Alla prossima asta InAsta 65 del 24 settembre 2016 verrà offerta una pregevole raccolta di ducati e zecchini. Questo testo di Stefano Di Virgilio è pubblicato sul catalogo.
Anche Venezia stava diventando sempre più in fretta una vera e propria potenza economica in rapida espansione. Il successo della città marinara si concentrava sostanzialmente nei sempre maggiori traffici verso l’Oriente, incentrati soprattutto sulle spezie. Dopo aver coniato il grosso matapan in argento Venezia aveva ora bisogno di una nuova moneta d’oro più importante e prestigiosa, per stare al passo con Genova e Firenze.
Nel 1284, sotto il dogato di Giovanni Dandolo (1280-1289), con decreto datato 31 ottobre, venne coniato per la prima volta il ducato veneto, denominato in seguito zecchino, una moneta destinata ad avere una fortuna commerciale condivisa solo da poche altre valute. L’iconografia di dritto e rovescio sono di grande bellezza ed originalità. Al dritto il doge inginocchiato riceve lo stendardo da San Marco, patrono della città (le reliquie del Santo evangelista giunsero a Venezia dall’Oriente nell’830); al rovescio appare un’immagine molto bella del Cristo benedicente all’interno di una “mandorla” di perline e di stelle. L’impostazione deriva ancora dalle monete bizantine, con due figure da una parte e il Cristo dall’altra, ma la nuova forma, più plastica e più moderna, ebbe un successo immediato. Il peso era di grammi 3,559, al titolo di 24 carati (1000‰) ed era ragguagliato a 18 grossi matapan d’argento.
Ebbe molto credito, soprattutto nel Levante e fu imitato e contraffatto per secoli. La nuova moneta veneziana fu preferita al genovino e Genova reagì, incentivando nelle proprie colonie del Mar nero l’emissione di imitazioni del ducato veneto di lega più bassa per poter commerciare direttamente con gli arabi, senza la costosa mediazione dello zecchino veneto; il fine era anche quello di screditare e danneggiare politicamente la rivale immettendo sul mercato moneta di scarsa qualità. Venezia però seppe fronteggiare la piaga delle imitazioni mantenendo il proprio ducato identico a sè stesso per secoli, ritirando le monete contraffatte e vietando l’uso delle imitazioni del ducato con pene severissime. Sotto il dogato di Pietro Lando (1539-1545) il ducato cambiò nome in ducato zecchino e in seguito, per abbreviazione, semplicemente zecchino. La nuova denominazione pare derivasse dalla procedura di battitura; chiunque poteva portare oro e argento in zecca e, dopo aver corrisposto le spese per i saggi, la raffinazione del metallo e la battitura, otteneva in cambio i “ducati d’oro in oro di zecca”, detti quindi “zecchini”. Il modo di dire “oro zecchino” è sopravvissuto fino ad oggi, proprio ad indicare la purezza massima dei manufatti nel nobile metallo.
Anche Venezia nel Cinquecento cominciò la battitura degli scudi d’oro, più moderni e funzionali, ma per tutta la sua lunga storia, sia per motivi di prestigio che per le richieste di mercato che non tramontarono mai, continuò fino alla fine a battere gli zecchini, sempre con la stessa tecnica e sempre con le identiche effigi, cambiando solo il nome del doge di turno. La battitura proseguì senza interruzioni e a martello fin sotto l’ultimo dogato di Ludovico Manin (1789-1797) e si possono distinguere, nel corso dei secoli, i diversi stili nella battitura delle effigi; lo stile rimase “medievale” fino in pratica al dogato di Tommaso Mocenigo (1414-1423). Sotto Francesco Foscari (1423-1457) lo stile divenne più raffinato e di tipo “rinascimentale”; non a caso fu proprio Francesco Foscari ad inaugurare il ritratto sulla moneta veneziana, anche se poi l’esperimento non fu accettato e non ebbe seguito. Tra il 1570 ed la fine del Seicento lo stile si affinò verso il barocco e divenne in seguito più moderno e a tratti più semplice nel Settecento.
Vennero coniati altresì, anche se molto sporadicamente, grossi multipli dello zecchino a fini di ostentazione, fino al massimale da 100 zecchini emesso da Alvise Mocenigo IV (1763-1778). Con l’arrivo a Venezia degli austriaci nel 1797, a seguito del trattato di Campoformio sottoscritto con Napoleone, si ebbero le ultime due battiture dello zecchino, a nome non più di un doge, ma dell’imperatore Francesco II d’Asburgo-Lorena; si trattò di emissioni di ostentazione, di prestigio, non destinate ad un’effettiva circolazione. Un primo tipo, coniato ancora con la primitiva tecnica del martello, ricalcava i tipi precedenti; un secondo tipo che fu l’ultimo, oggi moneta estremamente rara, venne battuto al torchio e mostra le effigi e le legende di fattura molto più precisa e leggibile.