La nuova dominazione bonacolsiana terminò nel 1327 quando fu scacciato il suo vicario e Modena riconobbe come signore il pontefice Giovanni XXII. Anche questo dominio durò poco perché i Modenesi offrirono la città all’imperatore Lodovico il Bavaro insieme a 3.000 fiorini perché inviasse truppe a difenderla. Il 27 novembre 1328 un contingente tedesco entrò a Modena e subito cominciò ad imporre contribuzioni. Il 23 aprile 1331 Modena riconobbe come signore Giovanni re di Boemia mentre si trovava in città. All’inizio dell’anno dopo scoppiarono nuovi tumulti e finalmente nel 1336, dopo sanguinose lotte ed un devastante assedio, ritornarono gli Estensi. Invano i Modenesi offrirono la signoria a Mastino della Scala di Verona e a nulla valsero le proteste presso il re Giovanni che già nel 1333 era tornato in Germania e che rispondeva di non poter far nulla. Il 13 maggio 1336 il marchese Obizzo III entrava in Modena tra grandi festeggiamenti ed il consiglio generale lo nomina signore.
Quindi il periodo che il CNI sbrigativamente definisce come Repubblica tra il 1306 ed il 1336 in realtà vede un continuo succedersi di poteri: dopo aver scosso il giogo di Azzo VIII, in men di trent’anni Modena cangiò padrone, anzi tiranno per ben dieci volte:
nel 1306 i Podestà
nel 1307 Enrico VII e il suo vicario Passerino
nel 1318 Francesco Pico
nel 1321 di nuovo Passerino
nel 1327 il card. legato per Giovanni XXII
nel 1328 Lodovico il Bavaro
nel 1330 Manfredo Pio
nel 1331 Giovanni re di Boemia
nel 1332 di nuovo i Pii
nel 1336 Mastino dalla Scala1.
Naturalmente alla base di tutte queste autorità vi erano istituti o rapporti giuridici ben diversi tra di loro. A volte il potere era esercitato direttamente tramite governatori, come fu per gli Estensi, a volte tramite vicari, a volte da podestà2, a volte il potere era effettivo, come per Passerino, a volte poco più che nominale, come nel caso di Giovanni di Boemia3. Questi istituti dovrebbero essere esaminati attentamente alla luce dei documenti e delle cronache d’epoca.
Ma torniamo ora alla moneta descritta all’inizio per la quale è da chiedersi se sia possibile collocarne meglio l’emissione.
Gli Annales Veteres Mutinensium indicano che nel 1322 Dominus Passarinus cudere faciebat monetas in civitate Mutinae4. Per Saccocci5 nulla consente di collegare questa emissione, chiaramente “comunale”, al breve periodo modenese del Bonacolsi.
Probabilmente queste monetas erano i grossi ed i piccoli con la lettera A anche se è da spiegarsi il motivo per cui non portano il nome dell’allora signore di Modena mentre si trova quello di Azzo nell’emissione di venti, trent’anni prima. Questo fatto può essere spiegato in diversi modi.
E’ agli inizi del Trecento che si affermarono le signorie in molti comuni dilaniati dalle lotte tra le fazioni interne, fazioni che furono superate dal potere di uno solo, il quale, con metodi dittatoriali, ristabilì l’ordine sociale. L’espressione, per così dire, numismatica del passaggio dal comune alla signoria non fu certo né omogenea né contemporanea.
Per esempio, a Milano, appena Azzone Visconti diventò signore di Milano nel 1330 fece battere monete a suo nome. A Bologna Bertrando del Poggetto fu inviato in Italia dal pontefice Giovanni XXIII, suo zio, che lo aveva nominato cardinal legato per riaffermare il dominio papale sui territori insidiati dai Visconti. Bertrando praticamente si comportò da signore nella città emiliana dal 5 febbraio 1327 al 28 marzo 1334 e gli vengono attribuiti dei bolognini grossi ed un piccolo. Uno dei grossi ed il piccolo sono caratterizzati da un piccolo stemma all’inizio della leggenda del rovescio6. Il successivo signore di Bologna, Taddeo Pepoli (1337-1347), fece invece mettere per esteso il suo nome nelle monete. I Bonacolsi, che furono signori di Mantova dal 1276 al 1328, posero un piccolo stemma sull’aquilino lasciando anonime altre emissioni che ora sono attribuite alla loro signoria7.
Perciò è possibile che Rinaldo Bonacolsi, che già a Mantova non metteva il proprio sulle monete, non lo abbia fatto volontariamente neppure a Modena dove tra l’altro potevano essere ancora in vigore le già citate norme contro la dittatura emanate dopo la cacciata di Azzo.
Tornando alla moneta oggetto di questo articolo, ci si deve concentrare ora sulle leggende, CIVITAS al diritto e COMVNE al rovescio. I due termini sono completamente nuovi per la monetazione modenese e sono anche piuttosto rari nella monetazione contemporanea. Il termine comunis si trova, per esempio, sulle monete di Savona, civitas sui cosiddetti torellini di Parma ma i due termini insieme non si trovano in nessun’altra emissione italiana.
I concetti di comunis o commune, civitas e populus sono alla base dell’esperienza dei liberi comuni in Italia. Il commune, originariamente un aggettivo, è un concetto essenzialmente giuridico che indica la partecipazione dei cittadini. Per civitas si deve invece intendere la comunità dei cittadini all’interno delle mura cittadine. Scorrendo gli Statuti modenesi del 1327 si trovano innumerevoli citazioni. Si parla di Comunis Mutine, di Palatio Comunis e di Statuta Comunis Mutine. I due termini si trovano citati anche insieme: Pro evidenti utilitate civitatis comunis et populi Mutine8. I due termini sembrano perciò esprimere l’uno, civitas, un concetto fisico di luogo, e l’altro, comune, un concetto giuridico. Risulta quindi giustificato, da un lato, l’abbinamento della leggenda CIVITAS con la lettera M iniziale e simbolo di Mutina in modo da identificare la civitas Mutinae, dall’altro, l’abbinamento della leggenda COMVNE con la croce, altro elemento del tutto nuovo nella monetazione modenese, ad indicare che il potere temporale del Comune derivava direttamente da Dio.
Queste leggende sembrerebbero sottolineare una identità cittadina appena uscita da una dominazione straniera come poteva essere appunto quella estense. Una attribuzione alla Respublica mutinensis tra il 1306 ed il 1307 sarebbe allora probabile. Tuttavia rimane irrisolto un problema, quello relativo al nominale.
Note
- G. Baraldi, 1846, pp. 125-126.
- Per esempio, dopo l’espulsione di Passerino Bonacolsi nel 1318, ressero Modena otto podestà insieme ma tra essi Francesco Pico poteva considerarsi rivestito di maggiore autorità che quindi era da intendersi basata soltanto su questioni di influenza e prestigio personale. Cfr. Statuta, 1327, p. XXI.
- Allorchè i Modenesi dettersi in accomandigia al papa, secondo gli accordi fatti scieglieva esso, sopra una terna presentatagli dal consiglio generale, chi avesse ad essere rettore di Modena… I principi stranieri che per breve tempo la città ebbero in soggezione deputavano vicarii a governarla, che tal volta, come i Pio, mercè un tributo che pagavano, indipendenti si resero da essi. Cfr. Statuta, 1327, p. XXI.
- Citato da A. Saccocci, 1998, p. 46, conosciuto anche da A. Crespellani, 1884, p. 10. Il Crespellani riporta anche un altro fatto dagli Annales veteres mutinensium: altre dette false furono battute da privati nel 1323, come leggesi nella Cronaca del Morano. Per false credo debbasi intendere scadenti per la qualità metallica, o calanti di peso.
- A. Saccocci, 1998, p. 46.
- Chimienti, 2009, pp. 108-109.
- A. Saccocci, 1996.
- Statuta, 1327, p. 711.
One Comment
Giambattista.Moreali
Sembra di leggere la cronaca quotidiana dei nostri giorni. Io non vedo che finisca.