Ritornando alla tradizione dell’abbandono, i Greci, nonostante fossero trascorsi 10 anni non erano riusciti ad espugnare Troia. Paride era morto ed Eleno (figlio di Priamo, capace di vaticinare il futuro) al quale era stata rifiutata la mano d’Elena, s’era rifugiato sulla montagna dell’Ida, dove era stato fatto prigioniero dai Greci. A costoro aveva svelato che Troia poteva essere conquistata soltanto con le frecce di Herakles custodite da Filottete. Ulisse, perciò, proprio lui l’artefice principale dell’abbandono, si recò dal tessalo da solo, o, secondo la versione di Sofocle, in compagnia di Neottolemo o, a detta d’Euripide, di Diomede, per tentare di convincerlo a tornare a Troia. Filottete sulle prime non aveva alcun’intenzione di cedere. Ma Ulisse e Diomede, secondo Euripide, s’impadronirono delle armi con l’inganno, obbligando in tal modo il Peantide disarmato ad accompagnarli, dopo avergli promesso di farlo curare dai figli d’Asklepios. Si narrava, infatti, che una volta giunto sul lido di Troia, fosse guarito dalla ferita al piede da Podalirio, oppure da Macaone. Così, rimesso in sesto, Filottete fu in grado di prendere parte ai combattimenti. A proposito della cura, è tradizione conforme che Apollo avesse fatto cadere Filottete in un sonno profondo, mentre Macaone aveva sondato la ferita e tolto via con un affilatissimo coltello le carni in avanzata necrosi e poi aveva lavato la piaga con vino, prima di applicarvi una pianta, ricevuta in segreto dal centauro Chirone. (Quindi, possiamo ben affermare che la guarigione di Filottete sia stata la prima ottenuta con un’operazione chirurgica eseguita in anestesia totale!)

Fig. 3. Bronzo di Homolion in Tessaglia, databile verso il 350 a.C. Al diritto la testa di Filottete a destra con berretto conico. Al rovescio un serpente che si arrotola su se stesso verso destra. (Cfr. Maurice Laffaille, Choix de monnaies grecques en bronze, Ginevra, 1982, pag. 138 n.111, gr.4,65, Ø mm17). Ingrandimento.
Una volta conquistata Troia, Filottete rientrò in patria. Nell’Odissea d’Ofotomero figura tra gli eroi privilegiati che avevano ottenuto un νοςτοσ (= ritorno) felice. Le leggende posteriori conoscevano altre avventure di Filottete, il quale dopo una sommossa, fuggito da Melibea, si recò in Italia a fondare Makalla e Petelia, dove consacrò le frecce di Herakles, prese, in seguito, a viva forza dai Crotoniati e trasferite in un tempio presso di loro. Sembra sia morto combattendo in aiuto ai Rodii, i quali erano arrivati nel paese, guidati da Tlepolemo, ed erano stati attaccati da indigeni barbari. In vari luoghi si mostrava la sua tomba. Su tutti gli autori che parlano della sepoltura dell’eroe, cito qui i versi di Licofrone (autore ellenistico della seconda metà del IV sec. a.C., nato a Calcide ed autore dell’Alexandra):” Rovina dopo rovina muoverà il dio / dando, anziché il ritorno, amare sciagure. / Le correnti dell’Esaro e Crimisa, piccola / città d’Enotria, accoglieranno la vittima / della vipera, lo spegnitore della fatale fiaccola / la stessa Atena trombettiere dirigerà con le sue mani / la punta della freccia che scocca dall’arco Meotide / una volta, sulle rive del Dira, per aver bruciato / l’ardito leone, armò le sue mani del terribile serpe, / lo strumento Scita dai denti inevitabili. / Caduto in battaglia, il Crati vedrà la sua tomba / ai lati del santuario del dio Aleo, Patareo, / dove il Neto scarica le sue acque. / Lo uccideranno i Pellenii d’Ausonia, quando / verrà in aiuto dei comandanti di Lindo, / spinti lontano dal Termidro e dalle montagne / carpazie dalla canina bufera di Trascia, / e destinati ad abitare una terra straniera. / A Makalla la gente del luogo costruirà un grande / santuario sulla sua tomba e lo onoreranno / sempre come un dio, con libagioni e sacrifici di buoi.” (Sarebbe davvero una formidabile scoperta archeologica riuscire a localizzare la tomba monumentale dell’eroe, ammesso che esista ancora!)
Per terminare questa breve rassegna mitologica, il frammento di cratere a figure rosse, (fig. n 1) attribuito al Pittore di Dario (330 circa a.C.), nella collezione di ceramica greca appartenuta al dott. Herbert A. Cahn (Céramique de Grande Gréce, la collection de fragments Herbert A. Cahn, Ginevra, Museo d’Arte e Storia, 26 Marzo -7 Settembre 1997, pag. 243-244. n. 104), si vede sulla sinistra la raffigurazione di Filottete, armato di spada e con il petasos calato sulle spalle, mentre cerca d’impadronirsi della tunica di Nesso; alla sua destra, dopo la colonna si vede un giovane, nudo, con clamide raccolta che solleva un bucranio, tra le braccia vi è la scritta ΥΛΛΟΣ (= Illos).
Illo era figlio d’Herakles e Deianira. Secondo l’archeologa Margot Schmidt, la scena del frammento è da mettere in relazione alla tragedia Le Trachinie di Sofocle: la morte di Herakles presso il santuario di Capo Kenaion, avvenuta per la gelosia di Deianira, che aveva inviato al marito, tramite il figlio Lichas, la tunica imbevuta nel sangue del centauro Nesso, antico rivale in amore di Hedrakles. Quella tunica, portatagli dal figlio in un cofano, era stata gelosamente conservata dalla moglie di Herakles, allorché, molto tempo prima, per l’attraversamento di un fiume in piena, era stata traghettata sulla sponda opposta dal centauro innamoratosi di lei, che aveva tentato di violentarla. Ciò provocò la furibonda ira di Herakles che aveva da lontano colpito Nesso con una freccia intrisa nel sangue dell’idra di Lerna. Ferito mortalmente e sanguinante, il centauro aveva avuto modo di ordire la sua vendetta, dicendo alla donna di raccogliere quel sangue e di custodirlo in segreto. Se si fosse accorta che il marito era distolto dall’amore per un’altra donna, facendogli indossare la fatidica tunica, sarebbe ritornato a lei. Quando Deianira si rese conto dell’attrazione di Herakles per la bellissima Jole, figlia d’Eurito, re d’Ecalia, aveva attuato il suo progetto non sapendo i guai che avrebbe combinato. Infatti, Herakles, mentre era intento a sacrificare al padre Zeus una mandria di bovini, ignaro indossò la tunica, che, al calore delle fiamme, cominciò a diventare una cosa viva, penetrando e lacerando i possenti muscoli e le carni dell’eroe che, per la prima volta nella sua vita conobbe la paura e si rese conto che la sua avventura mortale stava per concludersi. L’amico Filottete tentò invano di strappare la tunica dal corpo dell’amico ed il figlio Illo rimase impietrito ad osservare gli ultimi istanti di vita del padre, che nel frattempo pregava Filottete di erigere una pira ed esservi adagiato sopra. Solo così si sarebbe verificata la sua απονεωσις (= apoteosi) ed il ricongiungimento agli dei dell’Olimpo, dove ebbe in sposa Ebe, la dea della giovinezza eterna.

Fig.4. Piccolo bronzo di Petelia con al diritto una testa barbuta con tenia tra i capelli, normalmente identificata con Herakles, sul rovescio vi è una clava e la scritta ΗΕΤΗ a sinistra e ΛΙΝΩΝ a desrta. Cfr. P.Attaniese, Petelia la collezione Luigi E.Romano, Soveria Mannelli 2003, pag. 84 n.29, gr. 1,30, Ø mm11). Ingrandimento.
Ritornando al mito di Filottete, non è difficile verificarne la frequenza sulle raffigurazioni d’oggetti antichi. Sulla coppa in argento sbalzato e parzialmente dorato, proveniente da Hoby in Danimarca (fig. n. 2), si vede Filottete curato dai compagni prima di essere abbandonato sull’isola di Lemno. Il reperto, conservato al Danish Cophenagen Museum, si data all’età augustea (inizi del I secolo d.C.). La scritta che si vede al di sopra delle figure, è la firma dell’artefice Chrisophos confermata dall’ EPOI(SE), che significa “fece”. Altresì su monete è possibile trovare la raffigurazione dell’eroe, prima fra tutti sulle emissioni bronzee di Homolion in Tessaglia, databili verso il 350 a.C., dove si vede al D/ La testa di Filottete a destra con berretto conico. Sul R/ Un serpente che si arrotola su stesso verso destra. (Cfr. Maurice Laffaille, Choix de monnaies grecques en bronze, Ginevra 1982, pag. 138 n. 111, gr. 4,65, Ø mm. 17 fig. n. 3). La Polis emittente di questo fantastico esemplare è ubicata in Tessaglia ai piedi del monte Ossa, separato dall’Olimpo dal fiume Peneo e dalla valle del Tempe.
Nella Magna Graecia il mito dell’eroe tessalo è attestato, a mio avviso, su un’artistica monetina di Petelia (fig. n. 4), un piccolo bronzo che reca sul diritto una testa barbuta con tenia tra i capelli, normalmente identificata con Herakles, sul rovescio vi è una clava e la scritta ΠΕΤΗ a sinistra e ΛΙΝΩΝ a destra.(Cfr. P. Attianese, Petelia la collezione Luigi E. Romano, Soveria Mannelli 2003, pag. 84 n. 29, gr. 1,30, Ø mm. 11). Contrariamente a quanto si dice, credo che la raffigurazione del diritto potrebbe essere identificata con Filottete, poiché di solito Herakles è ritratto con la pelle del leone Nemeo. Inoltre dai tratti somatici si nota che il profilo è quello di un uomo avanti negli anni, come certamente doveva essere Filottete allorché giunse nelle nostre contrade, mentre la testa di Herakles è di solito rappresentata in fattezze più giovanili. Anche quest’emissione potrebbe essere collocata cronologicamente all’inizio del III secolo a.C. ed attesterebbe un culto di Filottete nella città di Petelia, o quanto meno una particolare devozione dei Petelini nei confronti del loro mitico archegeta.