Articoli su fatti e curiosità sul mondo della numismatica. Speciale attenzione dedicata alle world coins, monete da tutto il mondo.
Il singolare connubio fra monete e francobolli può portare a scoperte sorprendenti: francobolli incapsulati, imbustati, incollati su supporto, usati come monete; banconote affrancate come corrispondenza; francobolli stampati su fogli destinati alla produzione di banconote, anche se in parte giá impressi; monete che celebrano la filatelia; francobolli che commemorano monete, banconote.
La mancanza di moneta divisionale e l’impossibilità di provvedere alla coniazione con urgenza hanno creato fantasiosi e particolari mezzi di pagamento. Nel passato si è ricorso spesso all’uso della contromarca per dare nuovo valore ad una moneta oppure per autorizzare la circolazione di moneta fuori corso o, ancora, per ammettere alla circolazione monete straniere. Come utili strumenti di pagamento spesso sono state utilizzate le tessere mercantili ma anche gettoni originariamente destinati agli usi più diversi, come gettoni telefonici, buoni delle cooperative o aziendali, marche da bollo, francobolli, fino alle pseudomonete delle associazioni filantropiche, come le monete delle città dei ragazzi, ecc. Tutto questo dimostra ancora una volta che “la necessità aguzza l’ingegno” ed “è la madre di tutte le arti”.
È proprio prendendo in considerazione il singolare connubio fra monete e francobolli che si possono fare scoperte sorprendenti e inaspettate. Prima di tutto è opportuno ripercorre brevemente la storia del francobollo, un valore stampato da un lato e gommato al verso. Ideato dal politico inglese Rowland Hill (1795-1879), tradizionalmente è in carta e viene incollato all’oggetto di una spedizione postale come prova del pagamento anticipato del servizio di corrispondenza. Il primo francobollo, passato alla storia come Penny Black (fig. 1), emesso per conto del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda e venduto a partire dal primo maggio 1840, era privo di dentellatura. Il pezzo, illustrato con l’effige della regina Vittoria, veniva stampato su fogli che contenevano 240 esemplari, disposti in 20 file da 12 esemplari; questa scelta venne effettuata per permettere a un foglio intero di avere un valore pari a una sterlina o 240 pence. Nel giro di pochi anni anche altre amministrazioni postali seguirono l’esempio inglese per la praticità del nuovo mezzo e così, nel 1843, la Svizzera del cantone di Zurigo fu il secondo stato ad emettere francobolli. Seguirono poi il Brasile, i cantoni svizzeri di Ginevra e di Basilea, gli Stati Uniti (1847). In Italia la prima serie denominata Aquila Bicipite venne emessa, il primo giugno 1850, dal regno Lombardo-Veneto.
Segue: articolo completo in formato PDF tratto da Panorama Numismatico nr.322, novembre 2016.
In numismatica gli errori di conio e le varianti sono particolarmente studiate e ricercate dai collezionisti. Al giorno d’oggi le monete prodotte a macchina sono tutte uguali ad eccezione di eventuali errori e difetti di conio. Nel passato, quando invece la battitura avveniva a mano con possenti colpi di martello, ogni pezzo era diverso dagli altri e le varianti erano innumerevoli. Proprio per questo la numismatica è una scienza che può sempre riservare gradite e inaspettate sorprese.
Con l’avanzare della tecnologia gli errori e le varietà sono notevolmente diminuiti rispetto al passato. Il loro numero è invece alto quando le coniazioni sono fatte in modo affrettato e caotico, senza prestare la dovuta attenzione alla preparazione dei conii, urgenza che in genere si ricollega a momenti storici particolari, di forte instabilità sia politica che economica. Come, ad esempio, le innumerevoli varianti per forma delle lettere, diversa spaziatura, punteggiatura, grandezza della testa del re, dimensione dell’arma, ornamenti, della piastra da 120 grana in argento di Ferdinando II di Borbone (1830-1859) per Napoli; oppure le varianti a partire dai due tipi fondamentali, con o senza l’alberello della libertà, che si caratterizzano per il diverso panorama della città, raffigurato ai piedi della Madonna di san Luca, impresso sugli scudi da 10 paoli d’argento del governo popolare di Bologna (1796-1797).
di Gianni Graziosi
Il córso Angelo Mariani (1838-1914), nato il 17 dicembre a Pero-Casevecchie (Corsica), fu un chimico e preparatore farmaceutico dotato di un notevole spirito imprenditoriale, inventore di una celebre bevanda tonica, a base di vino alla cocaina, commercializzata nel 1863 con il nome di Vin Mariani. Il prodotto ottenne grande successo in tutta Europa e rese ricco e famoso il suo creatore. La cocaina, un alcaloide con formula bruta C17H21NO4, è uno stupefacente che agisce sul sistema nervoso e si estrae dalle foglie della pianta della coca (Erythroxylum coca), un arbusto originario delle regioni tropicali centrali e nord-occidentali dell’America del Sud, che ha foglie alterne di un verde intenso. I principali produttori di coca sono la Colombia, la Bolivia, il Perù e il Brasile.
L’abitudine di masticare foglie di coca mescolate ad una sostanza alcalina, per facilitare l’estrazione del principio attivo, è una pratica che risale alle civiltà precolombiane ed è, ancora oggi, diffusa nei paesi andini. I più antichi reperti archeologici, attestanti l’impiego delle foglie di coca fra le popolazioni sudamericane, sono datati al 6.000 a.C. La cocaina estratta per effetto della masticazione passa nella saliva e viene lentamente assorbita attraverso la mucosa della bocca. Gli effetti compaiono lentamente e durano qualche ora. Masticare foglie di coca allevia i sintomi della fame, aumenta la forza e la resistenza fisica, riduce le difficoltà respiratorie a grandi altezze. La crescita della produzione e del consumo risale al XVI secolo e fu opera degli spagnoli. Le foglie di coca venivano fatte masticare agli schiavi indigeni, che lavoravano nelle miniere d’argento di Potosí (Bolivia), per dare loro maggior resistenza alla fatica e ridurre gli effetti della fame e della sete, tutto al fine di incrementare la produzione. Con l’argento estratto vennero coniati anche i famosi pezzi da otto real (real de a ocho o peso de ocho) che si riconoscono dal segno impresso dalla zecca di Potosí, il monogramma P, T e S: la moneta, pesante circa 27,4 g, era pure denominata dollaro spagnolo.
L’infernale mondo di Plutone
L’esplorazione robotica del sistema solare ha visto, il 14 luglio 2015, lo storico fly-by, da parte della sonda New Horizons, del lontanissimo pianeta nano Plutone, incontro avvenuto dopo un viaggio durato quasi 10 anni e un percorso di circa 5 miliardi di km. Plutone, a causa dell’elevata eccentricità del periodo orbitale, che dura 247,68 anni terrestri, viene a trovarsi ciclicamente più vicino al Sole rispetto a Nettuno, come è successo tra il 1979 e il 1999. La scoperta del pianeta venne fatta, il 18 febbraio 1930, dall’astronomo statunitense Clyde Tombaugh che lo individuò su fotografie scattate all’Osservatorio Lowell (Flagstaff in Arizona). La sonda spaziale trasporta una parte delle ceneri del suo scopritore, un commovente omaggio all’astronomo scomparso nel 1997. L’urna che le contiene ha la seguente iscrizione: «Qui ci sono i resti di Clyde W. Tombaugh, scopritore di Plutone e della Terza Zona del Sistema Solare. Figlio di Adelle e Muron, marito di Patricia, padre di Annette e Alden, astronomo, insegnante, freddurista, amico. Clyde Tambaugh 1906-1997». Le sue ceneri saranno, almeno per il momento, gli unici resti umani a volare fino alla Fascia di Kuiper e, nel tempo, a lasciare il nostro sistema solare. Su New Horizons sono state collocate anche due monete, per la precisione due pezzi da un quarto di dollaro, uno del Meryland e l’altro della Florida, a ricordo della missione. Nel 2006, con una risoluzione dell’Unione Astronomica Internazionale, il nono pianeta è stato “declassato” al ruolo di pianeta nano e scelto come elemento di riferimento della classe di oggetti in orbita attorno al Sole al di là di Nettuno. I cosiddetti oggetti transnettuniani (TNO), denominati ufficialmente plutoidi, come Eris (personificazione della discordia nella mitologia greca), Haumea (dea hawaiana della fertilità), Makemake (divinità della creazione nella mitologia pasquense), corpi celesti scoperti rispettivamente nel 2005, 2004 e 2005.
di Gianni Graziosi
A Ueken, un comune nel Cantone di Argovia, in Svizzera, è stata fatta una scoperta particolarmente interessante e fortunat: è stato ritrovato uno tra i più ricchi tesori di monete romane in territorio elvetico. Ovviamente questo non è il primo e l’unico rinvenimento monetale proveniente dal territorio dell’attuale Svizzera. Si possono ricordare il migliaio di monete in bronzo del periodo imperiale (II-III secolo) scoperte, nel 2014, a Orsellina (Canton Ticino), il tesoro monetale romano, occultato dopo il 270 d.C., ritrovato a Oberriet (Cantone San Gallo), oppure quello, sotterrato intorno al 230 d.C., scoperto a Bäretwil (Cantone Zurigo). Notevole anche il cosiddetto ripostiglio del mercenario di Colle Teodulo (Cantone Vallese) dove, a circa 3.000 metri di quota, furono scoperti (1984) i resti mortali di un uomo, conservati nel ghiacciaio, e vari materiali come legno, tessuto, cuoio, armi, monete, pezzi di vetro, gioielli e una borsa contenente 184 monete, la maggior parte datate alla seconda metà del XVI secolo. Per non dimenticare i gioielli d’oro, veri capolavori dell’arte orafa d’epoca romana, ritrovati nel 1741 nell’antica vicus di Lunnern, oggi comune di Obfeldn (Cantone Zurigo), solo per fare qualche esempio.
Segue: articolo completo in formato PDF anteprima da Panorama Numismatico nr.317, maggio 2016.