Sfogliare le vecchie riviste di numismatica è sempre uno spasso. Ecco per esempio cosa abbiamo trovato nel numero di novembre-dicembre 1952 di Italia numismatica. Si tratta di due dicerie riguardanti la zecca di Roma.
La prima riguardava il fatto che nel nichelio delle monete da 20 centesimi del 1920 vi fosse addirittura del platino.
Nel 1920, mentre si stava procedendo “non alla fusione”, ma bensì alla “ribattitura” dei “ventini con l’esagono”, su le monete similari del 1894 e 1895, coniate dalle zecche di Berlino e Roma, sparì improvvisamente una capsula di platino del peso di circa 50 grammi, che d’ordinario veniva usata in zecca, per talune fusioni sperimentali. Tale sparizione, in seguito rapidamente divulgatasi dentro e fuori il sacro recinto, fu la causa prima, che diede la consistenza all’inconsulta leggenda. Si sosteneva dai pochi esperti conoscitori della verità interna della zecca, che la capsula, a causa dello stesso aspetto metallico dei componenti la lega, “poteva benissimo essere caduta nel crogiuolo e si fosse fusa assieme agli altri metalli”. Essi evidentemente ignoravano che il platino, in questo caso, si sarebbe rivelato a causa del amggiore grado di temperatura, rispetto agli altri due metalli, nichelio e rame. Ma alla fine la capsula di platino venne ritrovata, nascosta per caso, nello stesso ambiente della zecca. Non cessarono per tale fatto tutte le vociferazioni che si erano fatte al riguardo, anche quando si venne ufficialmente a conoscere che i “ventini” del 1920 non erano stati “fusi”, ma “ribattuti” a freddo sulle monete del 1894 e 1895, coniate per l’allora regnante Re Umberto I.
La seconda diceria riguardava il fatto che l’incisore della moneta da 20 centesimi del 1936, cioè il Romagnoli, si fosse ispirato per il ritratto dell’Italia nientemeno che a Miriam Petacci, sorella dell’amante del Duce, Claretta.
Affermano i sostenitori che “l’esperto modellatore si sia ispirato al ritratto duro della minore sorella Petacci”, a causa “di una fotografia abbandonata, non si sa da chi, sul tavolo di lavoro, proprio nella stessa mattina in cui il Romagnoli incominciò a modellare la testa d’Italia”. Verità quindi, un po’ ad usum delphini, perché un artista della forza del prof. Romagnoli, non aveva certamente bisogno di avvalersi di tale ispirazione per raffigurare l’Italia corrotta del tempo.
Sostengono per contro i negatori “che la testa in esame, era già stata abbozzata da tempo, sul tavolo di lavoro del prof. Romagnoli, molto tempo prima che egli si accingesse a modellare l’intera serie del 1936, chiamata auguralmente, per la speciale circostanza, “serie imperiale”. Ribadiscono, questi antichi collaboratori del Maestro, che a parte questa circostanza fondamentale, il Romagnoli, spirito fiero ed indipendente, non si sarebbe mai prestato a questa forma di “aulico servilismo”, contrario a tutte le sue convinzioni artistiche, sempre rigidamente mantenute anche nei tempi, in cui il volere del dittatore era comando indiscutibile.