Monete e medaglie: monete antiche, monete greche, monete romane, monete celtiche. Articoli e notizie sulla monetazione antica.

Al diritto: DIVO TRAIANO PARTH AVG PATRI. Il rovescio è anepigrafe e ci mostra la fenice su un basamento o su un ramo di alloro. Cohen, 658 e 659; R.I.C., II, 27 e 28. Questi aurei, del peso di circa 7,30 grammi, sono stati coniati a Roma da Adriano nel 118.
di Roberto Diegi
Dall’Impero di Roma al Regno delle Due Sicilie
SIMBOLO DI RESURREZIONE, DI RINNOVAMENTO E D’IMMORTALITA’, L’IMMAGINE DELLA FENICE SI TROVA SULLE MONETE ROMANE E, CON MAGGIOR FREQUENZA, SU QUELLE DI COSTANTE E COSTANZO II. I BORBONE, 400 ANNI DOPO, LA RIPRESERO IN PIU’ OCCASIONI.
Il Quaderno di studi n. VII/2012, edito dalla nuova Associazione Culturale Italia Numismatica, è dedicato alla memoria di Andrea Morello e di quest’ultimo riporta un interessante articolo – già pubblicato sulla rivista Monete Antiche, n. 40/2008 – concernente l’iconografia paleocristiana sulle monete romane tardo antiche. In particolare questo articolo si sofferma sulla raffigurazione della fenice che si trova prevalentemente su alcuni piccoli bronzi emessi da Costante e Costanzo II, figli di Costantino, attorno alla metà del IV secolo d.C.
Questo articolo, peraltro, come dicevo, molto interessante, ha richiamato la mia attenzione perchè la raffigurazione della fenice non si ferma all’epoca romana ma viene ripresa con grande evidenza molti secoli più avanti, dai Borbone di Napoli e del Regno delle Due Sicilie. Ma cos’era la “fenice”?
Scarica tutto l’articolo in formato pdf, tratto da Panorama Numismatico nr.288 / Ottobre 2013
UBICAZIONE E CENNI STORICI
Reate fu una delle più antiche e principali città dei Sabini. Era situata su un’altura calcarea, che rappresenta attualmente la parte più elevata (circa 400 m.s.m.) e centrale della moderna Rieti (intorno alla Piazza Vittorio Emanuele e al Teatro Comunale), nell’angolo SE di una fertile conca attraversata dal fiume Velino.
Non abbiamo notizie storiche della città prima della conquista romana. Nel 290 a.C. il console Manio Curio Dentato assoggettò tutta la Sabina. A quel tempo vicino a Reate si estendeva un lago, il lago Velino, circondato da terre paludose. Il conquistatore dei Sabini, Curio Dentato, procedette subito alla bonifica della conca reatina, con l’apertura della cava curiana, che scaricava le acque del Velino nel fiume Nera. Il terreno così bonificato divenne fertilissimo e fu causa di gravi e secolari dispute tra la città e la vicina Interamna (Terni).
Nel 268 a.C i Sabini ricevettero la cittadinanza senza suffragio.
Nel 205 a.C. Reate assieme agli altri Sabini contribuì volontariamente ai rifornimenti di Scipione, durante le ultime fasi della seconda guerra punica.
Come le altre città sabine, Reate fu mantenuta al grado di prefettura sino al 27 a.C., poi municipio ascritto alla tribù Quirina. Ha dato i natali all’erudito Marco Terenzio Varrone e della città era originaria la famiglia dell’imperatore Vespasiano.
Segue: articolo completo in formato pdf da Panorama Numismatico nr.73 del marzo 1994, articolo richiesto da un ns. lettore.
OPERA DI APOLLODORO DI DAMASCO, DEL PONTE VOLUTO DA TRAIANO ALLA VIGILIA DELLA SECONDA CAMPAGNA MILITARE CONTRO I DACI RIMANGONO OGGI POCHE SOPRAVVIVENZE. LE MONETE ROMANE NE MOSTRANO L’ORIGINALE GRANDIOSITA’
di Roberto Diegi
Un inquadramento storico-biografico si impone.
Come è noto, nel corso del II e del III secolo d.C., l’impero romano raggiunse l’apice dell’espansione territoriale e della prosperità materiale. Fino all’età di Traiano l’impero visse un lungo periodo di pace all’interno, accompagnato dalla progressiva espansione territoriale oltre i confini. Sotto Traiano (98-117 d.C.) l’impero conobbe il suo apogeo e anche l’arte riuscì per la prima volta – stando a quanto ci è dato conoscere – a staccarsi dall’influenza ellenistica.
Uno degli architetti più prestigiosi e geniali che lavorò sotto Traiano fu certamente Apollodoro di Damasco. Architetto, scrittore e ingegnere militare, fu molto attivo a Roma all’inizio del II secolo, ovviamente dopo Cristo. Su Apollodoro ci sono poche informazioni da parte degli autori antichi ma, nonostante il nome greco, va annotato che Apollodoro era un siriano ellenizzato, che aveva appreso il greco come seconda lingua e aveva adottato un nome greco, come peraltro faceva qualunque orientale che volesse acquisire rapidamente una posizione di rilievo nel mondo romano.
Apollodoro, come detto, fu l’architetto ufficiale di Traiano, che seguì nelle guerre contro i Daci. Il legame tra Apollodoro e Traiano si spiega col fatto che nel 76-77 d.C. il padre del futuro imperatore, M. Ulpio Traiano, era stato governatore della Siria, provincia in cui lo stesso Traiano aveva soggiornato da giovane. È molto probabile quindi che il padre dell’architetto sia entrato nella clientela di Traiano padre mentre questi era governatore in Siria. Quindi anche il futuro imperatore ebbe probabilmente modo di conoscere bene Apollodoro, che divenne l’architetto di fiducia di Traiano quando si trasferì a Roma e per l’imperatore progettò molti prestigiosi edifici civili. Ma Apollodoro è probabilmente più noto per la realizzazione del famoso ponte sul Danubio alla vigilia della seconda campagna militare contro la Dacia.
Nella sua attività di ingegnere militare Apollodoro costruì, nell’intervallo fra la prima campagna dacica (101-102 d.C) e la seconda (105-106 d.C), il ponte sul Danubio, sul quale le legioni romane passarono nell’estate dell’anno 105 e del quale rimangono vestigia presso Drobeta (Romania) e un’immagine in rilievo sulla Colonna Traiana.
Tra la prima e la seconda guerra tra romani e daci (101/102 e 105/106), periodo in cui l’imperatore Dace Decebalo era stato costretto ad accettare una dura pace imposta da Traiano, i romani avevano chiara in mente la necessità di una strada che potesse assicurare una comunicazione più diretta con la Dacia, nella prospettiva di vincere definitivamente il popolo dace. Per superare la difficoltà, l’imperatore Traiano prese in considerazione la costruzione di un ponte sul Danubio, allo scopo di eliminare uno degli ostacoli costituito proprio dalla mancanza di una comunicazione diretta con la Dacia, scegliendo personalmente il posto del futuro ponte sul fiume. Punto strategico di grande importanza, Drobeta offriva un particolare vantaggio: la scarsa profondità dell’acqua e una larghezza relativamente ridotta del Danubio nel luogo prescelto.
Alla fine della dominazione romana in Dacia, il ponte è stato distrutto più volte. Oggi si possono vedere ancora i monconi dei piloni del ponte alle due estremità sulle rive del Danubio; nel 1858, quando il grande fiume aveva registrato un livello molto basso, è stato possibile vedere anche la parte del ponte che si trova sott’acqua.
Ma la testimonianza più realistica di come potesse essere questo ponte, al tempo della sua integrità, ce la fornisce una volta di più la numismatica attraverso una splendida serie di sesterzi fatti coniare da Traiano per ricordare quest’opera per quei tempi decisamente eccezionale. Vediamone alcuni.
La foto 1 ci mostra tre splendidi esemplari di sesterzio con l’immagine del ponte sul Danubio tratti dall’opera di Elio Biaggi Le preziose patine dei sesterzi di Roma Imperiale (Ivrea 1992). Le tre monete proposte sono apparentemente identiche ma, in realtà, sono diverse le raffigurazioni di conio, soprattutto al rovescio.
Segue: articolo completo in formato pdf, anteprima da Panorama Numismatico nr.287 di prossima uscita (settembre 2013).
di Roberto Diegi
DAI PRIMI ASSI CON LA TESTA DI GIANO E L’IMMAGINE DI UNA PRORA ALLE MAIORINE DEL IV SECOLO, AL MARE E’ SEMPRE STATA DEDICATA UN’ATTENZIONE PARTICOLARE NELLE CONIAZIONI ROMANE, COSI’ COME E’ ACCADUTO NELLA STORIA DELL’IMPERO.
La prima cosa che uno pensa riguardo alla potenza militare di Roma e alle sue vaste conquiste militari è che questi risultati sono stati raggiunti grazie alle sue legioni di terra e alla loro perfetta organizzazione. Verissimo, ma non va dimenticato che Roma era collocata in mezzo al Mediterraneo e che il controllo del suo impero non poteva prescindere anche da un controllo del mare, sia militare che commerciale.
Non deve quindi stupire che Roma rappresentasse spesso la nave sulle sue monete, che – non dimentichiamolo – erano allora il primo e più immediato mezzo di “propaganda”. Antonio Morello, ha dedicato un importante studio sul potere marittimo di Roma nella monetazione repubblicana: io, molto più semplicemente, mi limiterò a una documentazione per immagini, allargando peraltro il mio orizzonte all’Impero.
UN CURIOSO PARTICOLARE AGGIUNTIVO NELLA ICONOGRAFIA MONETALE DEL BASSO IMPERO E BIZANTINA.
di Paolo Pini
A partire dall’epoca constantiniana il capo dell’imperatore non è più cinto, nel diritto delle monete, dalla corona d’alloro o radiata, ma da un diadema. Il nuovo ornamento, di derivazione orientale, è costituito da una doppia fila di perle o da una benda adorna di gemme che ne reca una più grande sulla fronte. In entrambi i casi questo vezzo termina con un nodo sulla nuca, dal quale scendono i due capo, In altri esemplari il diadema, che si arricchisce di due file di gemme frontali, orna l’elmo dell’imperatore, e questa tipologia si protrarrà nel periodo bizantino.
Ma in epoca teodosiana, un elemento nuovo fa la sua comparsa: la “MANUS DEI”, o la mano celeste, che, come uscente dal cielo, impone una ghirlanda sul capo dell’imperatore dell’imperatrice (fig.1). Il piccolo elemento accessorio si può riscontrare anche nelle figure interne dei rovesci.
In genere di trova sulla sommità del capo, a contatto o appena staccato, interposto alle legenda di bordo, e talora, dalle minuscole dimensioni e specie in esemplari non nitidi per conio o conservazione, può essere confuso con la gemma centrale del diadema. Tutt’altro che costante è tuttavia più frequente nei solidi, ma compare anche in monete bronzee.
La “manus” sta a indicare il diretto legame e la divinità. Dapprima non ancora necessariamente il Dio cristiano, se in emissioni dopo la morte di Costantino la mano uscente dalle nubi è tesa a guidare al cielo la quadriga su cui si trova l’imperatore defunto, in una ambigua significazione di “consecratio” ancora pagana.
Successivamente la “manus dei” si afferma il rapporto tra il Dio della nuova fede e il regnante. La ghirlanda, o corona, è simbolo sacerdotale ed è noto come sacerdozio e potestà regia fossero ab antiquo riunite nella stessa persona.
Si viene così esplicitando graficamente il concetto della autorità imperiale per grazia e benedizione di Dio. Non sarà poi peregrino indagare anche nella sfera civile per dare forse al simbolo una significazione e una motivazione più complete: nel più antico diritto matrimoniale romano al matrimonio era legato l’assoggettamento della donna alla potestà (manus) del marito. La manus dei delle monete e di quant’altre espressioni figurative dell’epoca potrebbe così anche indicare la sottomissione del regnante alla potestà divina.
Segue articolo completo in formato PDF tratto da Panorama Numismatico n.78/settembre 1994