Monete e medaglie: monete antiche, monete greche, monete romane, monete celtiche. Articoli e notizie sulla monetazione antica.

Foto 1. Solido di 4,48 grammi coniato da Teodosio II a Costantinopoli tra il 430 e il 440. Al diritto, busto elmato di fronte con lancia e scudo e legenda D N THEODOSIVS P F AVG. Al rovescio, Costantinopoli seduta tiene globo crucigero con legenda VOT XXX MVLT XXXX; CONOB in esergo. Cohen - ; R.I.C., 257 (ex asta NOMISMA 36/2008).
di Roberto Diegi
L’USO DI PORRE IL SIMBOLO DEL GLOBO CRUCIGERO SULLE MONETE SCOMPARVE IN EPOCA MEDIEVALE PER RIAPPARIRE TRA XVI E XVIII SECOLO.
Il globo crucigero (globus cruciger) è una sfera con in cima apposta una croce. È un simbolo cristiano usato sulle monete, nell’iconografia e nelle insegne regali. Esso rappresenta il dominio di Cristo (la croce) sul mondo (la sfera).
Il primo utilizzo conosciuto di questo simbolo sulle monete risale probabilmente alla prima metà del 400 d. C. dopo, ovviamente, l’affermazione del cristianesimo come religione principale: con sicurezza a partire dalle monete dell’imperatore Teodosio II.
Tiberius Claudius Nero Drusus.
Biografia
Claudio nacque a Lugdunum nel 10 a.C.: era il figlio minore di Nerone Druso Maggiore (fratello di Tiberio) e di Antonia Minore, figlia del triumviro Marco Antonio e di Ottavia, sorella di Augusto. Fratello di Germanico, era quindi zio di Gaio-Caligola.
Claudio venne acclamato imperatore dai pretoriani, subito dopo l’uccisione di Caligola ed il Senato, seppure a denti stretti (alcuni senatori avevano persino immaginato un ritorno alla repubblica) ratificò la sua nomina conferendogli i poteri imperiali: era il 23 gennaio del 41 d.C. e Claudio divenne imperatore con il nome di Tiberius Claudius Drusus Caesar Augustus Germanicus.
Il nuovo imperatore aveva 51 anni, non godeva di buona salute e si presentava affetto da una marcata goffaggine (tra l’altro era anche balbuziente) che sembrava addirittura la manifestazione di un certo ritardo mentale. Ma non era proprio così.
di Mariella Cambi Mariani
Per i Romani, Giove era il capo supremo degli dèi, i quali, più che virtù taumaturgiche, avevano personalità di carattere umano. Ne derivavano gli inconvenienti di una famiglia numerosa costretta alla coabitazione, con liti sempre aperte che il patriarca, anzichè sedare, spesso fomentava.
Il nome ha radici indoeuropee e significa risplendere al pari del corrispondente greco Zeus. Gli si attribuiva la spartizione dell’universo: a Plutone avrebbe assegnato il regno infernale e a Nettuno il mare, lasciando per sè la terraferma, più il cielo e l’aria.
Il Giove latino, o IVPPITER, fu comune a tutti i popoli italici e il primo epiteto che ricevette fu LVCETIVS, “apportatore di luce”. Al suo culto era preposto un sacerdote particolare, detto Flamen Diatis, che gli sacrificava una pecora bianca il giorno delle Idi, che cadevano il 13 o il 15 del mese. A quelle di ottobre, o Ferie lovis, si celebravano i ludi capitolini, perché il suo tempio principale era sul Campidoglio, accanto a quelli di Giunone e Minerva, e là i comandanti vittoriosi salivano a rendere grazie offrendo le spoglie del nemico ucciso. Il Grande tempio era stato eretto nel 509 a.c.; prima di allora Giove era adorato semplicemente sulle are sacrificali sotto il simbolo di una pietra, con il nome di luppiter Lapis.
Articolo completo in formato PDF tratto da Panorama Numismatico nr.54/giugno 1992 – richiesto da un ns. lettore.
di Maria Teresa Rondinella
TUTTE LE TEORIE SUL DEMARETEION, DECADRAMMO SIRACUSANO DI V SECOLO a.C., DALLA STORIA CONTROVERSA. UNA NUOVA IPOTESI SULLA DATAZIONE E SUL MOTIVO DELLA SUA EMISSIONE.
Pur essendo una colonia dorica la polis di Siracusa batte su piede euboico-attico, lo statere è il tetradrammo e la sua tipologia è una quadriga al dritto mentre sul rovescio compare la testa della ninfa Arethusa (fig. 1). La tipologia del dritto fu ispirata dai tipi utilizzati in alcune città della Grecia del nord, in particolare ad Olinto e il suo significato non sembrerebbe essere strettamente politico, legato alla tirannide, piuttosto celebrativo. Ed infatti non scomparirà neppure dopo la caduta dei tiranni.
Nella storia della monetazione siracusana si ricorda un’emissione straordinaria del valore di dieci dracme (poco più di g 43), il Demareteion, una moneta piuttosto rara tra le pochissime citate dalle fonti storiche antiche1. Il tipo del dritto è un auriga che guida una quadriga verso destra, con il kèntron (bastone) nella mano sinistra e le redini nella destra. Una Nike in volo verso destra incorona i cavalli. In esergo un leone corre verso destra. Al rovescio è raffigurata una testa femminile volta a destra, con i capelli raccolti e una corona di foglie d’ulivo sulla testa (fig. 2). Intorno quattro delfini nuotano in senso orario mentre la leggenda Σ Υ Ρ Α Κ Ο Σ Ι Ο Ν (syrakosion) è in senso antiorario.
Era opinione comune, confermata anche dagli studi di E. Boehringer (Die Münzen von Syrakus, Berlin 1929) che il più antico decadrammo di Siracusa risalisse al 480 a.C. e fosse la moneta che lo storico Diodoro Siculo (XI 26, 3) ci dice battuta da Demarete, moglie di Gelone, il quale fu tiranno di Siracusa dal 485 al 478 a.C. La donna avrebbe utilizzando i donativi che i Cartaginesi le diedero poiché, dopo la sconfitta subita nella battaglia di Himera, ella intervenne a loro favore:
[…] I Cartaginesi, avendo ottenuto inaspettatamente la loro liberazione, non solo accettarono queste condizioni, ma promisero di dare anche una corona d’oro a Demarete, la moglie di Gelone. Poiché Demarete in base alla loro richiesta aveva dato il massimo aiuto per la conclusione della pace; e quando ebbe ricevuto da loro la corona d’oro da cento talenti, ella coniò una moneta che da lei fu chiamata Demareteion. Questa valeva dieci dracme ateniesi […].
Segue: articolo completo in formato pdf tratto da Panorama Numismatico nr.277 – ottobre 2012
di Roberto Diegi
L’ORIGINE E L’USO DELLE ABBREVIAZIONI “P P” E “D N” IN EPOCA ROMANA
Chiunque prenda in mano una moneta imperiale romana non può non rimanere interdetto di fronte alla ricchezza dei termini contenuti nella legenda del diritto, quella che circonda normalmente la testa o il busto dell’imperatore. Moltissimi di questi termini sono poi abbreviati, complicando ancora di più la vita del malcapitato che, digiuno di numismatica classica, tenti di decifrare per intero la legenda, magari forte dei suoi studi umanistici, che peraltro in questi casi non servono a molto, anzi a niente. I collezionisti e i cultori di numismatica classica col tempo, l’esperienza e soprattutto con l’aiuto di qualche buon testo, hanno superato il problema acquisendo una, diciamo, relativa dimestichezza con le apparentemente enigmatiche legende monetarie.
Poco sopra ho scritto “numismatica classica” perché non solo la monetazione romana imperiale presenta questo “vizietto”: già in epoca repubblicana, i denari dei magistrati monetari abusavano delle abbreviazioni, probabilmente per mancanza di spazio sul tondello, creando così non pochi problemi ai decifratori. Stendo ora un velo pietoso sulle emissioni provinciali romane, nelle quali la lingua greca, già per se stessa oggi non frequentatissima, abusa ancor più delle abbreviazioni, causando spesso la ripulsa dei collezionisti nei confronti di questa serie, peraltro a mio avviso affascinante.