di Giulio Carraro – da Panorama Numismatico nr.252 – Giugno 2010
Premessa storica
Dopo la morte di Azzo nel 1308 si apriva una aspra contesa ereditaria che portava ad uno scontro di proporzioni internazionali tra Venezia e la Santa Sede. La coalizione pontificia entrava a Ferrara nel 1308 e le milizie veneziane dovevano cedere. Il Papa affidava il governo della città al re di Napoli Roberto d’Angiò, un sovrano tutt’altro che gradito ed amato. L’avversione popolare sfociava nel 1317 in una sollevazione che determinava la sconfitta delle milizie catalane. Intanto erano accorsi a Ferrara i figli di Aldobrandino, Obizzo e Rinaldo, e il figlio di Francesco, Azzo, con la speranza di riuscire ad approfittare delle circostanze. Il 15 agosto la popolazione, tra la generale euforia, proclamava Rinaldo, Nicolò, Obizzo, Azzo e Bertoldo signori della città. Su Ferrara e sugli Estensi cadeva allora la scomunica papale, seguita dall’interdetto. Nel 1321 un acuirsi dei dissidi vedeva addirittura gli Estensi sottoposti a processo presso il Tribunale dell’Inquisizione.
Solo nel 1328 si giungeva ad un riavvicinamento delle parti grazie all’opera mediatrice del cardinale Bertrando del Poggetto, che aveva convinto il Papa ad emettere la bolla del 2 luglio 1329 con cui era conferito a Rinaldo II, Obizzo III e Nicolò I d’Este il vicariato di Ferrara per dieci anni, previo versamento di un canone di 10.000 fiorini d’oro1.
Le lotte erano però tutt’altro che finite, tant’è vero che nel 1333 il cardinale Bertrando del Poggetto tentava di soggiogare Ferrara ponendola sotto assedio. Nei successivi dieci anni, durante i quali si dispiegava il conflitto, morivano Rinaldo II (1335) e Nicolò I (1344). Nel 1336 gli Estensi avevano inoltre ottenuto da Manfredo Pio la cessione di Modena, ricevendo subito dal Consiglio Generale l’elezione a signori della città. Essendo morti Rinaldo e Nicolò rimaneva unico signore di Ferrara e Modena il marchese Obizzo III d’Este.
Dopo diverse contrattazioni, nel 1344 aveva luogo la riconciliazione con il papato: a Ferrara era inviato il vescovo di Bologna Beltramino Pallavicino, che aveva il mandato di procedere alla reinvestitura estense. Obizzo III pagava come risarcimento delle passate annualità la somma di 45.000 fiorini e il canone annuo era nuovamente fissato a 10.000 fiorini l’anno per un periodo di nove anni. Obizzo era un signore accorto che sfruttava sagacemente l’arma dei matrimoni2. Alla sua morte, avvenuta il 20 marzo 1352, seguirono le solite lotte intestine alla famiglia per la successione, anche perché il marchese aveva sposato, poco prima che ella morisse, la sua amante Lippa Ariosti, dalla quale aveva avuto una dozzina di figli, successivamente legittimati da papa Clemente VI3.
Obizzo e il denaro aquilino battuto a Ferrara
Di questo marchese ho una monetuccia di rame mischiato con poca porzione d’argento battuta nella nostra zecca, nel di cui diritto si osserva l’aquila estense circondata dalla seguente iscrizione OPZ. MCHIO, e nel rovescio si legge FERARIA, essendo la lettera iniziale collocata nel campo, e l’altre nel contorno4.
Cosi Vincenzo Bellini descriveva la prima moneta coniata dagli Estensi in Ferrara, che risultava essere anche l’unica coniata dal marchese Obizzo III. Non si conosce alcun diploma imperiale di concessione del diritto di zecca alla casa d’Este, pertanto è verosimile che i signori ferraresi abbiano sfruttato quello concesso alla comunità di Ferrara5.
L’Ognibene riportava un documento che, in consonanza a quanto sostenuto da Fra Paolo da Legnago nella Cronaca Estense, collocava nel 1346 la comparsa delle prime monete recanti l’impronta dei marchesi d’Este6: nel documento si legge che nel 1346 furono battuti in Ferrara li Ferrarini, moneta che si spendea per denari nove e mezzo. Il Chronicon Estense indica invece come data il 13477, mentre una cronaca anonima conservata nella Biblioteca Estense arriva addirittura al 13488. Ad ogni modo, quale che sia la fonte che si vuole accreditare maggiormente, l’inizio delle emissioni ferraresi sotto la signoria degli Estensi è legato all’iniziativa di Obizzo III.
Le cronache suddette riferivano che si iniziava a battere un nominale detto ferrarino, il quale recava impressa da una parte l’Aquila Estense nel mezzo, con intorno la legenda OPZ. MARCHIO, dall’altra parte una lettera F gotica nel mezzo, iniziale del nome FERARIA, che assieme allo stemma è posto all’intorno9.
Un problema sorge in merito alla denominazione delle monete: secondo gli studi condotti da Ercolani Cocchi, il termine ferrarino non compare in alcun documento del periodo di Obizzo III, mentre si incontra frequentemente la definizione aquilino. Sulla scorta di tale affermazione si dovrebbe quindi dubitare anche delle cronache manoscritte del 1346, 1347, 1348 precedentemente riportate, in quanto in esse si parla esclusivamente di ferrarini. Potrebbe perciò trattarsi di trasposizioni cronologiche di avvenimenti dei quali rimaneva memoria10. Bellini non dava alcuna denominazione alle monete di Obizzo, ma affermava che si trovano spesse volte enunciati nelle pergamene dell’epoca gli aquilini, che iniziano a correre in Ferrara11. Secondo Ercolani Cocchi l’espressione dei prezzi in aquilini appare in modo così regolare nei documenti da far ritenere che con tale nome siano da riconoscere le monete battute da Obizzo12. Questa ipotesi ci sembra poco fondata in quanto con il termine aquilino ci si riferisce generalmente, in Italia Settentrionale, ad una moneta di altro pregio. Gli aquilini venivano coniati all’inizio del XIV secolo dalle zecche di Treviso, Padova, Vicenza, Verona, Mantova e Parma13 ad imitazione di un tipo monetale di Merano14 che recava l’aquila impressa su di una faccia. Gli aquilini tipo quelli di Merano15 incontrarono subito notevole favore assumendo una certa importanza negli scambi commerciali delle città padane, accanto ai grossi di Venezia16. Le monete meranesi infatti avevano permesso a molti Comuni padani, in fase di espansione economica, di sopperire alla penuria di nominali in buon argento. La coniazione di queste monete si interrompeva presumibilmente nel 1271, all’atto della divisione dei beni tra i due fratelli Alberto II e Mainardo II, conti rispettivamente di Gorizia e del Tirolo. Mainardo iniziava in questa data a Merano la coniazione del tirolino, pari nel valore al grosso di Verona17. Le imitazioni dell’aquilino, da quella più antica di Treviso a quella più recente di Parma, erano rimaste circoscritte al ventennio 1319-133818 e il loro valore era pari a venti denari veronesi19. Caratteristica comune alle varie imitazioni era un piccolo stemma che tutte recavano inserito nel giro della leggenda del dritto o del rovescio e che non era invece presente nelle emissioni di Merano.
Nel 1340 esistevano già gli aquilini a Ferrara ed erano moneta nuova (ma non sempre con nuova si intende coniata da poco), come riferisce il Codice dei Malefizii: quod Aquilini novi a Kalendis Madii proximi venturi in antea non possint expendi in Civitate Ferrarie vel districtu nisi pro argento fracto e nel 1341 de mandatu illustris et magnifici Domini Obizonis Marchionis Estensis… quod Aquilini novi… non possint nec debeant expendi vel cambiari in Civitate Ferrariae20: è dunque Obizzo III nel 1341 a prescrivere che non fossero più accettati, forse in seguito ad una svalutazione, gli aquilini, documentati in città un anno prima. Di questo provvedimento, peraltro temporaneo, recavano notizia anche le cronache, ma con altra data. Evidentemente la tosatura di queste monete doveva essere talmente evidente da alterarne in modo significativo il valore21.
E’ riportata dall’Ognibene una grida del 1381 che stabiliva il rapporto tra aquilini, marchesani e bagattini22: l’aquilino era valutato 20 bagattini mentre il marchesano grosso emesso da Nicolò II corrispondeva a 24 bagattini. Secondo l’Ercolani Cocchi sarebbe da escludere che si trattasse degli aquilini meranesi, i quali avevano conosciuto la massima diffusione circa un secolo prima e a tal proposito ricorda che sono molte le zecche che fino agli anni ’30 del XIV secolo emettevano degli aquilini che possono aver circolato a Ferrara23; tuttavia, la copiosa presenza di aquilini meranesi nei ripostigli di inizio XIV secolo potrebbe far sospettare che si potesse trattare proprio dei nominali di Merano24, dei quali Ferrara si sarebbe limitata a battere il denaro, utilizzato come frazione.
In occasione dell’antico ritrovamento di un bagattino e di altre monete degli estensi occorso durante la demolizione del Palazzo della Ragione a Ferrara, il Mayr pubblicava un opuscolo interamente dedicato al bagattino di Obizzo. Dopo aver descritto la moneta, sosteneva che si trattasse del bagattino della lira così detta di aquilini, la qual lira fu moneta nominale, ma reale nei suoi spezzati, cioè nei soldi, quattrini e bagattini; che però sino adesso si era in forse se di questi spezzati dal tempo divoratore se ne sieno salvati25.
Risulta affascinante l’ipotesi secondo cui gli esemplari rimasti di Obizzo III sarebbero tutti dei piccoli che si sarebbero affiancati a dei grossi, dei quali non è rimasta traccia26, ma riteniamo più probabile che i grossi fossero quelli di tipo meranese circolanti nell’area monetaria veneta, all’interno della quale si erano sostituiti ai matapan veneziani.
Alla luce di quanto suddetto dunque, gli aquilini menzionati nelle fonti ferraresi ci sembrano poter essere proprio quelli di Merano.
I denari falsi
Un discorso particolare va riservato ai falsi. Le cronache di Ferrara, riferendosi all’anno 1358 narravano che A di X novembre forno sbandezati li Ferrarini, li quali feno fare lo marchexe Obizo, li quali erano afalsadi et foe mandato a bruxare uno homo in Corbola per questa moneta pizola falsa. E fo fato una Crida che ala pena de libre uenticinque niuno la refudasse dicta moneda venetiana. Queste monete false erano dunque prodotte a Corbola luoco de Veneziani, a sud di Adria e il falsario, scoperto, veniva bruciato sul rogo; i ferrarini venivano banditi dal dominio dei Marchesi d’Este e veniva stabilito che nessuno rifiutasse la moneta veneziana, di cui veniva prescritto l’uso nelle comuni contrattazioni27.
I falsi venivano prodotti con regolarità all’epoca e già si è visto per Ferrara come fin dal periodo comunale fossero abbondanti le produzioni dei falsari28. Citiamo a tal proposito uno degli esemplari analizzati all’XRF29, il quale in considerazione dell’irrisoria quantità d’argento contenuta, può facilmente essere identificato con una delle monete prodotte a Corbola.
Aspetti iconografici
Per quanto riguarda le scelte iconografiche, la rivoluzione adottata rispetto al tipo comunale, oltre ad essere in linea con una variazione nel peso e nell’intrinseco, potrebbe risentire sia del cambiamento di regime politico ai vertici della città, sia probabilmente delle vicende politiche legate al rientro in Ferrara degli Estensi, dopo una breve parentesi durante la quale erano stati cacciati dalla città. Il nuovo denaro celebrava infatti il Signore, riportandone il nome e recando al rovescio l’emblema dell’aquila estense, che potrebbe in tal caso essere anche un emblema della casa d’Este, oltre che un richiamo agli aquilini.
Note
- La stipulazione di quest’investitura fu ritardata di oltre due anni ed ebbe luogo il 12 gennaio 1332.
- La figlia Alisia sposò Guido da Polenta, figlio del signore di Ravenna; il figlio Aldobrandino sposò invece Beatrice figlia di Ricciardo da Camino.
- Per questa introduzione storica si rimanda in generale a L. Chiappini, Gli Estensi, Milano 1967.
- V. Bellini, Delle monete di Ferrara, Ferrara 1761, pp. 87-88.
- L. Bellesia, Le monete di Ferrara: periodo comunale ed estense, San Marino 2000, p. 43.
- G. Ognibene, I capitoli della zecca di Ferrara nel 1381, note e documenti, “Atti e memorie della Deputazione di Storia Patria delle Province Modenesi”, 1895, p. 188.
- 1347 de mense martii publicata est moneta Ferrarinorum ut expenderetur in civitate Ferrarie tempore dominis Marchionis Opizonis; G. Ognibene, cit., p. 188.
- Del 1348 si cominciò a battere la moneta chiamata Ferrarino che si spendeva in tutto il dominio di Ferrara, et questo fu ad istanza del d. Signor Marchese Obizzo; G. Ognibene, cit., p. 188.
- G. Ognibene, cit., pag. 188 e V. Bellini, cit., p. 87.
- E. Ercolani Cocchi, Roma Museo Nazionale Romano, collezione di Vittorio Emanuele III di Savoia, zecca di Ferrara, I: età comunale ed estense, “Bollettino di Numismatica”, 1987, p. 21.
- V. Bellini, cit., pp. 89-90.
- E. Ercolani Cocchi, cit., p. 22.
- A. Saccocci, Un aquilino inedito della zecca di Padova, “Rivista italiana di numismatica e scienze affini”, LXXXIX, 1987, p. 157.
- Più precisamente ci si riferisce alle monete coniate dai fratelli Alberto II e Mainardo II, conti del Tirolo e di Gorizia, a cominciare, si ritiene, dal 1258; O. Murari, Gli aquilini di tipo meranese nelle zecche italiane, “Quaderni ticinesi di numismatica e antichità classiche”, 1980, p. 348.
- Per una panoramica completa sulla produzione e circolazione delle monete meranesi si rimanda a H. Rizzolli, Münzgeschichte des alttirolischen Raumes im Mittelalter und Corpus nummorum tirolensium mediaevalium, 1, Bolzano 1991, pp. 103-124.
- Proprio con l’argento destinato a Venezia si coniarono queste monete. Merano infatti riusciva ad appropriarsi del flusso di metallo bianco proveniente dalla Germania; A. Saccocci, Alle radici dell’euro, quando la moneta fa la storia, Treviso 2001, p. 126.
- Aumentato cioè a 20 denari piccoli veronesi, e non più anonimo come l’aquilino, bensì con il nome del conte Mainardo. Sarà pure questa una moneta di successo; O. Murari, cit., p. 349.
- Aquilini furono coniati nelle zecche di Treviso, Padova, Vicenza, Verona, Mantova e Parma, con un’appendice a Mantova tra 1382 e 1407, quando Francesco I Gonzaga conia l’aquilino di III tipo; A. Saccocci 1987, cit., pp. 157-158.
- Le notizie sul valore intrinseco di queste monete sono ancora incerte ma pare che le imitazioni risentissero di una svalutazione del 10% rispetto agli aquilini originali di Merano, e addirittura superiore dopo il 1329; O. Murari, cit., pp. 349-350.
- E. Ercolani Cocchi, cit., p. 22.
- Tra l’altro anche Venezia aveva dovuto inviare delle disposizioni al Podestà di Treviso tra 1353 e 1355 stabilendo un peso minimo di 1,16 grammi affinché l’aquilino potesse circolare; A. Saccocci, Contributi di storia monetaria delle regioni adriatiche settentrionali (sec. X-XV), Padova 2004, p. 149, n. 55.
- G. Ognibene, cit., pp. 205-206.
- O. Murari, cit., pp. 347-365.
- A. Saccocci 2004, cit., pp. 12-22.
- G. Mayr, Monete e medaglie onorarie ferraresi, Venezia 1835, p. 8.
- E. Ercolani Cocchi, cit, p. 23.
- G. Ognibene, cit, p. 189.
- Si veda ad esempio il caso friulano di Sacuidic.
- Si tratta di analisi condotte con il metodo della fluorescenza ai raggi X.
RICHIESTA DI COLLABORAZIONE
Nell’ambito di una ricerca in corso l’autore dell’articolo si rivolge ai collezionisti perché necessita di esaminare per studio degli esemplari di mezzo denaro ferrarino. Se qualcuno volesse gentilmente collaborare e ne avesse a disposizione uno o più esemplari può contattare l’autore tramite la redazione di Panorama Numismatico oppure alla mail:
giuliocarraro@libero.it