di Lorenzo Bellesia – anteprima da Panorama Numismatico nr.261, Aprile 2011
AGLI INIZI DEL TRECENTO ALCUNE ZECCHE PIEMONTESI SI SPECIALIZZARONO NEL CONTRAFFARE IL GROSSO VENEZIANO, IL TIROLINO E L’IMPERIALE MILANESE.
Dopo la morte di Federico II l’Impero era precipitato nell’anarchia ed i Comuni italiani si affrancarono completamente.
Nel 1308 fu eletto re di Germania Enrico VII di Lussemburgo. Incoronato ad Acquisgrana il 6 gennaio 1309, decise di scendere in Italia per essere incoronato re dei Romani e cercare di consolidare il potere imperiale nella penisola lacerata dalle lotte tra guelfi e ghibellini. Giunse allora a Milano dove si fece incoronare re d’Italia il 6 gennaio 1311. Orgoglioso della sua missione, volle riordinare il caos che regnava in Italia non solo dal punto di vista politico ma anche economico e monetario.
Per questo il 7 novembre 1310 fu emanata in palatio comunis Papie una grida che prevedeva, prima di tutto, che nessuno osasse dare nec recipere nec portare imperiales factos in Clivassio in Yporeya in Incixa et in Ponzono in Curtemilia nec nullum marchexanum Tyrallinum Russinum factos in dictis monetis.
La grida proseguiva intimando di portare il metallo da monetare alla sola zecca di Milano e tariffava alcune monete sia d’oro che d’argento.
Evidentemente i problemi creati alla circolazione da queste zecche non dovevano essere trascurabili. Le zecche citate dalla grida erano tutte piemontesi e si erano specializzate nella produzione di contraffazioni delle monete allora più diffuse.
Partiamo però dalle monete citate nella grida. Sono tre: l’imperialis, il marchexanum tyrallinum ed il russinum. L’imperiale è la moneta milanese in mistura col nome di Federico II che in letteratura è assegnata soltanto all’età dell’imperatore, cioè dal 1218 al 1250.
Tuttavia, sia per ragioni economiche che morfologiche, è praticamente certo che sia stata battuta comunque anche nella seconda metà del Duecento. Se ciò non fosse, Milano sarebbe rimasta per una sessantina d’anni senza abbondanti emissioni di monete di modesto valore. I ripostigli poi comprendono sia gli ambrosini d’argento che questi imperiali.
Il tyrallinum è il tirolino, la moneta d’argento meranese che conobbe un grande successo nel nord Italia e fu molto imitata per la sua stabilità e la sua
abbondanza.
Il russinum è la contraffazione del grosso di Venezia fatta in Serbia. Tra la fine del Duecento e gli inizi del Trecento queste contraffazioni dovevano essere davvero abbondanti nella circolazione italiana per scomparire dopo la grida di Enrico. E’ molto probabile che le zecche piemontesi non si siano rifatte direttamente alla moneta veneziana, che era diffusa in area lombarda già da moltissimi anni, ma che, ai primi del Trecento, avessero approfi ttato proprio della confusione creata dai grossi di Rascia, troppo numerosi e troppo simili all’originale per poter essere eliminati, per insinuarsi anch’essi nella circolazione.
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