Come si poteva leggere sui media, il Califfato Islamico, entità dagli incerti confini che si estende tra Siria e Iraq, avrebbe deciso di iniziare ad emettere una propria moneta. A sostegno di questa affermazione è stato anche diffuso un video, in stile documentaristico, nel quale viene illustrato il conio e la messa in circolazione di queste nuove monete. La notizia ha fatto il giro del mondo e merita qualche commento e considerazione.
Secondo le intenzioni del Califfato il potere d’acquisto sarebbe determinato unicamente dal valore dell’intrinseco e questo fatto riporterebbe ad un sistema valutario abbandonato nel corso del XX secolo. Oggi il valore nominale delle monete è definito dai governi e non ha più alcuna relazione con il valore del loro contenuto in metallo. L’obiettivo dichiarato delle nuove monete d’oro è quello di eliminare il predominio del «sistema finanziario capitalistico di schiavitù, sostenuto da un pezzo di carta chiamato dollaro della Federal Reserve».
Sette i tagli previsti: due in oro, il dinaro e i 5 dinari, tre tipi in argento da 1, 5, 10 dirham e, per finire, due spiccioli in rame con valore di 10 e 20 fulus, i pezzi riportano la frase «Stato islamico Califfato basato sulla dottrina del Profeta». Sulle monete d’oro sono raffigurate rispettivamente sette spighe di grano e un planisfero. Invece sui nominali in argento troviamo: una lancia e uno scudo; il bianco minareto di Damasco della grande moschea degli Omayyadi, notevole esempio di architettura islamica e importante luogo di culto; la moschea di Al-Aqsa, che fa parte di un complesso di edifici religiosi di Gerusalemme. Infine sui nominali in rame si trovano la mezza luna e tre palme.
A questo punto può essere utile ricordare che fino a tempi relativamente recenti il sistema di monetazione più uniforme è stato quello del mondo musulmano; l’area sulla quale si diffuse, in varie epoche e in più riprese, era vastissima, dal momento che l’espansione islamica coinvolse Asia, Africa ed Europa. La sua omogeneità dipende dal fatto che quasi la totalità delle emissioni sono a carattere epigrafico e utilizzano la scrittura araba. Una situazione sicuramente diversa dalla monetazione occidentale che era caratterizzata da tipi figurativi e che adoperava due alfabeti, il latino e il greco. I nominali musulmani tradizionali sono il dinar in oro, il dihrem in argento e il fels in rame. Il dinar deriva dal solido aureo del tardo impero romano, il dirhem dalla dracma dell’antichità e il fels dal follis della prima fase dell’Impero bizantino.
Nel primo periodo delle loro conquiste, gli Arabi portarono poche modifiche alla monetazione delle province occupate. Solamente il quinto califfo umayyade Abd al-Malik ibn Marwan (65-86 AH, 685-705 AD) decise che l’Islam dovesse avere una propria moneta e quindi, coadiuvato dal suo luogotenente e grande ministro al-Hajjaj, attuò una grande riforma monetaria. Sui nuovi pezzi in oro e in rame venne raffigurato il califfo in piedi, con ricche vesti arabe e una grande spada al fianco, mentre sui pezzi in argento era riprodotta una nicchia di preghiera o un disegno analogo. La nicchia o mihrab, generalmente di piccole dimensioni e sormonta da una semicupola, è inserita nel muro orientato verso la qibis, la direzione della Mecca, e rappresenta uno dei luoghi più sacri di una moschea. La moneta d’oro (dinar), simile per peso a quelle bizantine, per la prima volta riporta una legenda in arabo. La lingua araba fu dichiarata lingua ufficiale dello stato sostituendo, in occidente, il greco e il latino, e, all’est, il persiano.
La rappresentazione di una personalità vivente, però, destò grande scalpore poiché si era affermata una consuetudine fortemente ostile all’arte figurativa, sebbene il Corano non la vietasse espressamente. Queste prime coniazioni furono rapidamente sostituite da nuove monete in cui gli elementi essenziali sono rappresentati da una leggenda incisa intorno al bordo e da un testo di diverse righe nel campo di ciascun lato. Queste leggende riportano la professione della fede islamica: «in nome di Allah; non v’è altro Dio tranne Allah, che non ha pari a sé; Dio è unico e Maometto è il suo profeta», assieme alla data determinata a partire dall’Egira del 622 d.C. Successivamente queste scritture vennero integrate con il nome e il titolo del sovrano.
Questa organizzazione si impose a tutte le monetazioni musulmane fin quasi ai nostri giorni. Naturalmente esistono varie tipologie collegate alle leggende che, ad esempio, possono essere disposte in vari cerchi concentrici, alla presenza di ornamenti e cornici collocati attorno alle leggende, variazioni che dipendono anche dalla grafia: alla cufica, lo stile che prende il nome dalla città irachena di Kufa dove, secondo la tradizione, sarebbe avvenuta la più antica elaborazione della scrittura araba; alla raffinata Nashki, del tardo Medioevo; alla meravigliosa Nastaliq del periodo di massimo splendore della Persia. E, ancora, le monete ottomane sono caratterizzate dalla tughra o firma del sovrano, un elaboratissimo monogramma che include il nome e il patronimico, che indica la discendenza paterna, del sultano.
Ritornando alla moneta d’oro del Califfato Islamico, il dinaro pesa 4,27 grammi, è coniato con oro a 21 carati (875‰) (da http://isis-coins.com), e viene valutato circa 139 dollari. A mio avviso difficilmente la moneta potrà circolare per tutta una serie di ragioni: il Califfato Islamico non è legalmente riconosciuto; il valore del pezzo varierebbe in funzione della quotazione mondiale del biondo metallo; difficilmente l’oro si può prestare per una coniazione di massa. E, inoltre, è molto difficile che il dinar d’oro possa guidare le altre valute e il motivo è un forte principio economico enunciato nel XVI secolo dal mercante e banchiere inglese Thomas Gresham (1519-1579): la moneta cattiva scaccia la moneta buona («bad money derives out good money»). Se in circolazione coesistono due monete, entrambe considerate valuta legale, si preferisce impiegare come mezzo di scambio il pezzo sopravvalutato mentre l’altro sparisce letteralmente dalla circolazione. Quando, nel 1966, venne messo in circolazione il biglietto di stato da 500 lire “Aretusa”, l’argenteo conio con le Caravelle sparì. Le splendide monete, coniate in decine di milioni di esemplari, vennero velocemente tesaurizzate.
Infine ricordo il caso del dinaro d’oro fatto coniare, per la prima volta nel 2006, da Mariwasa Kraftangan, un fabbricante di souvenir del Kelantan, uno degli stati della federazione della Malesia (ne conta 13). Il governo del Kelantan cercò di dare al dinaro un corso legale ma ricevette il veto dal Governo federale malese. Il dinaro del Kelantan non ha quindi nessun valore legale, è un ricordino o semplicemente un gettone che vale solo per il suo contenuto di metallo prezioso.
Anche il dinaro d’oro del Califfato Islamico non ha futuro come moneta di uso comune.
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