LA CITTÀ ADRIATICA, SOGGETTA A UNA PESANTE INGERENZA PAPALE, ALL’INIZIO DEL CINQUECENTO MISE IN ATTO ALCUNI PROVVEDIMENTI CHE INDUSSERO PAPA DELLA ROVERE A SOSPENDERLE IL DIRITTO DI ZECCA.
Nel capitolo della zecca del Comune di Ancona emesso in data 15 novembre 1510 si legge: «Imprimis che possa batter in dicta Zeccha le infrascripte monete, et in tucte appara la insegna de Sancta Chiesa: et siano conforme de bonta a le monete de la sudetta et N. S. de lega et de peso et cum li sui remedii consueti secundo la Zeccha de Sua Santita, videlicet». In precedenza infatti – era il 20 maggio dello stesso anno – Sua Santità aveva (ri)concesso alla zecca di Ancona il privilegio di coniare moneta purché questa fosse conforme a quella papale. Nella fattispecie le monete interessate erano «Ducati d’oro de tucta bonta secundo li altri ducati papali. Grossi et mezi grossi chiamati Anconitani ad saggio de bonta de leghe undeci conforme de peso et de legha a le monete papale co li suoi remedii ut supra. Bolognini et soldi ad saggio de leghe nove et tre quarti conforme de peso et de legha a le monete papale ut supra cum li sui remedii ut supra. Piccioli de ramo secundo el consueto». La disposizione prosegue e termina con la prescrizione che avverte: «Et tucte le suprascripte monete non se possano cavare de zeccha che siano prima assaggiate da lo assaggiator deputato per epsi officiali ne senza la presentia almeno de dui de dicti officiali: de lo scrivano deputato per epsi officiali: et de lo assaggiator predicto». Abbiamo parlato di riconcessione del privilegio di battere moneta. Ma perché il papa aveva privato Ancona di tale concessione e quale potere esercitava sulla città marchigiana? Vediamo cosa accadde.
Segue: LA MONETA DI ANCONA E LA RIFORMA MONETALE DI GIULIO II in formato pdf tratto da Panorama Numismatico nr.314 – Febbraio 2016