La falsificazione della moneta è un libro senza data ma quasi certamente del 1924 o del 1925 scritto da tale Luigi Rusticucci. Come tutta la documentazione d’epoca è un libro davvero interessante perché dà proprio informazioni di prima mano sulla circolazione monetaria dei primi del Novecento, sulle banconote, le monete e, come dice il titolo stesso, in particolare sui falsi. Qui però vogliamo riportare alcuni passaggi riguardanti la crisi degli spiccioli che ci fu in Italia subito dopo la guerra.
La moneta, diremo così, in natura ha avuto inizio con i primi della guerra. E’ stata poi una progressione lenta, ma irresistibile. Nei primi tempi della guerra, quando l’esercente era divenuto potente e imponeva legge ai clienti, nel darvi un resto – per esempio – di tre lire, vi metteva in mano un uovo, un limone, ed un biglietto quadrato con su stampato un suo timbro e un dato valore. Quella era spesso la sua unità di moneta. Quando, infine, cessarono o cominciarono a cessare, molte limitazioni di guerra e pareva che l’individuo consumatore potesse aspirare al diritto di non essere più suddito dell’individuo venditore, tornò a verificarsi la mancanza di moneta. Il fenomeno assunse delle forme… morbose specialmente sui trams. I tramvieri erano duri e i passeggeri più duri ancora. Ci furono dispute, improvvisati contradittori e qualche processetto in Pretura.
Il Comune di Milano creò delle marchette – di ottone – per “l’Azienda Tramviaria” che servivano per dare i resti e che venivano anche ricevute in pagamento.
A questo proposito il “Bollettino” del Municipio di Milano notava:
“La deficenza di monete di piccolo taglio, che erano divenute rari oggetti di lusso, ha suggerito, in assenza dello Stato, ingegnosi mezzi per fronteggiare la crisi degli “spezzati”: sono francobolli da 10, 20, 25, 40 centesimi, racchiusi in eleganti cerchietti di alluminio che portano a tergo la “réclame” della ditta emittente e che circolano in misura sempre crescente. E la soddisfazione era triplice: del pubblico, della ditta e dello Stato che non solo vedeva aumentare notevolmente il consumo dei francobolli, ma che poteva disinteressarsi della crisi degli spezzati inquantochè veniva risolta a spesa dei privati! La ingegnosa trovata, che venne subito imitata, sembra debba attribuirsi alla ditta Pirelli.
La circolazione di tali monete poteva estendersi a tutta la Nazione, mentre nessuna obbiezione poteva muoversi ai fabbricatori nè potè parlarsi di leso diritto di batter moneta. Altri surrogati delle monete, ma con un campo di azione più limitato, erano costituiti dalle marchette di 30 e 15 centesimi, emesse per prima in Italia, come abbiamo detto, dall’Azienda Tramviaria Municioale, per il solo servizio tramviario, ma che in breve erano divenute vere e proprie monete accettate da tutti come mezzo normale di pagamento. In altre città, come per esempio a Pavia, circolavano monete di genere affine. Gli industriali per facilitare il pagamento dei propri operai davano loro delle piccole marchette con impresso il valore della moneta e il nome della ditta che in ogni momento si impegnava di effettuarne il cambio con moneta di Stato. Anche queste circolarono nelle singole città come monete normali.
Mentre per le monete-francobolli si trattava in fondo di titoli di stato in cambio di cartamoneta; per le marchette tramviarie e più ancora per le monete emesse da singole ditte, poteva, e non a torto, parlarsi di abdicazione del diritto statale di coniare monete e forsanco di incremento di circolazione monetaria.
La soddisfazione del pubblico era piuttosto relativa per il fatto che spesso “gli eleganti cerchietti” non venivano accettati da tutti gli esercenti, mentre il cittadino che si rifiutava di accettarli, quando gli erano offerti in cambio dall’esercente, correva pericolo…di essere passato per le armi. I tramvieri poi non li volevano, i tabaccai vi imponevano i francobolli per cambio di moneta ma sdegnosamente rifiutavano di accettare a loro volta i francobolli.