di Fabio Robotti
LE VICENDE DELLA PIU’ ANTICA CARICA DELLA CORTE PONTIFICIA ED I COMPITI SVOLTI IN TEMPO DI SEDE VACANTE.
Il maggiordomo è il titolo più antico tra tutte le cariche delle corti, in quanto fin dagli albori della storia presso ogni regno fu necessario individuare un soggetto deputato all’amministrazione e al governo della casa del “principe”.
La Sacra Bibbia ci tramanda la vicenda di Giuseppe che, negli anni del soggiorno in Egitto del Popolo eletto, era salito nella scala sociale fino arrivare ad amministrare la casa del Faraone e ai tempi di Roma imperiale il Magister Officiorum gestiva il patrimonio e la casa dell’Imperatore. Successivamente alla caduta dell’Impero Romano d’Occidente, nei regni italici degli Ostrogoti e dei Longobardi la principale figura della corte era il maggiordomo che si occupava dell’economia della casa dei re, mentre nell’Impero Romano d’Oriente le sue potestà, definite dal Codice di Giustiniano, arrivarono a comprendere anche la giurisdizione civile e criminale su tutto il personale, civile e militare, occupato presso il palazzo imperiale. Nel regno Merovingio di Francia l’autorità del Maggiordomo, il Maitre de palais, divenne così smisurata che il titolo poté essere trasmesso per successione ereditaria e i Pontefici San Gregorio II (Gregorio Savelli, 715–731) e San Gregorio III (Gregorio cardinale di San Crisogono, 731–741) quando chiesero aiuto ai Franchi contro la minaccia longobarda si rivolsero direttamente al maggiordomo Carlo Martello (685–741), che comandava anche l’esercito, invece che al legittimo sovrano. Avendo ormai concentrato tutto il potere nella carica di maggiordomo fu facile nel 741 a Pipino il Piccolo (714–768) impossessarsi anche del titolo di re di Francia deponendo Childerico III, l’ultimo re della dinastia merovingia, per poi passarlo in successione dinastica al figlio Carlo Magno (742–814).
Nelle grandi corti europee, fino alla caduta dell’ancien regime, il maggiordomo ricoprì sempre ruoli importanti in Francia il Grand Maitre, in Spagna l’Alcade de corte, in Austria il Summus magister e nei reami di Germania il Gran Maresciallo di corte erano giudici in tutte le materie civili e criminali quando erano coinvolti i soggetti che lavoravano presso il palazzo reale. Anche in alcuni Stati dell’Italia preunitaria (nel Regno di Napoli e nel Lombardo–Veneto austriaco) fino ai primi decenni del XIX secolo la figura del Gran Siniscalco rivestiva un ruolo analogo.
L’origine della figura del maggiordomo del Papa coincide con il momento stesso della nascita della Chiesa, quando nei primi anni del IV secolo l’imperatore Costantino riconoscendo la dignità del Pontefice gli fece dono del palazzo Laterano presso cui prese a risiedere insieme alle prime alte gerarchie della comunità ecclesiale. In quei lontani anni alle esigenze e ai bisogni della persona Pontefice nonché del clero e dei laici impegnati al servizio del pubblico magistero della Chiesa provvedeva un ecclesiastico il Vice–dominus chiamato a presiedere la famiglia pontificia e ad amministrare le donazioni dei fedeli e le rendite della Chiesa romana in sostituzione del Papa occupato ormai a tempo pieno dai problemi teologici e del governo delle Chiesa. Il Pontefice assegnava questo “incarico chiave” nel contesto della gerarchia ecclesiastica a quei vescovi che si erano distinti per la loro nobiltà d’animo e probità stante l’altissima responsabilità derivate dall’ufficio. Questi dovevano, infatti, sia organizzare il governo del Patriarchio lateranense che vigilare sulla persona fisica del Pontefice garantendogli in quegli anni bui anche la sicurezza e il sostentamento. Per svolgere tale magistero il Vice–dominus esercitava la propria giurisdizione, avendo a disposizione un numero sempre più numeroso di ufficiali subalterni mano a mano che il patrimonio della Chiesa si accresceva, su tutto il Patriarchio e conseguentemente sulla corte e sulla famiglia pontificia individuando anche le manchevolezze e correggendo gli errori nella gestione amministrativa della sede apostolica.
Era contemporaneo dell’imperatore d’Oriente Giustiniano il primo Vice –dominus di cui si hanno notizie, le cronache dell’epoca rendicontano del prete Ampliato che, mentre ricopriva tale incarico, accompagnò a Costantinopoli il Papa Virgilio (537–555) per partecipare al sinodo del 544 nel corso del quale furono approfondite le tematiche riguardanti l’eresia monofisita. Mentre risale al 1044 l’ultima volta in cui un documento ufficiale ci si riferisce a questa carica, una bolla papale di Benedetto IX (Teofilatto dei conti di Tuscolo, 1033 – 1056) l’unico Pontefice che salì al Soglio tre volte, mantenendo sempre il medesimo nome e numerario, avendo per due volte venduto la carica. Successivamente, per un breve periodo, gli importanti ruoli di guida della corte e della famiglia pontificia e di amministratore dei beni della Chiesa vennero assommati con gli altri incarichi già in capo al Camerlengo.
Mentre negli anni in cui i Pontefici dimorarono ad Avignone (1309–1377), essendo cresciute notevolmente le incombenze spettanti al camerlengo, il governo del palazzo e della famiglia pontificia furono trasferiti a un ufficiale di condizione laica il Maestro del Sacro Ospizio.
A ricoprire il rilevante incarico di curatore dei cospicui beni mobiliari e immobiliari della Chiesa al fine di ricavarne la rendita per sostenere le necessità della corte vennero chiamate personalità di grande esperienza, fede e prudenza in grado di coniugare la devozione religiosa con la capacità imprenditoriale necessaria per negoziare i rilevanti affari riguardanti il patrimonio ecclesiastico.
La storia ci tramanda tra i nomi dei diversi Maestri che si succedettero nella carica quello di Ugone de Ruppe che esercitò l’incarico sotto il pontificato di Gregorio XI (Pierre Roger de Beaufort, 1370–1378). Dai documenti d’archivio emerge che Ugone viaggiò fino nei più lontani possedimenti della Chiesa per verificare la bontà della loro amministrazione e, convinto della necessità del ritorno a Roma della Sede apostolica, si adoperò per sostenere presso il Pontefice la causa del rientro della corte papale sulle sponde del Tevere. Con il ritorno stabile del pontificato a Roma e la progressiva crescita dello splendore della corte pontificia Martino V (Ottone Colonna, 1417–1431) ritenne opportuno e conveniente tornare ad assegnare la delicata funzione di Maestro dell’Ospizio, in quanto posta anche al diretto servizio della propria persona, a un ecclesiastico cui venne assegnato il titolo di prefetto del sacro palazzo apostolico, chiamato nel linguaggio comune maestro di casa del Papa. In quegli anni si iniziò a utilizzare in modo alternativo il termine prefetto e quello di maggiordomo avvalendosi del primo per riferirsi all’amministratore del patrimonio della corte pontificia, del secondo, invece, alla funzione di custode della persona del Papa.
La carica di Maestro del Sacro Ospizio, invece, tornò a essere assegnata unicamente ai laici divenendo puramente onorifica a cui, quindi, non corrispondevano compiti o incarichi particolari, e che disponeva, nell’ambito del protocollo, delle analoghe prerogative del primo dei quattro camerieri di segreti partecipanti di cappa e di spada ed equiparata nel rango all’Ambasciatore di Bologna. Pochi anni dopo, con il Pontificato di Pio II (Enea Silvio Piccolomini, 1458–1464), invalse la consuetudine di assegnare l’incarico di Prefetto a dei vescovi, nella maggioranza dei casi di illustre casato di nascita, che godevano dell’incondizionata fiducia del Pontefice e che venivano premiati per i lori servigi, al termine dell’incarico, con l’assegnazione del galero cardinalizio.
Segue: articolo completo in formato pdfda Panorama Numismatico nr.258, gennaio 2011