di Francesco di Rauso – da Panorama Numismatico nr.257/Dicembre 2010
APPARENTEMENTE UN PROBLEMA BANALE: STABILIRE IL DIRITTO ED IL ROVESCIO DI UNA MONETA. MA LA SOLUZIONE IMPLICA IMPORTANTI QUESTIONI STORICHE E NUMISMATICHE.
Stabilire il dritto e il rovescio per alcune monete napoletane, specie per quelle del periodo medievale, è una diatriba che dura da decenni.
Leggendo i lavori di altri studiosi si nota chiaramente una netta discordanza nelle classificazioni. In pratica, a titolo di convenzione, si preferisce considerare come dritto, in ogni caso, il lato riportante il nome del sovrano al di là della presenza o meno dell’effigie reale o di un qualsiasi altro simbolo riconducibile all’autorità emittente. Dal XIX secolo ad oggi vi sono state diverse correnti di pensiero al riguardo ed alcuni studiosi, come ad esempio il celebre Michele Pannuti, hanno ritenuto opportuno rivedere le proprie idee (come giusto che fosse) anche a distanza di decenni. Quest’ultimo, ad esempio, fu tra i curatori della mostra sulle monete napoletane del periodo 1442-1556 tenutasi al Museo Civico Gaetano Filangieri di Napoli nel 1973 e nel catalogo della mostra venne stabilito che il dritto dovesse essere proprio quello riportante il nome del sovrano, ma si sa che con il passare degli anni l’esperienza insegna! Nel 1984, proprio nell’opera Le Monete di Napoli, i due autori Michele Pannuti e Vincenzo Riccio riportarono molte delle sopracitate monete classificando dritto e rovescio con una logica del tutto diversa dalla precedente e che ancora oggi è perfettamente in linea con il pensiero di altri studiosi.
In molti cataloghi d’asta tematici, come ad esempio la celebre vendita Civitas Neapolis (Pavia, novembre 2003), il professionista numismatico Alberto Varesi si affidò (e si affida tutt’ora) a quei criteri di classificazione dettati dall’insostituibile opera di Pannuti e Riccio. D’altra parte, c’è da dire che negli ultimi anni, vuoi per distrazione, vuoi per la volontà di rivoluzionare le leggi della numismatica, capita spesso che negli scritti di alcuni studiosi (ma soprattutto in certi cataloghi d’asta) vi sia tanta confusione e se si considera che per alcune monete non si conoscono decreti di emissione o di qualsiasi altro documento d’epoca ad esse riferite la classificazione diventi difficoltosa. Stando ad alcune vecchie teorie, il dritto deve sempre essere quello che riporta scritto il nome del sovrano o dell’autorità emittente al di là della presenza o meno di alcuni elementi iconografici quali: ritratti, stemmi, ordini cavallereschi, eccetera.
Per comprendere al meglio il criterio di classificazione del dritto e del rovescio verranno presi in esame a titolo di esempio alcuni nominali tra i più significativi della zecca di Napoli e saranno estrapolati alcuni passi di (già noti) documenti d’epoca, uno di questi riguarda l’ordine reale datato 23 ottobre 1494 firmato dal re di Napoli Alfonso II d’Aragona e proprio da quest’ultimo si consolidano le basi delle classificazioni adottate da Pannuti e Riccio: un prezioso documento che testimonia ancora oggi la cognizione e il criterio dell’epoca nello stabilire il dritto di una moneta.
Prima di entrare nell’argomento desidero però dare alcuni brevi cenni sull’importanza della ritrattistica rinascimentale.
Quest’ultima, riprodotta fedelmente attraverso le diverse forme d’arte (dipinti, sculture, miniature, ecc.) ebbe un ruolo di fondamentale importanza in quanto fu senza dubbio il più efficace mezzo di propaganda attraverso il quale gli artisti erano soliti raffigurare gli illustri committenti in tutta la loro indole caratteriale.
Con la conquista del Regno di Napoli nel 1442, Alfonso d’Aragona dette inizio a quella politica mediterranea che lo portò a scegliere Napoli come centro nevralgico del suo vasto “impero”, una metropoli che contava all’epoca oltre sessantamila abitanti, crocevia di cultura e ricchezze, baricentro dell’asse Barcellona-Costantinopoli.
L’opulenza della corte napoletana del Quattrocento e il raffinato mecenatismo dei sovrani aragonesi resero Napoli tra le principali città d’arte e cultura, capitale di un regno che ben presto generò un’autoctona corrente artistica e letteraria esportata poi nello stesso continente iberico e in altre parti d’Europa. A Napoli la dinastia aragonese durò circa sessant’anni e in quegli anni la città venne abbellita di irripetibili opere d’arte. Purtroppo, nel 1501 con la fuga di Federico d’Aragona in Francia molte delle testimonianze artistiche (quali maioliche e codici aragonesi) vennero dispersi in Francia (dove sono tuttora custoditi) e nel resto d’Europa. L’arco trionfale di Castel Nuovo (Maschio Angioino) voluto da Alfonso I d’Aragona a partire dal 1453 è oggi considerato tra le maggiori opere d’arte del Rinascimento napoletano e qui troviamo una massiccia presenza di personaggi raffigurati alla classica maniera rinascimentale. Non è difficile quindi comprendere lo stretto collegamento tra le varie opere d’arte rinascimentale sparse per la città e la ritrattistica numismatica. Attualmente, secondo alcune ricerche di carattere iconografico-cronologico, si considera la moneta napoletana come la prima in Italia a riportare il ritratto rinascimentale (cfr. ducati d’oro Pannuti-Riccio 3, 4 e 5), a differenza delle precedenti monete raffiguranti i sovrani iconograficamente stilizzati.
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One Comment
michele la manna
resto incantato nel leggere gli articoli di francesco di rauso le sue ricerche,la conoscenza degli avvenimenti esposti con profonda precisione a disposizione di tutti i collezionisti con grande umiltà fanno di francesco una persona eccezionale. con stima michele