di Pasquale Attaniese – da Panorama Numismatico nr.240/Maggio 2009
UN MITO AFFASCINANTE: QUELLO DI FILOTTETE CHE FU FONDATORE DELLA CITTA’ DI PETELIA, L’ATTUALE STRONGOLI IN PROVINCIA DI CROTONE
La cittadina fondata dal mitico eroe tessalo.
Il sito della moderna Strongoli (in greco Στρογγιλος = rotondo) è in pratica sovrapposto a quello dell’antichissima città di Petelia. Il fondatore di questa Polis, secondo la mitologia ed alcuni scrittori antichi è stato Filottete. Non si deve credere, però, che Petelia sia stata una colonia a tutti gli effetti come le altre sul litorale ionico. In effetti, allo stesso modo di Lagaria, né Crimisa, né Petelia e neanche Macalla – ammessa che vada distinta da Petelia – furono città d’una certa importanza nell’età storica. Infatti, se escludiamo i dati riguardanti la leggenda di Filottete, Macalla non è mai menzionata dagli antichi autori; il nome di Crimisa è possibile trovarlo solo a proposito del responso dato a Miscello dalla Pizia, allorché la sacerdotessa gli consigliò la fondazione di Crotone. Petelia dovette svilupparsi e significare qualcosa solo nella seconda metà del IV e nel secolo successivo, al tempo della Dominatio Lucana ed in età romana. In pratica fino allora era rimasta nell’ombra. Le testimonianze archeologiche hanno largamente dimostrato che Petelia e Crimisa siano state permeate dalla civiltà ellenica; però, nessuna delle due, va annoverata fra le colonie greche fondate sulle coste dell’Italia meridionale a partire dall’VIII secolo a.C. in poi.
Vediamo di fornire ragguagli sul personaggio Filottete (Φιλοκτητησ), di certo uno dei più noti nei mitografi e presso i tragediografi greci. Filottete era rampollo di Peante e Demonassa (o Metone, secondo un’altra versione). È notissimo fin dall’epoca omerica per essere il depositario dell’arco e delle frecce di Herakles. Le aveva ricevute o dal padre, che a sua volta le aveva avute da Herakles, o personalmente dall’eroe, in ringraziamento d’aver dato fuoco alla pira sul monte Eta, allestita dallo stesso figlio di Zeus morente, che solo così avrebbe avuto la possibilità di ascendere agli dei olimpici divenendo immortale a sua volta. Herakles aveva chiesto a Filottete di mantenere segreto il luogo della morte ed il Peantide aveva giurato solennemente in tal senso. In seguito, però, messo alle strette e pressato dalle domande, Filottete era salito sul monte Eta ed aveva battuto con il piede la terra nello stesso punto in cui era stato eretto il rogo per Herakles. In tal modo, senza parlare, aveva violato il giuramento. Secondo la tradizione, per questa violazione fu punito con la tremenda ferita che lo colpì al piede. Risalendo indietro nel tempo, Filottete, originario della penisola di Magnesia in Tessaglia, figura tra i pretendenti d’Elena ed a questo titolo s’era unito alla spedizione contro Troia. Guidava un contingente di sette navi con cinquanta arcieri. Tuttavia non arrivò mai a Troia con gli altri prìncipi. Durante uno scalo a Tenedo, fu morso al piede sinistro da un serpente, nel corso di un sacrificio. La ferita divenne in poco tempo così infetta da emanare un nauseabondo ed insopportabile fetore. Ulisse non faticò molto a persuadere gli altri capi elleni ad abbandonare il ferito a Lemno, allorché la flotta passò vicino a quest’isola, allora deserta, situata nell’Egeo settentrionale, tra la penisola del Monte Athos e la costa anatolica. Filottete vi rimase per 10 lunghi anni, cibandosi d’uccelli che riusciva a catturare con le frecce e l’arco di Herakles.
Riguardo alla ferita e sull’abbandono di Filottete esistevano altre tradizioni. Sofocle, nella tragedia Filottete, racconta che il trauma non s’era verificato a Tenedo, ma nell’isolotto di Crise (inghiottito dal mare alla metà del 1800 N.d.R.), dove si favoleggiava di un’ara consacrata a Filottete, con l’immagine di un serpente bronzeo insieme con un arco. L’eroe sarebbe stato morso da un rettile nascosto nell’erba alta, mentre era intento alla pulizia dell’altare di Crise, una divinità autoctona dalla quale derivava il nome dell’isola.
Secondo un’altra versione Filottete era stato ferito da una freccia di Herakles, intrisa nel sangue avvelenato dell’Idra di Lerna. La freccia l’aveva trafitto al piede sinistro cadendo accidentalmente dalla faretra ed aveva provocato quella ferita incurabile. L’incidente, secondo i mitografi antichi, rappresentava la vendetta di Herakles e la punizione per lo spergiuro commesso da Filottete, che aveva rivelato, anche senza parlare, l’ubicazione del rogo sull’Eta.
Un altro pretesto per l’abbandono di Filottete, invece dell’insopportabile fetore, erano le grida che il dolore lancinante gli strappava e che lui era incapace di dominare. Tali schiamazzi turbavano l’ordine ed il silenzio rituale dei sacrifici. Per questo, i comandanti greci dovettero rassegnarsi a lasciarlo da solo. L’istigatore principale di tale misfatto fu Ulisse, sul quale ricade per lo più la responsabilità di quest’azione. Fu Agamennone, però, a decidere in nome di tutto l’esercito. Un’ulteriore tradizione narrava che i Greci lasciavano Filottete nell’isola per aver il tempo di curarsi la ferita, perché era presente a Lemno un culto di Hèfaistos (= Vulcano), i cui sacerdoti erano in grado di guarire i morsi di serpente. Filottete, infatti, rimesso in sesto, avrebbe raggiunto più tardi l’esercito davanti a Troia. Il medico capace di guarirlo era stato Pilio, figlio di Hèfaistos, ricevendo in cambio dall’eroe l’insegnamento a tirar d’arco.