di Gionata Barbieri – da Panorama Numismatico nr.255 / Ottobre 2010
LA ZECCA AQUILANA IN QUESTI ULTIMI TEMPI E’ STATA OGGETTO DI NUOVI STUDI. ORA VIENE PUBBLICATO UN BOLOGNINO CHE SI DISTINGUE IN PARTICOLARE PER UN’AQUILA INTORNO ALLA QUALE SONO DISPOSTE A CROCE LE LETTERE A Q L A.
L’esistenza di una cospicua varietà di bolognini coniati nella zecca aquilana è qualcosa di cui siamo ben a conoscenza grazie alla letteratura passata ma anche a quella di più recente pubblicazione (cfr. bibliografia); ad essi vengo ad aggiungere il tipo inedito trattato in questo studio. Come avrò modo di discorrere tra breve, la descrizione della moneta suddetta risulterà particolarmente utile anche per chiarire alcune vicende legate alla storia dell’iconografia monetale de L’Aquila, fungendo, senza mezzi termini, da pietra miliare.
Prima di illustrare l’inedito in maniera particolareggiata, può essere utile al lettore una breve contestualizzazione della moneta nel circolante abruzzese.
Il bolognino è un nominale che tanta diffusione ebbe nell’Italia centrale ed aree limitrofe durante gran parte della bassa età media. Esso fu per la prima volta coniato a Bologna sul finire del XII secolo, dapprima con un peso pari a 0,5-0,6 grammi (bolognino piccolo) poi con un contenuto massivo intorno a 1,57 grammi, fino a raggiungere grammi 1,288 nel 1351 (bolognino grosso)1. Oltre alle imitazioni centro-settentrionali del nominale vi furono anche quelle romane, iniziate con papa Urbano V (regnabat: 1362-1370) che si ispirò al tipo bolognese ma sostituì le tipiche iconografie della A (bononiA) e delle lettere IPRT (enricus ImPeRaTor), rispettivamente con il busto di un santo e con la scritta URBI a croce2. Bolognini argentei furono imitati anche nel Regno di Napoli angioino, in particolare dalle zecche abruzzesi, a sostegno dell’economia locale3 che di frequente si appoggiava, essendo territorio di confine, a tipi dell’area laziale e marchigiana4. La zecca de L’Aquila batté bolognini con i tipi simili a quelli di Urbano V e quattrini ad imitazione di quelli del Senato di Roma con il pretendente al trono napoletano Luigi I d’Angiò (regnabat: 1382-1384), e tali coniazioni continuarono fino all’epoca di regno di Giovanna II Angiò-Durazzo (regnabat: 1414-1435). A cavallo tra i secoli XIV e XV i rapporti generici di equivalenza in Abruzzo erano i seguenti: un singolo bolognino aquilano corrispondeva a 3 cinquine argentee più 3 denari, ossia 18 denari provisini, ossia 1/6 di carlino, o anche 5 quattrini di mistura5. Il bolognino costituiva comunque il nominale di valore più elevato (all’interno della scala di grandezze del sistema monetario) coniato nella zecca aquilana fino all’epoca di Ladislao. Probabilmente ciò rappresenta un riflesso della vita economica abruzzese, la quale, benché L’Aquila fosse in quel periodo la seconda città del reame dopo Napoli, era basata essenzialmente sulla pastorizia, quindi su forme di scambi che spesso non disdegnavano in alcune aree rurali l’uso obsoleto del pagamento in natura, come documentato dalle decime pontificie6.
L’inedito in questione è proposto in fig. 1. Il suo diametro è di ca. 16 mm con evidenti segni di tosatura, per un peso di 0.70 grammi. Il conio di rovescio è minimamente decentrato.
Di seguito ne fornisco la descrizione.
D/ LADIS[…]EX in doppio circolo perlinato, nel campo in scrittura gotica le lettere A · Q · L · A · disposte a croce intorno ad una aquiletta.
R/ S PET[…]S PP 9 S in doppio circolo perlinato, nel campo busto mitrato di San Pietro Celestino che indossa piviale perlinato chiuso da fibbia a forma di stella a sei punte. Ai lati della testa e sotto la fibbia sono rispettivamente posizionati degli anelletti, uno per ciascuno dei tre punti della moneta.
La consunzione parziale delle legende del dritto e del rovescio non permette una lettura completa di esse. In effetti avremmo osservato al dritto in caratteri gotici LADISLAVS REX o varianti, di ovvio significato, invece al rovescio avremmo letto le lettere mancanti per completare la parola PETRVS, ottenendo complessivamente, dopo aver sciolto le abbreviazioni, “San Pietro Papa e Confessore”. Il segno 9 funge da abbreviazione di CON o CUM, che con la S successiva vuol indicare appunto il titolo di “Confessore”7. Il santo raffigurato è Papa Celestino V (regnabat: 29 agosto 1294 – 13 dicembre 1294), al secolo Pietro Angelerio, che divenne noto come l’eremita fra’ Pietro da Morrone, e fu canonizzato da Papa Clemente V (regnabat: 1305-1314) nel 1313 come San Pietro Celestino “Confessore”, da cui deriva la forma della legenda del rovescio.
La moneta è stata coniata, come chiaramente espresso nella legenda, durante il regno di Ladislao Angiò-Durazzo (regnabat: 1386-1390 et 1399-1414). Tuttora non è chiaro con precisione quando la zecca aquilana abbia ripreso la propria attività sotto re Ladislao, in quanto la città parteggiò per lungo tempo per il pretendente al trono napoletano Luigi II (regnabat: 1390-1399), figlio del già citato Luigi I. È noto però che il pieno controllo su L’Aquila, da parte di Ladislao, si ebbe almeno a partire dall’agosto del 1395, come ci testimoniano i diplomi ricordati dal Franchi (p. 167), per cui è plausibile che intorno a questa data abbiano avuto inizio le coniazioni a suo nome8. Si suole comunque suddividere la produzione di bolognini in due gruppi9, il primo simile a quello di fig. 1, avente il busto mitrato di San Pietro Celestino con piviale, il secondo invece, cronologicamente posteriore, in cui il busto raffigurato è ancora mitrato e con piviale, ma è in mezza figura e benedicente con la mano destra, mentre nella mano sinistra reca una lunga asta culminante con una croce (fig. 2). Il primo gruppo lo si colloca nel periodo compreso tra il 1395 ed il 1404, ossia fino a che la zecca aquilana fu chiusa per ordine dello stesso Ladislao per l’eccessivo depauperamento dell’intrinseco dei bolognini, per i quali fu proibita la circolazione. La seconda tipologia dovrebbe essere stata battuta alla riapertura della zecca, con upper-bound intorno al 1414.
Prescindendo dalla inconsueta legenda del rovescio, l’aspetto saliente di questo esemplare monetale inedito è rappresentato dall’aquiletta (fig. 3) posizionata al centro delle lettere a croce A · Q · L · A ·, nel campo del dritto, sostituendo il tipico globetto.
Non è un azzardo affermare che la raffigurazione del volatile ha una connotazione rivoluzionaria. Si è sempre ritenuto, infatti, che l’aquiletta, emblema e simbolo della città de L’Aquila, fosse comparsa sulle monete ivi battute solo a partire dall’epoca della Regina Giovanna II Angiò-Durazzo10, attraverso l’aquiletta inserita nella legenda del rovescio del rarissimo mezzo carlino, nonché ponendo a tutto campo, nel dritto del nuovo nominale detto cella11, un’aquila ad ali spiegate, talvolta poco rifinita tanto da sembrare più una colomba che il rapace arma parlante della città abruzzese. Prima della comparsa del proprio emblema la zecca de L’Aquila poteva essere riconosciuta per mezzo di espressioni dirette quali ad esempio A · Q · L · A · a forma di croce e varianti (bolognini), oppure le lettere AQL e varianti all’interno di una legenda (quattrino), oppure in maniera ancora più esplicita la legenda DE AQVILA e varianti (quattrino, denaro provisino). L’inedito studiato in tale sede dimostra invece che l’arma parlante aquilana già all’epoca di Ladislao venne apposta almeno su di conio, spostando all’indietro il primo riferimento cronologico di questo simbolo cittadino per ciò che concerne la numismatica. Concretamente allora la prima arma cittadina de L’Aquila su moneta è da far risalire al periodo compreso tra il 1395 ed il 1404, avendo accettato le idee illustrate in precedenza. A questo punto il lettore “curioso” potrebbe porsi un interrogativo, cioè se esistono ulteriori esempi di emblema aquilano su moneta ancor precedenti a quello del bolognino di fig. 1. Purtroppo ad oggi non è possibile rispondere, e così sarà fino a prova diretta, reperendo, se esiste, una nuova moneta antecedente che rechi tale simbolo palesemente apposto. Sappiamo grazie al Lazari12 che Antonio di Buccio, che fiorì circa il 1382, così ci descrive il gonfalone di quella città (L’Aquila) rinnovato a’ suoi giorni: Una baniera nova per comuno facta fone, Cioè l’aquila blanca nello rossio pendone. La bandiera de L’Aquila assumeva tali sembianze nel 1380 e ad essa erano aggiunti anche gigli angioini secondo quanto espresso negli statuti aquilani13. Ne consegue che almeno potenzialmente potrebbero esistere altre emissioni con l’arma parlante aquilana su moneta, antecedenti il bolognino in oggetto, dato che il periodo ritenuto d’inizio dell’attività di zecca in codesta città viene fatto risalire al biennio 1382-1384. In ogni caso per il momento è dimostrata una certezza: il simbolo apparve già su moneta tra il 1395 ed il 1404, quindi una ventina di anni dopo la designazione del gonfalone cittadino.
Posso avanzare anche altre interessanti considerazioni grazie al bolognino di fig. 1. La prima concerne la frequente ridondanza dei riferimenti alla zecca aquilana apposti sulle monete. Ebbi già occasione, in un recente studio14 che trattava di un inedito e raro cavallo di Ferdinando I d’Aragona, scritto con l’amico Francesco di Rauso, di sottolineare che spesso in alcune emissioni che abbracciano un lasso di tempo abbastanza esteso ricorre l’uso di associare più indicazioni all’origine aquilana del conio, infatti giova ricordare a titolo d’esempio coronati aragonesi che presentano l’aquiletta sia al dritto che al rovescio oltre che lo stesso cavallo descritto nello studio appena citato. Ebbene il bolognino di Ladislao di fig. 1 ne costituisce un ulteriore caso cronologicamente anteriore. A tal proposito basta osservare che al dritto le lettere disposte a croce A · Q · L · A · circondano l’aquiletta arma cittadina, creando un deciso e preciso accostamento atto a sottolineare l’origine della moneta, per iscritto e per simbologia, dimostrando quanto era stato “previsto”, almeno dal punto di vista teorico, attraverso il cavallo ferdinandeo poc’anzi indicato anche se sotto forme diverse (il simbolo al dritto del cavallo e l’aquiletta sul rovescio del cavallo).
Altra considerazione degna di merito riguarda la discussione sull’attribuzione esclusiva alla zecca aquilana delle celle di Giovanna II Angiò-Durazzo. Esse storicamente sono state attribuite pressoché sempre alla zecca de L’Aquila, ma Grierson e Travaini nella loro importante opera sostengono invece di poter distinguere tre classi di emissioni, ciascuna da associare ad una propria zecca, ossia Napoli, L’Aquila ed un’altra incerta zecca abruzzese probabilmente da identificarsi con Ortona15. Nei dettagli, secondo i due illustri studiosi, la prima tipologia di celle, avente una raffigurazione di un’aquila coronata e con iscrizione REGINA IVHANNA, sarebbe da attribuire a Napoli; la seconda tipologia con paternità aquilana, sarebbe caratterizzata da un’aquila non coronata e dalla legenda IVHANDA REGINA e simili; infine la terza classe, con aquila non coronata e con legenda REGINA IOVA o (IOVI) da associare ad Ortona. La differenziazione è giustificata da Grierson e Travaini attraverso un confronto della successione dei caratteri e delle parole nei tratti di legenda indicati, in sostanza essi realizzano associazioni biunivoche alle rispettive presunte zecche basandosi proprio sull’affinità delle legende in cui compare il nome ed il titolo della regina napoletana (i.e. a L’Aquila la forma comune a tutto il monetato sarebbe stata IVHANDA REGINA).
Personalmente non condivido la suddivisione per zecche proposta da Grierson e Travaini per le celle di Giovanna II, favorendo l’idea tradizionale che le considera tutte attribuite a L’Aquila. Anzitutto ritengo un sostegno troppo poco saldo basare una possibile attribuzione ad una zecca diversa da L’Aquila solamente su porzioni di legenda più o meno similari ad altre. Ancor di più, la teoria della non esclusività a L’Aquila di codeste celle presenta un grande punto debole: sono note monete “intermedie” per quanto riguarda la coppia termine di paragone aquila raffigurata-legenda. Un primo esempio ci è dato dall’esemplare P. Grierson, L. Travaini, 1998, p. 692 n. 748: in tal caso la legenda è REGINA IOVA tra rosette che circondano le due parole, mentre l’aquila appare coronata. Allora il criterio dei due studiosi sembra cadere, e gli autori stessi, giustamente, sono incerti nell’individuare una provenienza (quella proposta nel volume è Ortona seguita da un punto interrogativo). Ancora un altro esempio ci è offerto da alcune serie di bolognini di Giovanna II indiscutibilmente aquilane (A · Q · L · A · a croce intorno ad un globetto centrale) che recano legenda IVHANNA REGINA (cfr. P. Grierson, L. Travaini, 1998, p. 248). Ne deduciamo che quest’ultima forma non osta la possibilità di attribuzione delle celle con la medesima legenda alla zecca de L’Aquila, a tutto svantaggio quindi della “napoletanità” proposta nella tesi di Grierson e Travaini. In tale contesto mi sono limitato a fornire soltanto due esempi, di semplice consultazione, ma potrebbero essere presi in considerazione anche altri tipi monetali validi allo scopo.
Il volume di D’Andrea ed Andreani sulla monetazione abruzzese prende anch’esso in considerazione il problema attributivo appena esposto16 ed avanza una serie di interpretazioni legittime ed originali, tendenti a far confluire verso una paternità aquilana tutte le celle di Giovanna II. Particolare rilievo viene dato alle celle attribuite da Grierson e Travaini ad Ortona. D’Andrea ed Andreani opinano che sarebbe stato difficile o addirittura illogico, da parte degli Ortonesi, effigiare il simbolo di un’altra città (appunto l’aquiletta de L’Aquila) sulle proprie monete rammentando gli accesi campanilismi dell’epoca. Aggiungo, a queste corrette considerazioni, che la cosa potrebbe essere plausibile o se l’aquiletta raffigurasse il simbolo della città capitale del regno, quindi emblema dell’intera Nazione (i.e. il cavallo per Napoli ed il suo antico Sedile di Capuana) ma non è il caso adatto, o se le tipologie monetali in questione fossero delle banali imitazioni o falsificazioni, la qual cosa è esclusa e per stile (particolarmente curato e paritario rispetto alle altre celle emesse da Giovanna II) e per composizione metallica dei conii (affine alle altre celle prodotte). Allora il bolognino illustrato in questo studio è ad hoc per l’argomento, di fatti il soggetto iconografico (aquila) effigiato sulle celle non poteva essere non pertinente alla città aquilana, semplicemente perché era già stato prescelto, in attinenza all’emblema del gonfalone, come arma parlante per almeno una serie monetale precedente, ossia proprio la moneta di Ladislao su cui verte questo scritto. Complessivamente, nello scenario delineato, conta poco o nulla che l’aquila sulle celle sia coronata o meno, poiché essa è il simbolo che rappresentava l’intera cittadinanza aquilana e quindi la loro zecca. Ovviamente lo stesso discorso vale sia per l’aquiletta impressa al dritto del bolognino di Ladislao, visibilmente non coronata, sia per tutte le aquilette che, a partire dal periodo aragonese, affollano le monete coniate in L’Aquila e che quasi mai sono coronate, nonostante sia certo che vari diplomi reali, per esempio, raffigurino invece un’aquila coronata come arma cittadina (fig. 4).
Giunto alla conclusione vorrei rivolgere un sentito ringraziamento al collezionista abruzzese che mi ha concesso di poter studiare il bolognino di Ladislao oggetto dell’articolo. Codesta squisita persona ha dimostrato grande sensibilità ed attenzione per i temi storici e numismatici dell’Abruzzo favorendo in ogni maniera le mie esigenze di ricerca e di tempo. Doveroso è anche un ringraziamento allo stimatissimo numismatico Christian Andreani, il quale mi ha segnalato l’esistenza del tipo monetale.
Bibliografia essenziale ed abbreviazioni
- G. Barbieri, F. Di Rauso, 2009 – Novitas rengi: un inedito Cavallo di Ferdinando I d’Aragona per L’Aquila, in “Panorama Numismatico”, 244, pp. 21-27.
- M. R. Berardi, I monti d’oro. Identità urbana e conflitti territoriali nella storia dell’Aquila medievale, Napoli, 2005.
- M. Cagiati, 1911-12 – Le monete del Reame delle Due Sicilie da Carlo I d’Angiò a Vittorio Emanuele II, parte I, fascc. 1-5, Napoli.
- A. Cavicchi, 1991 – La moneta medievale in Italia da Carlo Magno al Rinascimento, Roma.
- M. Chimienti, 2003 – Le decime pontificie per la storia monetaria dell’Italia centrale, in “L’agontano. Una moneta d’argento per l’Italia medievale” Atti del Convegno in ricordo di Angelo Finetti – Trevi (Perugia), 11-12 Ottobre 2001, Perugia, pp. 157-186.
- CNI AA.VV., CNI = Corpus Nummorum Italicorum, vol. XVIII, Roma.
- A. D’Andrea, C. Andreani, 2007 – Le monete dell’Abruzzo e del Molise, Mosciano S. A. (TE).
- C. Franchi, 1752 – Difesa per la fedelissima città dell’Aquila contro Le pretensioni de’ Castelli, Terre, e Villaggi, Che componeano l’antico Contado Aquilano, Napoli.
- P. Grierson, L. Travaini, 1998 – MEC = Medieval European Coinage Vol. 14, Italy (III), South Italy, Sicily, Sardinia, Cambridge.
- V. Lazari, 1858 – Zecche e monete degli Abruzzi nei bassi tempi, Venezia.
- S. Perfetto, 2009 – La zecca dell’Aquila, Poses.
- M. Traina, 2006 – Il linguaggio delle monete, Sesto Fiorentino.
- L. Travaini, 2003 – Influenze dell’agontano nel Regno di Napoli, in “L’agontano. Una moneta d’argento per l’Italia medievale” Atti del Convegno in ricordo di Angelo Finetti, Trevi (Perugia), 11-12 Ottobre 2001, Perugia, pp. 153-156.
Internet ed abbreviazioni
A. Infusini, G. Barbieri, 2007 – La monetazione de L’Aquila, manuale de lamoneta.it, aprile .
Note
- A. Cavicchi, 1991, p. 96. ↩
- Ulteriori informazioni in Grierson-Travaini, 1998, p. 456 e Cavicchi, 1991, p. 96. ↩
- Ovviamente anzitutto per il flusso del circolante monetario abruzzese, ma anche per quello del Molise e della Puglia settentrionale odierne. ↩
- Travaini 2003: p. 153. ↩
- I.e. equivalenze A. Infusini, G. Barbieri, 2007; A. D’Andrea, C. Andreani, 2007, pp. 142-144. ↩
- M. Chimienti, 2003, p. 170. Si intendono per decime pontificie tassazioni imposte dai pontefici a carico di soggetti ecclesiastici, in Italia ed in tutti gli stati di religione cattolica, per sostenere alcune iniziative, tra cui sforzi bellici, crociate o per rimpinguare le finanze ecclesiali. Cfr. ancora M. Chimienti, 2003, p. 157 e ss. ↩
- Riguardo San Pietro Celestino ed il titolo “Confessore” ulteriori informazioni sono in Traina, 2006, p. 449, A. D’Andrea, C. Andreani, 2007, p. 2007, pp. 165 o 193 e S. Perfetto, 2009, pp. 32-34. Una rapida e sistematica visione delle legende principali è in A. D’Andrea, C. Andreani, 2007, p. 165 e S. Perfetto, 2009, pp. 48-49. ↩
- V. Lazari, 1858, pp. 26-27; P. Grierson, L. Travaini, 1998, p. 243; S. Perfetto, 2009, p. 100. ↩
- .e.: P. Grierson, L. Travaini, 1998, n. 733 (bolognini del I gruppo) e n. 734 (bolognini del II gruppo); S. Perfetto, 2009, nn. 69-89 (bolognini del I gruppo) e nn. 90-105 (bolognini del II gruppo). ↩
- I.e.: P. Grierson, L. Travaini, 1998, pp. 23, 24, 246, 247, 248; S. Perfetto, 2009, pp. 44, 120, 121, 424. ↩
- Chiamasi cella il nominale, introdotto da Giovanna II, avente valore corrispondente a un quarto di carlino, da cui derivava la denominazione di quartarolo o quartarola, inoltre successivamente detta trentina o trentino in quanto con un valore pari a 30 denari. Tale moneta è stata spesso chiamata anche con il nome di augella oppure aucello a ragione, così come cella, dell’uccello che campeggia al dritto. Per approfondimenti cfr. bibliografia. ↩
- V. Lazari, 1858, p. 24. ↩
- M. R. Berardi, 2005, p. 140, nota n. 75. Antonio di Boetio (Boethio), detto anche Antonio di Buccio, fu un cronachista aquilano che scrisse sulla storia della città de L’Aquila e dei suoi dintorni nel secolo XIV. ↩
- G. Barbieri, F. Di Rauso, 2009, pp. 22, 25 ↩
- P. Grierson, L. Travaini, 1998, pp. 246-248. ↩
- A. D’Andrea, C. Andreani, 2007, pp. 204, 352, 353. ↩