Monete e medaglie: monete antiche, monete greche, monete romane, monete celtiche. Articoli e notizie sulla monetazione antica.
Considerazioni stilistiche sulle monete di bronzo
In questo lavoro elencherò particolarmente i culti attestati dalle monete in quanto ve ne sono stati altri che si deducono soltanto o da citazioni storiche o da iscrizioni, senza avere cioè il supporto della monetazione.
Il Ciaceri ( I, p. 62) scrive “I culti delle città antiche si spandono come tutti gli altri elementi della civiltà ma non arrivano senza dubbio a prendere un carattere rilevante se non a causa di qualche avvenimento. Ed è solo allora che essi cominciano ad essere attestati dalle monete che ne sono la più sicura e pubblica conferma”.
Segue: articolo completo in formato PDF da Panorama Numismatico nr.78/settembre 1994 – articolo dagli archivi di Panorama Numismatico richiesto da un ns. lettore.

Aureo di 7,28 grammi coniato a Roma nel 140. Al diritto testa laureata di Antonino e legenda ANTONINVS AVG PIVS P P TR P COS III. Al rovescio busto giovanile del futuro imperatore Marco Aurelio con legenda AURELIVS CAES AVG PII F COS. Marco Aurelio, è definito esplicitamente Cesare e figlio dell’augusto Pio (Augusti Pii Filius). Questa scritta la dice probabilmente lunga su quali fossero le vere intenzioni dell’imperatore circa la sua successione; anche Lucio Vero fu adottato, ma a lui non vennero dedicate monete così esplicite. Cohen 20; R.I.C. 421c. (ex asta NAC 24/2002).
di Roberto Diegi
DOPO ANTONINO, L’APPELLATIVO “PIUS” VENNE ADOTTATO DA ALTRI IMPERATORI ROMANI, E APPOSTO SULLE LORO MONETE, PERDENDO IL SIGNIFICATO ORIGINALE.
In questo articolo intendo soffermarmi su una in particolare delle abbreviazioni che compaiono sulle monete romane imperiali: P F = Pius Felix.
Sul termine Felix ci sono pochi dubbi: sta a significare colui che è sereno, felice del suo essere Pius; ma che significa quest’ultimo aggettivo, poi sostantivatosi nel tempo? Secondo gli antichi Romani Pius era colui che esercitava la Pietas, il cui significato era però ben diverso da quello che noi attribuiamo oggi al termine pietà.
La Pietas era anzitutto senso del dovere, sentimento religioso basato sul rispetto del sacro e degli dei, che non erano una entità astratta ma punti di riferimento concreti nell’esercizio di tutte le diverse azioni umane. In altri termini la Pietas era sentimento di devozione e di giustizia verso gli dei, gli antenati, la patria.
Venendo ora alla monetazione sulla quale vediamo comparire l’abbreviazione P F, osservo che anche in tal caso, come era avvenuto per Augusto e il suo titolo di Pater Patriae, l’origine di questa attribuzione risale in modo specifico ad un imperatore, avendo poi i successori adottato quella abbreviazione in modo quasi automatico, assieme ad altre e spesso con poca o nessuna rispondenza alla realtà.
A Titus Aurelius Fulvus Boionius Arrius Antoninus, figlio adottivo di Adriano, assieme al nuovo nome di Titus Aelius Hadrianus Antoninus, derivante dalla adozione, venne attribuito l’appellativo PIVS che contraddistinse il suo lungo regno (dal 138 al 161) durante il quale l’imperatore governò tenendo fede ai princìpi della Pietas, nell’accezione che abbiamo sopra visto. Le monete di Antonino portano tutte questo appellativo Pius che successivamente, ma parecchi anni dopo la sua morte, venne adottato da altri con la ormai nota abbreviazione di P F.
Segue: articolo completo in formato PDF da Panorama Numismatico nr.275 – Luglio/Agosto 2012
Le monete, oltre ad essere antesignane dei moderni mass media, sono anche l’immagine dell’epoca storica che le ha prodotte. Possiamo leggere su di esse la storia di un popolo; le monete presentano riferimenti diretti e indiretti: i primi sono le immagini che si riferiscono a precisi fatti storici; i secondi sono costituiti dal metallo usato, oppure dalla presenza di certe immagini al posto di altre.
In questa sede prendiamo in esame una moneta bizantina dell’epoca di Leone V (811-820): è un follis, con al diritto l’immagine del suddetto imperatore e al rovescio quella del figlio, Costantino, con la leggenda KONCT, coniato a Siracusa.
Il pezzo appartiene al terzo periodo della monetazione bizantina, quella coincidente con l’iconoclastia.
Segue: monete di Leone V in formato PDF, articolo completo tratto da Panorama Numismatico nr.72/febbraio 1994, articolo richiesto da un ns. lettore.
di Romolo Calciati
Nella Sicilia occidentale, tra la fine del V e gli inizi del IV secolo a.C., si assiste alla coniazione di una serie di emissioni in bronzo aventi in comune la raffigurazione al diritto della testa di Eracle nella leontè. Queste emissioni interessano le zecche di Selinunte, Thermai, Solunto e Cefalù, oltre a quella di Akragas, sotto forma di contromarche. Vengono pertanto coinvolte alcune città situate nell’area di influenza sia cartaginese che greca. Il prototipo siciliano di questo soggetto lo ritroviamo nelle emissioni di tetradrammi di Kamarina a partire dal 425 a.C. E’ probabile che, sulla decisione di realizzare questi bronzi con la testa di Eracle, abbia influito non poco la diffusione dei tetradrammi camarinesi, alcuni dei quali firmati da Exakestidas e certamente presenti anche nell’area punica. Tutte queste emissioni bronzee hanno in comune il dato ponderale, in quanto si tratta, con pochissime eccezioni, di monete di peso oscillante tra g. 1 e 3. Che sia stata soltanto Kamarina, sul finire del V secolo a.C., a proporre il ritratto eracleo sull’argento, è un dato che non consente deduzioni di sorta.
Segue: articolo completo in formato pdf da Panorama Numismatico nr.72 – febbraio 1994. Articolo richiesto da un ns. lettore.
di Mariella Cambi Mariani
I Celti transalpini entrarono nella storia romana verso la fine del V secolo a.c., con la discesa in Italia delle prime tribù. Agli occhi del mondo latino, i Galli – così furono chiamati – rappresentavano l’incarnazione dei barbari ignoranti, rozzi e sanguinari; e anche in seguito i popoli di origine latina rimasero attaccati a questo luogo comune che ribadiva una loro presunta superiorità culturale.
Per molto tempo il prototipo dei Galli fu lo sprezzante re Brenno, quello delle parole vae victis, guai ai vinti, gridate ai senatori sul Campidoglio assediato, mentre gettava la spada sulla bilancia del riscatto. Quando a loro volta i Romani entrarono in Gallia con l’intenzione di sottometterla,trovarono una civiltà antica, impregnata di tradizioni, con un profondo senso dell’onore e della comunità patriarcale. Le numerose tribù in oppida, città fortificate ricche di opere pubbliche pregevoli.
La potente casta sacerdotale dei Druidi amministrava la giustizia e guidava la loro religiosità particolarmente sensibile al culto dei morti, perché i Galli credevano nella sopravvivenza dell’anima e in un mondo eterno nel quale tutti si sarebbero ritrovati. L’unico retaggio primitivo era il taglio della testa al nemico valoroso vinto in battaglia, con la convinzione di potersi appropriare delle sue energie fisiche e spirituali.
Segue: articolo completo in formato pdf da Panorama Numismatico nr.72 – febbraio 1994. Articolo richiesto da un ns. lettore.