Giovanni Gandolfi, professore di statistica e contabilità commerciale, nel 1860 diede alle stampe a Napoli il suo Monete di oro e di argento dei principali Stati del mondo. Un anno prima che il Regno di Napoli cessasse di esistere e con lui il suo sistema monetario, gli era convinto che proprio quello fosse il migliore della penisola! Altro che la lira!
Di tutte le monete che nelle differenti parti della Italia servono di unità monetaria, il ducato napolitano è il solo che potrebbe essere ammesso come unità generale per tutta l’Italia, qualora vorrebbesi adottare un sistema uniforme monetario al quale più facilmente si adatterebbero quelle popolazioni italiane che fanno uso di altre unità di moneta, ciò che non sarebbe lo stesso con l’adozione della nuova lira di Piemonte (la quale non vanta un’origine italiana), né molto meno col fracescone (sic) di Firenze, lo scudo romano ecc.
Lo scudo o ducato napolitano dividesi in parti decimali non solo, ma ha benanche la moneta rappresentativa del decimo e del centesimo con denominazione particolare. Il ducato dividesi in 10 carlini rappresentati con monete effettive tanto nella unità carlino quanto ne’ multipli di esso, cioè 2, 3, 4, 5, 6 carlini, e nella metà, cioè ½ carlino.
Il carlino dividesi in 10 grani rappresentati con monete effettive tanto nella unità grano quanto ne’ multipli di esso, 2, 3, 4, 5 grani, come anche nelle parti di esso, cioè ¼, 1/3, ½, ¾, ciò che per il basso popolo è di grandissima utilità negli aggiusta-conti delle loro modiche spese. Il ducato, con le sue divisioni e con le rispettive monete rappresentative tali divisioni, comodamente si presta ne’ conti non solo alla parte intelligente della nazione, ma anche alla più bassa classe della popolazione, all’infima femminuccia, poiché dovendo conteggiare sopra piccoli valori, si serve dell’unità grano, e gli è facile calcolare la spesa di 2, 3, 5, 7, 9 grani; se per valori di maggiore importanza la spesa di 3, 5, 6, 8 carlini, e se di un prezzo maggiore, la spesa di 2, 5, 7, 9 ducati, ciò che non si potrà ottenere con le altre monete che mai non potranno generalizzarsi ed essere adottate per le difficoltà che esse presentano.
La lira nuova di Piemonte, ossia il franco di Francia sotto altra denominazione, è una moneta di troppo tenue valore intrinseco da prestarsi nelle sue divisioni in parti decimali da avere le monete effettive rappresentative di queste parti, e non altra nomenclatura si usa e ne’ conti, e nelle odierne transazioni degli affari, e nelle comprevendite, e nelle grandi come nelle piccole spese, che di franchi e centesimi, e quindi bisogna esprimere con più cifre anche il più minimo prezzo, ciò che richiede una certa perizia ne’ conti, che nella generalità della bassa classe del popolo non potrà ottenersi. In fatti, come sarà mai possibile che un popolano, una femminuccia, una fantesca possa mentalmente conteggiare 35 centesimi, 28 centesimi, 66 centesimi, 84 centesimi, e molto meno 2 franchi 24 centesimi, 7 franchi 42 centesimi, 9 franchi 85 centesimi. Una pruova di questa verità noi l’abbiamo de’ Francesi medesimi, che ad onta di tutta l’autorità di quel governo, per l’adozione rigorosa del sistema metrico decimale, la gran parte della popolazione ancora fa uso della denominazione di soldi, e di questi si serve ne’ piccoli loro conti.
Nel rapporto de’ prezzi alle unità di misura e di peso divise in parti decimali, chi non scorge il grandissimo vantaggio e la superiorità del ducato sul franco, poiché al prezzo di un ducato della unità di peso o misura corrisponde il prezzo di un carlino, o di un grano alla decima o centesimi parte dell’unità misura o peso, e viene rappresentato da un sol numero semplice facente unità distinta di moneta, mentre che col franco si avrebbe il valore sempre espresso da tre cifre; per esempio, per esprimere il prezzo di un decimo o di un centesimo di una unità misura o peso valutata un franco (o lira di Piemonte) bisogna esprimerlo: lire 0,10 o lire 0,01, che non sono se non parti della unità franco o lira, non essendovi una unità distinta con nome particolare de’ 10 centesimi e molto meno dell’1 centesimo il quale, per la sua picciolezza, non può essere neppure rappresentato in moneta.
La lira nuova di Piemonte ne’ multipli e negli spezzati di essa non ha altre monete che il pezzo di 5 lire, di 2 lire, la mezza lira o 50 centesimi, il ¼ di lira o 25 centesimi, il decimo di lira o 10 centesimi, ed il pezzo di 5 centesimi, in tutto sette differenti monete da servire agli aggiusta-conti.
Il ducato napolitano, eccettuata la moneta di carlini 12 come multiplo delle varie divisioni del ducato, non ha multipli di esso, ma ne’ suoi spezzati è rappresentato da 14 monete, le quali con grandissima facilità si prestano agli aggiusta-conti, come si vedono sopra indicate. Con le monete facenti parti del ducato si possono formare ed eguagliare esattamente le somme da 1 fino a 100 grani anche con frazioni di grano, con le monete facenti parti della lira, che consistono in sole 4 monete, non altri valori si possono rendere esatti con esse monete che 5, 10, 15, 20, 25, 30, 35, 40, 45 centesimi ec. ossia la sola progressione di 5 in 5 centesimi, e per conseguenza non si deve tenere conto de’ centesimi al di là di 5 o 10 finchè non raggiungono queste cifre.
Ed in effetti il Gandolfi aveva ragione: ancora in Piemonte non si batteva il centesimo, cosa che sarà fatta soltanto dopo la costituzione del Regno d’Italia.
Ma che il Gandolfi fosse un po’ troppo prevenuto contro i Piemontesi, imitatori dei Francesi, ci viene confermato qualche riga più sotto quando se la prende anche col sistema di pesi e misure per cui quello napolitano sarebbe superiore eminentemente al sistema francese.
E poi continua… per accennare una sola delle ragioni della superiorità del sistema napolitano e la più latente di tutte, mi limito a dire che la base del sistema francese, il metro, non è a paragonarsi con la base del sistema napoletano il palmo. Il palmo, oltre di vantare un’anteriorità al metro, poiché è in uso da circa quattro secoli, sin dal tempo di Ferdinando I d’Aragona, che lo pose in vigore con il reale editto del 6 aprile 1480, è più conforme ed adattato all’uso delle scienze, e più si presta a tutte le applicazioni ed ai bisogni del commercio, della industria, delle arti e de’ mestieri.