di Giuseppe Carucci
Avere l’hobby del collezionare qualcosa è molto bello poiché riempie la vita, ti porta a fare ricerche, studi, ti entusiasma quando riesci a trovare un pezzo che ti mancava. Attenzione però, bisogna tenere a freno sia la tasca che, soprattutto, qualche momento negativo a livello emozionale.
Per quanto mi riguarda le monete mi hanno attirato sin da ragazzino. Ricordo l’emozione che mi dava il mitico zio Paperone quando faceva il tuffo nel suo deposito di monete, perennemente minacciato dalla simpatica banda Bassotti.
Un giorno, ero già più grande, mia madre mi regalò due monete d’argento che erano appartenute al nonno, un 5 franchi di Svizzera del 1851 e un 5 franchi della Repubblica Cisalpina. Questo accadde al mattino, nel pomeriggio andai da una mia zia e le feci vedere le due monete. Successe che aprì un tiretto e mi mise in mano altre due monete, un 5 franchi del Belgio del 1872 e un dollaro americano del 1924.
Così, per parecchio tempo andai in giro con le quattro monete nella tasca destra del pantalone e ogni tanto ci infilavo la mano, prendevo le monete nel palmo e le scuotevo un poco per sentire il tintinnio dell’argento.
Arriviamo al punto: sull’ottima rivista russa “Antikvariat”, numero del novembre 2005, leggo un articolo bello e triste nello stesso tempo che tratta della storia di un collezionista che pagò cara la sua passione per le monete.
Nella Russia sovietica era permesso ogni tipo di collezionismo, anche numismatico. Le cose si complicavano quando si trattava di argento e d’oro poiché il commercio di oggetti in metallo pregiato era prerogativa assoluta dello stato, quindi per esempio poteva sorgere un problema se un privato vendeva ad un altro una moneta d’oro russa. Era permesso e legale invece lo scambio.
Negli anni Sessanta del secolo scorso i collezionisti di Mosca filatelici e numismatici si riunivano il venerdì, sabato e domenica nel famoso parco Gorki su una delle rive della Moscova dove c’era abbastanza posto per improvvisare un mercatino con banchetti di vendita e scambio. Tali riunioni erano frequentate soprattutto da gente non iscritta a circoli del settore e anche da speculatori.
Uno dei frequentatori di questo mercatino era un uomo sulla quarantina, veterano della Seconda guerra mondiale, ferito al fronte ad una gamba che gli procurava una leggera zoppia. Il suo nome era Volodia Bolotnikov. Volodia collezionava monete russe e sovietiche ed era molto aperto con i suoi amici e colleghi collezionisti.
In quegli anni le monete sovietiche anteguerra erano molto comuni, non era difficile procurarsele ma erano scarsamente collezionate. Era abbastanza facile ad esempio procurarsi pezzi d’argento da 10 copechi e fino al rublo.
A quel tempo vigeva una disposizione del Ministero delle Finanze in base alla quale tutti gli affari riguardanti oggetti in platino, oro e argento erano ritenute operazioni valutarie (il rublo non era liberamente convertibile) e quindi erano soggette a registrazione notarile.
E qui vorrei riportare un ricordo personale che serve a meglio capire l’atmosfera del tempo. Nella mia lunga permanenza a Mosca mi sono procurato parecchie monete. Quelle in oro acquistate regolarmente in valuta convertibile presso una filiale della Banca del Commercio con l’Estero e quindi, avendo regolari ricevute d’acquisto in valuta, potevo portarle legalmente oltre frontiera. Per quelle d’argento invece, a parte qualcuna pure acquistata in banca, mi servivo di una “rete” di fornitori che di solito me le procuravano in cambio di oggetti di vario tipo.
Ricordo che avevo accumulato 28 pezzi d’argento da un rublo e quindi avevo il problema di come passare la frontiera con tutto quell’argento. Non avendo ricevute d’acquisto se me le avessero trovate me le avrebbero confiscate. Devo precisare che, non avendo molta dimestichezza con il trasporto aereo, quando potevo, preferivo farmi tre giorni di treno poiché tanto durava il viaggio da Mosca a Roma.
Alla frontiera sovietico-ungherese di Ciop il treno sostava più di due ore poiché lo scartamento delle ferrovie russe è diverso da quello degli altri paesi essendoci il cosiddetto “scartamento ridotto”, ovvero i binari sono a distanza leggermente inferiore l’uno dall’altro. Quindi i vagoni venivano sollevati con delle gru a postazione fissa dopo averli scollegati dal carrello, in seguito arrivano i carrelli dello scartamento occidentale (anche in occidente da qualche parte ci sono ferrovie a scartamento ridotto) e quindi i vagoni venivano rimessi giù e imbullonati ai nuovi carrelli.
Ovviamente c’erano i doppi binari. Nel frattempo avveniva il controllo doganale.
Il tempo dunque ai doganieri non mancava. Quello che venne a controllare me entrò nello scompartimento con il piglio di chi è sicuro di trovare qualcosa e cominciò a chiedere dove avessi nascosto, se ricordo bene, l’oro. Cominciò a controllare tutto, ma proprio tutto, e arrivò ad una borsa dove avevo sette confezioni-regalo di fiammiferi tipo svedesi. Ogni confezione era una scatola piana con ventotto scatoline di fiammiferi disposte su sette file in lunghezza e quattro in altezza. Erano fiammiferi da regalo e sul diritto di ogni scatolina c’era un’etichetta a colori con riprodotte scene tratte da favole famose. Ogni scatolina era grande abbastanza da metterci sul fondo una moneta da 1 rublo i cui diametri variavano da 33 a 35 mm, e ricoprirlo di fiammiferi. Così feci e pensai di mettere un rublo in ogni scatolina d’angolo poiché per tirarla fuori bisognava fare con le dita un movimento innaturale, mentre quelle di mezzo erano facilmente estraibili. Così 4 scatoline per 7 confezioni facevano esattamente 28 monete.
Quando il doganiere cominciò a tirare fuori dalla prima confezione alcune scatoline e verificarne il contenuto il mio battito cardiaco arrivò alle stelle, ma dopo il controllo della terza confezione mi tranquillizzai di colpo poiché capii che non avrebbe mai tirato fuori le scatoline d’angolo, le prendeva tutte dal mezzo, 5/6 per ogni confezione. Le mie monete si salvarono! Il doganiere cominciò allora a smontare con una speciale chiavetta i pannelli di rivestimento dello scompartimento senza ovviamente trovare nulla.
Egli uscì dal mio scompartimento con le pive nel sacco ed io cominciai a chiedermi da dove veniva la sua sicurezza iniziale di trovare qualcosa di illecito poiché il suo atteggiamento e il modo di parlare era di chi andava a colpo sicuro. A dire il vero avevo confidato a due persone di avere qualcosa da portare via, persone che conoscevo da anni, una a Mosca ed era uno di quelli che mi procuravano qualche moneta e con il quale avevo anche fatto qualche scambio alla pari, la seconda persona sul treno che pure conoscevo da anni. Si trattava di un dipendente delle ferrovie sovietiche che faceva spesso servizio sul vagone letto che usavo e al quale avevo confidato di avere qualcosa da far passare e se poteva darmi una mano. Rifiutò e forse fu lui ad informare il doganiere.
Che cosa avevo rischiato? Ovviamente la confisca delle monete, forse una multa e forse ripercussioni negative sul rinnovo del permesso di soggiorno.
Ma torniamo a Volodia Bolotnikov. Dal 1924 al 1927 fu coniato in Unione Sovietica il mezzo rublo d’argento. Nel primo anno di conio la moneta fu prodotta sia nella zecca di Leningrado che in una zecca londinese. Quest’ultima non ha rarità alcuna e si distingue dalla sua sorella leningradese per le iniziali del maestro di zecca presenti sul bordo che sono le lettere TR (Thomas Ross). Ma la moneta di prova con le iniziali TR è rarissima.
Nel 1967 Volodia Bolotnikov acquista da una persona occasionale questa moneta di prova che si distingue dalla tiratura di massa per alcuni piccoli dettagli. Alla figura 1 presentiamo la moneta di massa e alla figura 2 quella di prova con iniziali TR.
Volodia era operaio nella fabbrica IMIT di Mosca e molti sul posto di lavoro erano a conoscenza della sua passione per le monete. Una operaia gli vendette una reliquia di famiglia, un 10 rubli d’oro di Caterina II (fig.3). Volodia viveva in periferia in una vecchia casa dove aveva preso in affitto una stanzetta.
L’ambiente era modesto, un tavolo, un armadio, tre sedie e un vecchio letto di ferro con uno schienale molto alto. Non c’erano posti dove tenere al sicuro la preziosa moneta d’oro e per questo Volodia fece un buco, a grandezza della moneta, nella parte superiore dell’infisso della porta d’ingresso e lì nascondeva il suo nummo.
Ma Volodia era troppo ciarliero e raccontava a tutti della sua moneta e la mostrava anche. Successe che l’episodio dell’acquisto del 10 rubli fu discusso nel Comitato sociale della fabbrica nel cui ambito fu formata una commissione la quale si presentò nella casa di Bolotnikov e senza il suo consenso sequestrò la moneta rilasciando a Volodia una ricevuta. La moneta fu poi consegnata alla banca e al nostro operaio venne pagata una misera somma secondo il peso della moneta e al prezzo ufficiale dell’oro.
Dopo questo fatto Volodia Bolotnikov cadde in depressione. Non frequentò più gli incontri numismatici, si licenziò dal lavoro uscendo di casa solo per fare la spesa. Dopo qualche tempo Volodia si impiccò allo schienale del letto.
Così la storia triste, ma bella e commovente dell’operaio Volodia Bolotnikov, appassionato collezionista.
Articolo da Panorama Numismatico nr.263 – Giugno 2011