UN CONVEGNO A CASERTA HA RACCONTATO LA SUA ATTIVITà RIFORMATRICE NEL REGNO DELLE DUE SICILIE
Nella splendida cornice del Complesso monumentale del Belvedere di San Leucio, a Caserta, il 9 giugno scorso si è tenuto il Convegno La moneta nuova di Carlo di Borbone, incentrato sugli aspetti storici e numismatici del governo di Carlo III di Borbone nel Regno di Napoli. All’organizzazione, ben curata in ogni dettaglio da Ciro Foglia, ha contribuito l’International Association of Lions Clubs, con il patrocinio di Nomisma.
I relatori hanno affrontato l’argomento sotto diversi punti di vista: Giuseppe Cirillo, ordinario di Storia Moderna e Contemporanea, ha introdotto il tema parlando di Carlo di Borbone tra Napoli e Madrid; Lorenzo Bellesia ha trattato della monetazione del sovrano a Napoli; Alberto D’Andrea ha approfondito i rapporti tra la moneta napoletana e quella siciliana nel Settecento, due sistemi monetari diversi che dovevano essere armonizzati.
Carlo di Borbone era il primogenito di Filippo V di Spagna e di Elisabetta Farnese, nato a Madrid il 20 gennaio 1716. Ben note sono le vicende della guerra di successione spagnola che portarono al trono il padre, nipote del re Sole Luigi XIV, per il fatto che la nonna, moglie di Luigi XIV, era la sorellastra dell’ultimo re di Spagna della dinastia Asburgo. Elisabetta Farnese era stata anche l’ultima duchessa di Parma e Piacenza e con lei la dinastia Farnese si estinse. I diritti della madre vennero riconosciuti dalle potenze europee con i trattati dell’Aia e di Londra rispettivamente del 1717 e del 1718, ma solo attraverso una lunga serie d’ostacoli la regina riuscì a rendere il figlio effettivamente duca di Parma e Piacenza nell’ottobre 1732. Erede da parte di madre anche della casata de’ Medici, Carlo fino all’ottobre 1732 si era trattenuto in Toscana, della quale aveva assunto il titolo di gran principe ereditario, attendendone la successione. Ma Carlo era ambizioso e pretendeva di più di quel piccolo territorio della pianura padana. Nel 1734, al comando dell’esercito spagnolo, partecipò alla guerra di successione polacca puntando alla conquista del Regno di Napoli e di quello di Sicilia, che erano sotto il potere degli Asburgo austriaci. Le truppe spagnole riuscirono nell’impresa: il 10 maggio 1734 Carlo entrò trionfante in Napoli e cinque giorni dopo giunse l’atto di cessione che Filippo V faceva a Carlo di tutti i suoi diritti sul Regno riconquistato. Carlo assunse il titolo di re delle Due Sicilie facendosi incoronare nella cattedrale di Palermo, contro il volere del papa ma approfittando dell’antico privilegio concesso ai re normanni sulla nomina dei vescovi della Sicilia. Il titolo gli fu poi riconosciuto dal trattato di Vienna del 1738 a patto, però, che cedesse Parma all’Austria e la Toscana a Francesco di Lorena. In cambio gli venne riconosciuto il Regno di Napoli, quello di Sicilia e lo Stato dei Presidi. Nella bolla di proclamazione egli si fece chiamare semplicemente Carlo, senza ordinale, poiché sarebbe stato complicato individuare la numerazione relativa al regno di Napoli: l’indicazione III si riferiva al solo regno di Sicilia. Egli comunque conservò i titoli ereditari di duca di Parma e Piacenza e di gran principe di Toscana.
Carlo regnò a Napoli per 25 anni e intraprese una vasta serie di riforme che svecchiarono il Regno e lo modernizzarono tanto da renderlo uno dei più avanzati in Europa. Riformò la giustizia e l’amministrazione pubblica tra cui il sistema tributario. Caso rarissimo anche all’epoca, la sua riforma amministrativa consentì di gestire meglio le risorse statali e quindi di ridurre il carico fiscale sulla popolazione.
Al processo di modernizzazione del Regno contribuì anche la riforma della moneta, che venne radicalmente cambiata, sia come elemento del sistema monetario, sia come prodotto industriale uscito da quella particolare fabbrica che si definisce zecca. Carlo di Borbone e i suoi consiglieri erano consci che un sistema monetario robusto e duraturo, che potesse essere un aiuto all’economia e non un intralcio, doveva presentare tutti i tipi di moneta, da quella di grande valore, cioè d’oro e d’argento di largo modulo, a quella media, cioè d’argento di piccolo modulo, per arrivare alla moneta di rame necessaria per il commercio minuto ma che non doveva essere né sopravvalutata rispetto all’oro e all’argento né emessa in abbondanza.
Carlo volle creare nuove monete d’oro e di rame correlandole con quelle d’argento che costituivano l’ossatura del sistema monetario precedente, nonostante coniare l’oro fosse molto costoso, essendoci margini di guadagno per lo zecchiere o per lo Stato davvero bassi. Diverso il discorso per la moneta di rame. La mancata produzione nei primi decenni del Settecento non può che essere meritorio per le autorità napoletane che non vollero inondare il mercato di altre monete del genere dopo la grande produzione che era stata fatta sotto Carlo II. È assolutamente da rimarcare che Carlo di Borbone continuò la sana tradizione napoletana di osteggiare la cosiddetta moneta di mistura, cioè d’argento a basso titolo che tanto successo invece cominciava ad avere nel confinante Stato pontificio. In realtà, la moneta di mistura era spesso sopravvalutata rispetto alle monete d’argento di titolo più elevato creando disarmonia all’interno dei sistemi monetari.
Vale la pena fare una nota sull’aspetto artistico delle monete di Carlo di Borbone. Dopo l’opulenza e lo sfarzo delle monete dell’età barocca, intorno alla metà del Settecento il livello artistico delle monete decadde in tutta Italia. Si trovano già in nuce gli stereotipi della produzione ottocentesca, con il ridottissimo numero di raffigurazioni adottate ma senza che lo stile neoclassico e la manifattura della rivoluzione industriale dessero alle monete quell’aspetto che rende affascinante la produzione numismatica preunitaria.