica di Venezia e si concluse con la pace di Carlowitz (1695 ) che sancì la vittoria della Lega santa e la cessione della Morea ai Veneziani.
Una stupenda osella d’oro da 4 zecchini, Anno II 1685, a nome del doge Marcantonio Giustiniani (1684-88) (CNI VIII, 327, 78 Paolucci II, 81, 333), ne illustra una delle vicende più salienti.
D/ S.M.ANT.IVSTINIANVS
Il doge inginocchiato di fronte a San Marco nimbato, in trono a sinistra, riceve da lui il vessillo con il leone alato; all’esergo ANNO II e le iniziali DP del Massaro Domenego PizzamanoR/ Leone alato e nimbato, rampante a sinistra, che brandisce la spada nella zampa destra e volge lo sguardo alla cavalleria turca in fuga alle sue spalle; nel campo, a sinistra, la fortezza della città di Korone in Morea
La moneta celebra la riconquista di Korone, il 7 agosto 1685, da parte del futuro doge Francesco Morosini che per le sue valorose imprese verrà poi detto “il Peloponnesiaco”.
A parte l’aria bellicosa di questo Leone di San Marco, fu forse il riguardo per il simbolo del Santo Evangelista a suggerire all’incisore di temperare l’aspetto esuberante e un po’ sfrontato del leone “leopardito” dello stemma Odescalchi sulle tre monete di cui sopra, proponendo una figura di felino più sobria e intonata alla sacralità della circostanza imposta dalla Santa Lega.
Articolo tratto da Panorama Numismatico nr.349 – Aprile 2019