di Francesco di Rauso
E’ strano come si possano passare ore o interi giorni ad osservare le proprie monete nell’intento di scorgere un nuovo particolare involontariamente trascurato a prima vista. In genere ci soffermiamo ad osservare parti di una moneta che ci fanno stabilire lo stato di conservazione o il grado di rarità, eppure… quando meno te lo aspetti ti capita di scoprire, talvolta in maniera fortuita, una variante o un particolare inconsueto per quel determinato tipo di moneta.
In questo articolo studieremo la presenza delle lettere A. C., iniziali dell’incisore Andrea Cariello, su alcuni 10 tornesi napoletani datati 1847 del tipo Testa Grande.
Eviteremo di riportare in questo articolo la biografia di Ferdinando II di Borbone e delle varie vicende del regno, argomenti questi, abbondantemente narrati e commentati in altre sedi, daremo però brevi spunti a carattere generale sul contesto storico di questo sovrano per comprendere al meglio una delle monetazioni più collezionate e stimate dai numismatici.
Durante il periodo di regno di Ferdinando II, nelle Due Sicilie si vissero anni di prosperità economica e di conquiste socio-culturali, vi fu un diffuso benessere e si raggiunse una serie interminabile di primati economici e tecnologici fino ad allora detenuti esclusivamente da nazioni come Francia e Inghilterra. Nel 1830 il giovane Ferdinando ereditò una situazione difficile ma seppe essere all’altezza, si impegnò concretamente in primis per il bene della nazione emanando leggi di indiscutibile utilità e facendo ricorso in molti casi, alla cassa personale affinché si affrontassero i problemi reali del suo popolo. Fu un sovrano di carattere forte e deciso e per questo attirò l’odio e le invidie di coloro che mal sopportavano il suo energico temperamento. Dopo le prime rotture con l’Inghilterra a causa dei mancati accordi sullo sfruttamento dello zolfo in Sicilia e le mire espansionistiche del Piemonte sulla penisola italiana, ebbe inizio oltre confine un inarrestabile danneggiamento dell’immagine del sovrano e del suo regno. Il Borbone venne etichettato come despota o peggio ancora. Un sovrano e un regno vittime di una politica diffamatoria internazionale, uno dei più noti esponenti di questa politica è tristemente noto con il nome di William Ewart Gladstone che nel 1888 ammise di aver fatto simili affermazioni senza mai averne verificato l’attendibilità. Queste menzogne si rivelarono poi, efficaci strumenti atti a creare malcontento e a preparare il terreno all’invasione piemontese del 1860.
Attraverso lo studio della numismatica e delle medaglie è facile smentire a distanza di oltre un secolo e mezzo ciò che di negativo venne e viene scritto sulle Due Sicilie. Al momento dell’annessione al Piemonte, nel Meridione vi erano gli oltre due terzi delle riserve auree italiane e di numerose strutture industriali che fecero di questo Regno una potenza mondiale.
L’abbondante coniazione di monete nei tre metalli che vi fu nei 127 anni di autonomia dinastica meridionale (1734-1861), testimonia tale ricchezza e tutto ciò che venne prodotto nella zecca di Napoli e Palermo fu espressione di una arte superiore incentivata e seguita personalmente dai sovrani borbonici. Documenti d’epoca narrano, ad esempio, che Ferdinando II stabilì a lavoro ultimato che alcuni incisori di medaglie percepissero compensi superiori a quelli stabiliti inizialmente (cfr. Bollettino del Circolo Numismatico Napoletano del 1939), una forma questa di incentivazione che non poteva essere dettata se non da criteri meritocratici tipici del buongoverno borbonico.
Andrea Cariello fu uno dei più validi incisori napoletani del suo tempo ed è il protagonista principale di questo articolo.
Nell’ottocento furono pochissimi i tipi di monete napoletane ad avere la firma dell’incisore, uno di questi è il 40 Franchi in oro del 1810, qui le iniziali del Morghen sono in rilievo nel taglio del collo di Gioacchino Murat. Si dovranno poi attendere gli ultimi anni di regno per trovare la firma in incuso dell’incisore Luigi Arnaud sui due nominali (di grande modulo) di Francesco II di Borbone (datati 1859).
Ritengo doveroso evidenziare la difficoltà tecnica per la battitura delle due piccole lettere in incuso su un tondello di una moneta. Per rendere possibile tale operazione, il conio avrebbe dovuto avere le stesse ma in rilievo, in modo tale da poterle battere in negativo e non in rilievo. Infatti, proprio per questa situazione anomala, si è inizialmente portati a mettere in dubbio l’autenticità di tutto ciò che è in incuso su una moneta. Anche su questo 10 tornesi vi furono inizialmente dei dubbi ma svaniti subito nel momento in cui, per pura combinazione, si è scoperto che anche su altri esemplari del 1847 testa grande vi sono le stesse sigle e per giunta posizionate perfettamente nello stesso punto del dritto, una particolarità quest’ultima che ci fa escludere l’apposizione di queste con metodi artigianali. Ipotizzando che fossero state poste successivamente alla coniazione, quale fu il motivo che spinse chicchessia a fare una simile operazione? Con che tipo di attrezzatura fu possibile incudere con precisione maniacale delle lettere così piccole senza lasciar tracce marginali di tale operazione maldestra e senza cambiare posizione da un esemplare all’altro? Se vi sono dubbi sull’autenticità di queste sigle, allora si dovranno mettere in discussione tutte le sigle in incuso presenti nelle migliaia di monete di Francesco II di Borbone. I nominali in argento da 120 grana e quelli in rame da 10 tornesi napoletani di Francesco II di Borbone del 1859 hanno in comune lo stesso ritratto e presentano in entrambi i casi le sigle in carattere corsivo L. A., iniziali dell’incisore Luigi Arnaud, altro grande incisore di medaglie napoletane, rimasto in carica a Napoli fino al 1871 e figlio dell’incisore Achille Arnaud.
Segue: articolo completo in formato pdf (0,9 MB) da Panorama Numismatico nr.249 / marzo 2010